giovedì 12 gennaio 2017

LECTIO: II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio divina su Gv 1,29-34

Invocare
O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo. Amen.

Leggere
29 Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!30 Egli è colui del quale ho detto: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me». 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».  
32Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Nella liturgia della Parola di questa domenica si sente ancora l’eco della celebrazione del Battesimo di Gesù.
Questo brano fa parte del prologo narrativo del vangelo di Giovanni. Dopo il grande prologo altamente poetico e teologico con cui apre il proprio vangelo (1,1-18). Qui Giovanni continua con un prologo narrativo (1,19-2,12), in cui i fatti riportati si estendono lungo una settimana.
I primi tre giorni sono dedicati alla testimonianza di Giovanni Battista divisa in tre giornate: la prima alle autorità di Gerusalemme venute a chiedergli chi fosse e che cosa facesse (1,19-28). La seconda giornata (1,29-34, il brano di questa domenica) Giovanni davanti a un uditorio non identificato indica Gesù, che sta arrivando verso di lui, come l'Agnello di Dio e testimonia di come abbia visto lo Spirito Santo discendere su di lui. Nella terza giornata (1,35-42) la testimonianza di Giovanni è rivolta a due dei suoi discepoli, i quali seguono Gesù fino a casa sua e si intrattengono con lui per tutto il pomeriggio. Uno di loro (Andrea) conduce da Gesù anche il proprio fratello (Pietro).
La teologia simbolica giovannea indica così che al Primo Giorno, l'inizio, Colui-che-viene deve venire, al secondo, ch'è venuto; al terzo che ha compiuto l'opera che porta con sé (v. 36).
Il terzo giorno è un'allusione alla Resurrezione, alla Gloria divina, alla fede dei discepoli.
Anche nella pericope di questa II Domenica (per annum A) ci troviamo di fronte ad una professione di fede in Cristo, che si articola in tre affermazioni:
1) «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo» (vv. 29.36);
2) «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui» (v. 32);
3) «è il Figlio di Dio» (v. 34).
Il quarto evangelista non dice che Gesù è stato battezzato, e riferisce al Battista la visione dei cieli aperti e della discesa dello Spirito sopra Gesù (Gv 1,32s).

Meditare
v. 29: Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!
Il giorno dopo aver subito l'interrogatorio da parte dei sacerdoti e dei leviti mandati dai Giudei, Gesù viene da Giovanni, ma non per essere battezzato. Infatti ciò che si dirà dopo (vv. 32-33) sembra suggerire che il battesimo fosse già avvenuto.
Giovanni, nel vedere Gesù lo indica, in una forma solenne: “ecco” l’«Agnello di Dio». Una formula che profeticamente ripeterà Pilato con altre parole: «Ecco l'Uomo!» (cfr. 19,5), «Ecco il Re vostro!» (cfr. 19,14).
Chi è l’agnello? Una prima riflessione ci ricorda che l'agnello non era un animale usato nei sacrifici di espiazione, può essere preso quindi o come esempio di agnello pasquale, oppure come simbolo di
innocenza. Qui abbiamo una indicazione: agnello di Dio che significa: agnello procurato, mandato da Dio; degno di Dio quindi, usando il superlativo ebraico, diciamo: purissimo o innocentissimo.
L’agnello è segno della mitezza, della non aggressività, dell’essere vittima piuttosto che carnefice. Siamo di fronte ad un simbolo dalle molteplici risonanze, e non si tratta di scegliere tra un riferimento o l'altro, ma piuttosto di cogliere insieme i diversi aspetti. Giovanni infatti lo vede sotto il primo aspetto, ed anzitutto lo acclama: lo indica come l'agnello-Servo sofferente di Is 53,7, quello che resta muto di fronte ai suoi carnefici (cfr. Gv 19,36, che rimanda a Es 12,46 e chiarito da Paolo in 1Cor 5,7). È anche il Servo giusto perseguitato (cfr. Ger 11,19).
Certamente non ci sono prove reali che il Battista abbia fatto un tale accostamento, ma neanche prove per escluderlo. Difatti in Isaia 53,7 si dice che il Servo: «Non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello e come un agnello di fronte ai suoi tosatori». Questa descrizione viene applicata a Gesù in At 8,32, e quindi la similitudine tra il Servo Sofferente e Gesù era applicata dai cristiani (vedi Mt 8,17 = Is 53,4; Eb 9,28 = Is 53,12).
In questa formula, l’evangelista fa uso del singolare, che facilmente nella popolarità la trasportiamo al plurale: «che toglie il peccato del mondo». Giovanni usa il singolare, perché l’Agnello di Dio toglie, si addossa quell’unico e grande peccato. Il peccato del mondo”, è la disobbedienza a Dio, che è il peccato che apre ad ogni peccato. Ogni peccato ha in sé la disobbedienza a Dio, in modo più o meno grave. Cristo ha tolto il peccato del mondo con la sua obbedienza.
Nel Vangelo di Giovanni la risposta è abbastanza chiara: è l’incredulità, cioè il non credere nell’amore di Dio e di conseguenza non credere nell’amore fraterno. Il peccato viene da quella specie di dubbio profondo e radicale che ci portiamo dentro, che a volte ci pone in un atteggiamento di rassegnazione di fronte al male o all’egoismo. Come se ci venisse da dire: Ci crediamo davvero nell’amore? Per l’evangelista Giovanni questo è il peccato e da questo vengono tutti gli altri; dalla mancanza di fiducia nell’amore sono giustificati tutti i nostri comportamenti di egoismo, di chiusura e di cattiveria.
vv. 30-31: Egli è colui del quale ho detto: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me».
Il Battista dice espressamente che questo Gesù, il quale s’incammina alla sua volta,è quello di cui egli nel corso della sua predicazione ha annunciato la sua venuta. Ora, segue una spiegazione per quanti l'ascoltano; i destinatari non sono specificati, ma senz'altro sono un gruppo rappresentativo del popolo d'Israele.
La spiegazione è il seguito della testimonianza; egli aveva annunciato che sarebbe venuto uno «dopo di lui», che «fu fatto prima» di lui, poiché sussisteva «prima di lui» (cfr. vv.15.27 e sinottici).
L’evangelista non fa altro che affermare nuovamente la preesistenza di Gesù. Giovanni finalmente ha incontrato e riconosciuto colui del quale era venuto a preparare l'arrivo.
Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni Battista, benché sia parente di Cristo, nato solo 6 mesi prima, dice che non lo conosceva; ciò non vuole dire che mette in discussione la parentela o la sua conoscenza egli poteva soltanto fare riferimento alla propria persona ed esperienza. In realtà Giovanni non conosceva il Nome e il Volto di Colui-che-viene, ma sa che deve anzitutto manifestarsi ad Israele, il popolo dell'alleanza (cfr. Sof 3,12); la sua attività battesimale aveva infatti il preciso scopo di preparare gli uomini alla venuta del Messia secondo le parole dell'angelo a Zaccaria suo padre (cfr. Lc 1,16-17).
Giovanni non ha avuto conoscenza della sua elezione a Messia, ma solo una rivelazione divina: egli doveva battezzare con acqua perché l'Agnello di Dio fosse manifestato.
v. 32: Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
Il contemplare di Giovanni è come quello descritto da Giovanni Climaco, il quale, nella sua Scala celeste, dice: «L'esicasta è colui che si sforza di circoscrivere l'incorporeo nel corpo».
Quello che Giovanni contempla è lo Spirito. Nella Bibbia lo Spirito Santo è la forza di Dio, la vita di Dio, è la forza con cui Dio ha creato il mondo, è la ricchezza di amore con cui Dio ama eternamente di un amore infinito. Ebbene, questo Spirito viene donato a Gesù. Non solo viene donato, ma viene donato e rimane. Fu soltanto quando battezzò Gesù che il Battista lo riconobbe come il Messia.
Qui l'evangelista presuppone il racconto sinottico del battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,9-11 e parali.) senza tuttavia parlarne.
Possiamo notare che la discesa dello Spirito Santo “è come una colomba”, non nella forma fisica del volatile, ma del suo modo di volare che infonde fiducia ed è bello a vedersi.
San Giovanni insiste su questa parola: “si è fermato su Gesù”, in modo tale che tutta la vita di Gesù è stata animata interiormente dalla forza dell’amore. Al Re messianico era promessa la dimora dello Spirito, la sua pienezza sapienziale; sul virgulto di Jesse infatti «riposa» lo Spirito di Dio (Is 11,2), in modo permanente, «poiché Dio sta con lui» (cfr. At 10,38).
v. 33: Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo.
È la seconda volta che il battista dice che non conosceva Gesù (vedi v. 31). L’espressione rimanda a qualcosa di più della mancanza di una conoscenza anagrafica. Pensandoci va bene così, perché Gesù è Dio e può essere solo oggetto di rivelazione e di testimonianza. Infatti, il riconoscimento da parte del Battista è il risultato di una rivelazione divina; l'Inviante (Dio stesso o un suo angelo) parlò a Giovanni  comunicandogli questo segno distintivo decisivo: lo Spirito discende e si posa solo su quello, vi fa dimora.
I profeti dell'AT avevano preannunziato un'effusione dello spirito nell'era messianica (cfr. Gal 3,1-2; Is 32,15; Zc 12,10); il N.T. vede il compimento di questa profezia nella Pentecoste e nel battesimo cristiano (At 2,16-18; 10,45; Rm 5,5; Gal 4,6).
L’evangelista mette in parallelo due versetti: “colui che toglie il peccato del mondo” (v. 29) con “colui che battezza nello Spirito Santo” (v. 33). Questo peccato non dev’essere espiato ma dev’essere estirpato. Come? Giovanni nel prologo dice: “la luce splende nelle tenebre” (v. 5): la luce non combatte contro le tenebre ma si limita a brillare, ad illuminare e le tenebre se ne vanno.
L'azione di Gesù è di battezzare nello Spirito Santo. Mentre il battesimo nell'acqua significa immergersi in un liquido che è esterno all'uomo, nel battesimo nello Spirito Santo significa lasciarsi impregnare, inzuppare, della pienezza divina che viene da Dio attraverso Gesù. Quindi l'azione di Gesù è comunicare ad ogni persona la sua stessa divinità.
v. 34: E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.
Colui che prima era stato annunciato semplicemente come un uomo (Gv 1,30) ora viene rivelato come il Figlio di Dio. In Gesù, sul quale è disceso lo Spirito di Dio, c'è la pienezza della benedizione divina e Gesù manifesta completamente la realtà di Dio.
I verbi in cui ruota questo versetto sono “vedere” e “testimoniare”, anzi i due verbi sono collegati. Per rendere testimonianza bisogna “vedere”:
Il Battista dice di Gesù che è il Figlio di Dio. Ciò non è solo pura costatazione ma riconoscimento di un mistero. L’evangelista questo lo riprenderà in 1Gv 1,1-3: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi”.
La vita di cui si parla è quella eterna che “era presso Dio”. Essa è invisibile agli occhi umani, ma quello che era divino si è fatto visibile e percepibile ai sensi dell’uomo: “… e noi abbiamo visto la sua gloria” (Gv 1,14).
Il vedere di cui parla Giovanni è un vedere in profondità, un vedere oltre l’orizzonte dove ci sta Cristo, “la vera luce, quella che illumina ogni uomo” (1,9; cfr. 8,12). In questo “vedere” Giovanni impara a conoscere e a testimoniare (cfr. Mt 11,2-6; Lc 7,18-23).
E ciò vale anche per noi: non dobbiamo mai pensare di avere una conoscenza, un’immagine di Gesù nostra definitivamente acquisita, ma dobbiamo sempre rinnovarla con l’assiduità al Vangelo.

La Parola illumina la vita
Ecco l’Agnello di Dio! Questa espressione l’ascolto sempre durante la Messa. Cosa significa per me?
Sono sicuro/a di conoscere Gesù? Da che cosa lo deduco?
Chi è Lui, vitalmente, per me? Posso dire che ogni giorno lo riscopro con un'impronta di novità: la novità del suo insondabile Amore?
Contemplo Gesù come Colui che mi salva dal male morale?
Adoro Gesù come Colui nel quale riposa pienamente lo Spirito di Dio?
Testimonio Gesù come il Battista?

Pregare
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.          

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».   


«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.(Sal 39).
  

Contemplare-agire
Volgiamo lo sguardo sull'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo e annunciamolo con la vita, con la parola, con il servizio nascosto, in continuo esercizio di comunione.