giovedì 16 marzo 2017

LECTIO: III DOMENICA DI QUARESIMA (Anno A)

Lectio divina su Gv 4,5-42

Invocare
O Dio, sorgente della vita, tu offri all'umanità riarsa dalla sete l'acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore; concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
È la domenica della Samaritana. L’evangelista Giovanni è l’unico tra gli Evangelisti a riportare questo episodio. Giovanni lo cura nei particolari, tanto è vero che appare ricco di simboli (non da esaurire in questa lectio). Questa simbologia non è altro che la progressiva auto rivelazione di Gesù, che mira a iniziare nella donna un cammino di fede.
Il brano viene collocato ad altri due brani: quello di Nicodemo (3,1-36) e quello del funzionario di Cafarnao (4,43-53). Un modo per dire che la missione di Gesù è estesa fino ai pagani.
Nella terza, quarta e quinta domenica di Quaresima abbiamo l'evangelista Giovanni con tre brani che sono stati utilizzati dalla Chiesa delle origini per la catechesi di coloro che avrebbero ricevuto il battesimo nella notte di Pasqua. Si tratta di tre brani battesimali (sono sette le catechesi battesimali nel vangelo di Giovanni) piuttosto impegnativi: alla Samaritana (4,5-42), Cristo promette alla l’Acqua della Vita; al cieco nato (9,1-41) dona la luce; a Lazzaro la Risurrezione (11,1-45).
“Nel dialogo con la Samaritana al pozzo di Sichem, Gesù spiega che egli è la vera sorgente inesauribile della nuova acqua che zampilla verso la vita eterna (Gv 4,1-26). Voleva dire che egli è la sorgente (péghé) dell'acqua viva del battesimo, cioè lo Spirito. Solo il suo battesimo è fonte di salvezza per chiunque lo riceve, perché «chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno» (Gv 4,14). Nemmeno il battesimo d’acqua di Giovanni gli può essere lontanamente paragonato (Gv 3,22-36)” (Oscar Battaglia).

Meditare
v. 5: Viene dunque in una città della Samaria, detta Sicar
Sembra che l’evangelista Giovanni conosca bene la Palestina. Ha un proprio modo di descrivere il movimento di Gesù, anche se non da informazioni cronologiche. Al versetto precedente descrive che la strada per la Samaria era obbligata. Il senso di “obbligatorietà”, che il verbo esprime e che è stato utilizzato significa che Gesù “doveva” passare per la Samaria, non ne poteva fare a meno. Non si tratta di una necessità determinata dalla brevità del percorso o dalla comodità della strada. C’era un motivo ben più profondo: quello di portare il suo annuncio anche alla Samaria. Infatti, se Gesù avesse voluto percorrere un'altra strada, ancora più sicura, l’avrebbe potuto fare, gli sarebbe bastato costeggiare in qualche modo il Giordano e raggiungere direttamente la Galilea.
La Samaria a nord di Gerusalemme era un regno separato già dall’inizio quasi, dal 930 a.C., quindi erano scismatici, poi erano eretici nel senso che di tutta la Bibbia accettavano solo i libri più antichi - il Pentateuco - quindi niente libri sapienziali e profetici e poi era stata colonizzata nel 722 a.C. da Assiri pagani che hanno cominciato a mischiare un po’ alla volta le religioni, un misto di paganesimo e di giudaismo.
Gesù è in cammino ed entra in una città della Samaria. La città di cui si parla è l’antica Sichem. Il versetto ci dice Sicar. Ci sono divergenze diverse di identificazione del luogo; appare anche come un errore di trascrizione, già affrontato da San Girolamo.
Oggi il nome di questa città si chiama Nablus. Il particolare del vangelo è il ricordo di Gesù che sosta in un luogo che era stato del patriarca Giacobbe, un podere, a meno di un km da Sichem (cfr. vv. 8.28-29).  
Sicar richiama l’inizio della storia salvifica iniziata con Abramo e poi con Giacobbe.
vicino al podere, che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe.
Giuseppe è il figlio prediletto, l’ultimo, quello che i fratelli vogliono uccidere e che salverà i fratelli; e proprio a Sichem ci sarà la tomba anche di Giuseppe che ha ristabilito la fraternità infranta.
Giuseppe è il primo modello di Cristo. Diceva un antico autore: spogliate Giuseppe e troverete Cristo. Inoltre a Sichem c’è stato il rinnovo dell’alleanza con Giosuè.
v. 6: C'era là una fonte di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, si era così seduto sulla fonte.
L’ambientazione di questa scena è fatta attorno ad una fonte, chiamato anche pozzo. Questa fonte, probabilmente è un richiamo a Nm 21, si dice che quando Israele camminava nel deserto c’era una fonte che lo seguiva; questa fonte lo seguiva per le valli, per i monti e andava fuori dalla tenda di ciascuno per offrire l’acqua a tutti. È il segno della cura di Dio.
Nella Bibbia abbiamo altre scene d’incontro. I patriarchi corteggiavano le loro fidanzate al pozzo, come si usava anticamente. Giacobbe ha corteggiato Rachele e prima Lia, poi ancora ha dovuto faticare per avere quella che gli piaceva di più e Mosè ha corteggiato le sette figlie di una persona importante per sposarne alla fine una. Anche il Signore Gesù corteggia questa donna.
Questo era il pozzo di Giacobbe che secondo una leggenda rabbinica Giacobbe aveva compiuto un miracolo: avrebbe fatto traboccare oltre l'orlo del pozzo un'acqua abbondante.
L’evangelista però vuole sottolineare qualcosa di particolare: la scarsità della vera fonte, della vera acqua. Questo pozzo è un autentico Tempio all’interno del quale c’è la sorgente della fede ebraica, Gesù lo sa e per questo vi si ferma. In questo Tempio Gesù si ferma per incontrare le varie difficoltà della vita.
Era circa l'ora sesta.
L'indicazione dell'ora sesta, mezzogiorno, richiama l’ora della croce. La parola “ora” è una parola tecnica per indicare proprio l’ora della sua glorificazione, della croce. Gesù ricorre al termine "ora" per indicare un momento fissato dal Padre per il compimento dell'opera di salvezza.
La fonte: proprio dal suo costato trafitto scaturirà sangue ed acqua. Proprio lì sulla croce dirà: Ho sete, ho sete di dare l’acqua viva all’umanità, di effondere il mio amore su tutti.
v. 7: Viene una donna della Samaria ad attingere acqua.
“Una donna”, espressione che troviamo diverse volte in questo brano ma è anche importante perché nel Vangelo vien detto due volte: a Maria, sua madre a Cana e a Maria Maddalena dopo la risurrezione. Quindi ha la sua valenza.
Questa donna rappresenta il suo popolo, i samaritani che hanno sete di qualcosa e vengono al pozzo del loro padre Giacobbe. La donna stessa rivela questa attesa del suo popolo: "Verrà il Messia che ci rivelerà tutto".
La donna viene ad attingere acqua. L’acqua è quell’elemento femminile, primordiale di vita. L’acqua nel vangelo di Giovanni appare protagonista. Fino a questo capitolo ci ha accompagnato: dal Battesimo di Gesù (dopo il prologo); al cap. 2: le nozze di Cana (l’acqua che diventa vino); al cap. 3 Nicodemo (il nascere da acqua e Spirito). Il nostro brano in questione e poi al cap. 5 in una piscina, dove c’è tutta l’umanità essiccata, in attesa che si muova l’acqua, che ci sia un’acqua viva per dare la vita. Nel cap. 7 Gesù si identificherà nuovamente con la sorgente d’acqua: Chi ha sete venga a me! Etc.
La donna attinge acqua a mezzogiorno. Un’ora un po’ strana per attingere. Mezza giornata è già trascorsa. Evidentemente ha sete. Quale sete?
Le dice Gesù: «Dammi da bere».
Anche Gesù manifesta la sua sete, come un qualunque uomo che vuole assicurarsi la vita. L’acqua, infatti, è il desiderio più materiale e fondamentale per l’uomo per vivere. Però le sue parole sono le stesse che si trovano nel libro dell'Esodo, quando il popolo chiede da bere a Mosè (Es 17,2 e Nm 21,16). Gesù, nuovo Israele, sperimenta la sete del popolo, la sete che non è solo materiale, ma è sete della parola di Dio, come ne hanno parlato i profeti (Am 8,11).
C’è un altro aspetto della sete d’acqua: la sete di relazioni, di felicità, d’amore. Quindi l’acqua che questa donna cerca è certamente l’amore e la felicità, come avviene per ciascuno di noi.
Anche Gesù ha un forte desiderio e lo esprime. La cosa più grande dell’uomo è saper esprimere i suoi desideri! E quindi, si incontrano due seti, due desideri. Dio è amore, è sete di essere amato!
vv. 8-9: Infatti, i suoi discepoli erano andati nella città per comperare dei viveri.
Questo inciso sottolinea semplicemente il fatto che i discepoli si erano allontanati lasciando Gesù da solo. Spiritualmente si sottolinea che l’incontro con Dio è a tu per tu, perché i due desideri divengano uno.
Gli dice dunque la donna samaritana: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I giudei, infatti, non hanno rapporti con i samaritani.
Gesù si è rivolto alla samaritana su un piano di parità. Questo desta la sorpresa della samaritana. Gesù infatti, come ci spiega Giovanni, rivolgendo la parola alla samaritana, ha infranto una delle regole essenziali vigenti tra questi due popoli. Gesù sta cercando di tessere relazione, di corteggiare la donna. Il “come mai” della samaritana è una ricerca di risposta tra un giudeo e una samaritana, tra due separati. Qui però c’è l’amore che accorcia le distanze. Anzi, Dio stesso, per amore, accorcia, annulla le distanze per coloro che ama, cioè per noi.
v. 10: Gesù le rispose e disse: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice "Dammi da bere", tu (ne) avresti chiesto a lui e ti avrebbe data acqua viva».
Gesù non accetta la provocazione di tipo etnico e cerca di indirizzare l'attenzione della donna su qualcosa di più fondamentale, esprimendo il suo desiderio: “se tu conoscessi”. “Conoscere” è, per Giovanni, un verbo importantissimo: si tratta di fare esperienza del Cristo e del suo amore, ossia del dono di sé per il bene degli altri. È agape e non possesso geloso dell’altro. Perché amare è donare la vita e non semplicemente guardare negli occhi e sospirare.
Sì, ci sta un corteggiamento, dice Gesù, ma è un dono, un dono che ignori: la vita.
Tu vieni al pozzo per dissetarti per cercare amore, per cercare felicità, ma non conosci ancora da dove viene l’acqua. Cioè il grosso inganno dell’uomo è che la sete è giusta, ma non trova l’acqua che disseta.
Trovare il pozzo giusto. Bisogna chiedere l’acqua viva. Se no si rimane col rischio dell’assumere dei surrogati
vv. 11-12: Gli dice [la donna]: «Signore, non hai neppure un secchio e il pozzo è profondo; donde hai dunque l'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo, e ci bevette lui e i suoi figli e il suo bestiame?».
La reazione della donna è simile a quella di Nicodemo. Ella parte dall'ultimo elemento: l'acqua viva. La fretta di arrivare alla conclusione senza capire il senso e continuare ad essere dei vuoti a perdere.
La samaritana chiede a Gesù se è più grande di Giacobbe. Altri gli faranno una domanda analoga: sei più grande di Abramo? (8,56) e altrove egli viene messo in contrapposizione con Mosè circa il pane (6,32). Tutto questo sottolinea la superiorità di Gesù rispetto ai padri del popolo eletto, senza con ciò sminuire la loro importanza nella storia della salvezza.
Il versetto sottolinea che il pozzo è profondo. Chiediamoci: cos’è questo pozzo? Il pozzo rappresenta la legge e vi è una certa fatica da parte della donna ad attingere l’acqua, perché la legge non ti dà la vita, stuzzica solo la sete, ti mostra ciò che è bello, ma non te lo dona.
Nelle domande della donna sfiora l’idea che ella abbia intuito chi ha davanti. Come fa quest’uomo senza pozzo a dare da bere? C’è un altro pozzo da cui attingere?
Quel suo “da dove” ha un significato molto importante nel vangelo di Giovanni: esso è legato al mistero di Gesù stesso. Forse è la risposta. Più avanti l’evangelista dirà da dove Gesù trarrà quest'acqua viva, cioè dal suo costato trafitto (19,34).
vv. 13-14: Gesù le rispose e disse: «Chiunque beve di questa acqua avrà sete di nuovo. Ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà sete in eterno; ma l'acqua che gli darò, diventerà in lui una fonte d'acqua zampillante per la vita eterna».
La risposta di Gesù è in riferimento a quel pozzo e alla qualità della sua acqua. Allo stesso modo contrapporrà la manna al pane che egli darà (6,49ss).
Gesù alla samaritana dice che l’acqua che Egli darà toglierà per sempre la sete. Il patriarca Giacobbe estinse la sete della gola. L’acqua che da Gesù estingue la sete di felicità che alberga nel cuore, un’acqua che zampilla per l’eternità. Nell’AT abbiamo un'acqua promessa da Ezechiele che avrebbe purificato i cuori (Ez 36,25-27), questa è un'acqua ancora più significativa: zampilla per la vita eterna. Il zampillare per la vita eterna è il simbolo della vita dell'uomo che dipende da Dio. Nel desiderio di Gesù vi è una grande sete. Il Salmista ci ricorda il giusto sofferente: Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto (Sal 22,15-16).
Con questa risposta Gesù svela la sua identità e la sua missione.
15. Gli dice la donna: «Signore, dammi quest'acqua ché non abbia (più) sete né mi rechi qui ad attingere».
In poche battute Gesù ha suscitato nella donna il desiderio di un’acqua profonda. Infatti, ora è la donna che ha sete e non lui. La donna comincia a conoscere il dono di Dio. E lo desidera fortemente! È la sete dell’Amore. È il desiderio, la passione della sposa che vuole essere amata dallo sposo: «Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,7).
Se inizialmente era Gesù ad esprimere il desiderio della sete, adesso è la donna: il desiderio di uno è diventato desiderio dell’altro. È un salto di qualità. Ma ci sta ancora un altro salto da fare. Improvvisamente Gesù sposta il suo discorso sulla dimensione personale della donna.
vv. 16-18: Le dice: «Và, chiama tuo marito e vieni qui». La donna gli rispose e disse: «Non ho marito».
È il momento di guardarsi dentro, di gettare la maschera, è il momento della verità; nessuna resistenza. L’amore ti aiuta ad aprire gli occhi sulla realtà.
La donna è una persona piena di ferite, segnata dal dolore. Una donna che non è stata capace di coniugare fragilità e fortezza. Ora scopre che nessuno dei mariti che ha avuto ha appagato la sua sete di felicità. In questo momento di fragilità accoglie la chiamata: Dio non chiama i giusti ma i peccatori (Mt 9,13). L’Amore di Dio le fa vedere le sue ambiguità e inconsistenze.
Le dice Gesù: «Hai detto bene: "Non ho marito"; infatti, hai avuto cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo marito; (quanto a) ciò hai detto il vero».
I cinque mariti potrebbero essere i cinque déi introdotti in Samaria dopo la conquista assira del 721. Quindi non sarebbe fuori luogo il fatto che il discorso continui parlando di luoghi di culto. La samaritana con i suoi cinque mariti, e il sesto che non è suo marito, sarebbe l'allegoria della Samaria che viene esortata da Gesù a chiamare JHWH come suo vero marito, come suo vero Dio. Questi sono stati falsi amori e poco duraturi. Perché è un amore che non salva, non rivela, non riconcilia, non rende felici.
A volte anche noi diventiamo vittime di quest’amore che non salva perché non è fraterno, ossia non si apre alla logica del dono di sé per l’altro (E. Scognamiglio).
Gesù si presenta a lei come il vero marito che cerca e che non ha ancora trovato, la vera risposta alla sua sete più profonda.
vv. 19-20: Gli dice la donna: «Signore, vedo che tu sei profeta. I nostri padri hanno adorato in questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove bisogna adorare».
Nel scoprire il suo bisogno di Dio, la donna riconosce Gesù come uomo di Dio. Qui fa una domanda, quasi ad uscire fuori dal discorso. Gli sottopone un problema che stava a cuore a lei come a tutto il suo popolo: quella sulla validità del proprio culto e questa domanda avrebbe trovato risposta nel Messia che anch'essi attendevano.
I Samaritani avevano continuato ad adorare il Signore sul monte Garizim, a tre km da Sichem, poiché in quel luogo il Signore aveva benedetto Israele (Dt 11,29). Ancora in quel luogo era avvenuta la visione di Giacobbe (Gen 28,17). Essi avevano continuato a venerare il Signore in questo luogo anche dopo l'unificazione del culto a Gerusalemme.


vv. 21-22: Le dice Gesù: «Credi a me, donna, che viene l'ora quando né in questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, poiché la salvezza è dei giudei.
Se fino adesso Dio si è mostrato solo ad Israele. Il popolo di Giuda è destinatario del disegno salvifico di Dio. Da questo popolo è nato il Salvatore. Però, questa volta Gesù porta una novità attraverso un solenne “credimi”. Questa azione solenne indica che Dio la vuole incontrare nel suo cuore. Ella è il nuovo tempio che accoglie l’immensità di Dio. Ricorda il profeta Osea: “la condurrò nel deserto e sussurrerò al suo cuore parole d’amore” (Os 2,16).
Non è una questione di abrogazione di culto, ma di saper adorare in spirito e verità.
vv. 23-24: Ma viene l'ora, ed è adesso, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità; perché anche il Padre cerca (che siano) tali quello che l'adorano. Dio è spirito, e quelli che l'adorano devono adorar(lo) in Spirito e Verità».
Questa “ora” che è giunta “adesso” è caratterizzata dalla presenza di Gesù stesso. È già giunta l'ora in cui adorare il Padre da veri adoratori. Qui non ci si ferma più a un popolo in particolare, ma a tutti coloro che sapranno adorare il Padre in questa nuova dimensione: scoprire l’amore del Padre attraverso il Figlio.
In Spirito significa proprio alla presenza dello Spirito che ha rigenerato il credente nel battesimo. In Verità si riferisce alla rivelazione portata da Gesù: l'adorazione del Padre richiede l'aver accolto il Verbo, aver riconosciuto Gesù come il Figlio di Dio. Si adora il Padre nell’altro, nel fratello che è come te, figlio di Dio.
Dio è Spirito: Dio si può cogliere solo attraverso le sue manifestazioni all'uomo. Spirito vuol dire vita; la vita di
Dio è l’amore tra Padre e Figlio; noi viviamo della vita di Dio, della pienezza di vita proprio amando i fratelli con lo stesso amore del Padre, questa è la vera adorazione.
vv. 25-26: Gli dice la donna: «So che viene il Messia, che è detto Cristo; quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa».
Lo stesso verbo dell'ora che deve venire (erkhetai) viene usato per il Messia che deve venire. I samaritani attendevano l'arrivo di qualcuno pari a Mosé (cfr. Es 20,21b, Dt 18,15): il Messia, l’unto, il consacrato, in greco “il Cristo”, colui che è Re.
Il Messia atteso non è uno che promette, così come la pensiamo ancora oggi. Nella Bibbia il Messia non fa promesse. Egli è il promesso che mantiene le promesse, che realizza le promesse di Dio!
Le dice Gesù: «Sono io, che ti parlo».
Gesù si manifesta apertamente, risponde all'attesa di questa donna. “Io sono”. A nessuno mai si è rivelato in questo modo, se non alla samaritana.
Per noi sentirsi dire “io sono”, non significherebbe nulla. Anzi, appare come un’espressione scorretta o dialettale. Nella Bibbia non è così. È il nome stesso di Dio che si è rivelato a Mosè. Nel vangelo di Giovanni, oltre a ricordare il particolare appena citato, indica nella persona di Gesù Colui che fa queste cose.
Inoltre, c’è qualcosa di nuovo: “io sono colui che ti parla”. Dio non è muto, è uno che ti parla è parola, è comunicazione, è comunione, è dono di sé, è intimità, è dialogo.
v. 27: E in quel momento vennero i suoi discepoli, e si meravigliavano che parlasse con una donna. Tuttavia nessuno (gli) disse: «Che cerchi?», oppure: «Perché parli con lei?».
I discepoli che sono arrivati dalla città si meravigliano che lui parli con una donna e non tanto con una samaritana. Questa meraviglia o stupore riflette la mentalità giudaica secondo la quale un uomo e tanto meno un Rabbi non doveva rivolgere la parola a una donna sola. Ad accentuare questo particolare è il fatto che Gesù si intrattiene con una samaritana. Per il rispetto che hanno verso Gesù intervengono.
vv. 28-30: La donna dunque lasciò la sua brocca e andò nella città
Alla rivelazione di Gesù come Messia la samaritana non professa la sua fede, però va subito in città a dire agli altri di aver incontrato una persona speciale.
Perché la donna lascia la brocca? Non tanto per la fretta per andare a raccontare l’accaduto. Ormai la brocca non gli serve più, sa come attingere l’acqua viva.
Ella abbandona quel simbolo dell’antica legge, dell’antica alleanza per accogliere quella nuova, per accogliere il Messia, l’Unto, il Cristo di Dio.
e dice agli uomini. «Venite, vedete un uomo, che mi ha detto tutto quanto ho fatto. Che non sia lui il Cristo?». (Essi) uscirono dalla città e venivano da lui.
La samaritana dice ai suoi compaesani che quell'uomo conosceva tutto il suo passato. E tutti lo sapevano fin qui niente di particolare. Ma gli uomini non conoscevano il grande desiderio di verità che si annidava nel suo cuore: la sete del corpo non conta più, ha ritrovato ristoro alla sua sete più profonda!
La donna lo annuncia al suo popolo. Non dice apertamente che si tratta del Messia. Lo insinua velatamente, quasi come un invito a fare essi stessi esperienza diretta di Gesù e della verità della sua parola. I samaritani credono alla parola della donna e vanno incontro a Gesù.
vv. 31-34: Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: «Rabbi, mangia». Ma egli disse loro: «Io ho da mangiare un cibo che non conoscete». I discepoli dicevano dunque tra loro: «Che qualcuno gli abbia portato da mangiare?». Dice loro Gesù: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
L’atteggiamento dei discepoli forse vuol sciogliere la tensione creatasi. Ciò però da a Gesù l’occasione di dare loro un insegnamento su cosa era avvenuto durante la loro mancanza. Gesù ha un solo nutrimento: la sua unione con il Padre. Il suo cibo è fare la volontà di colui che lo ha mandato e portare a compimento la sua opera. «Gesù, quando entra nel mondo, dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta” (Eb 10,5), perché sono provvisori. “Un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7)».
Fare la volontà del Padre non significa solo accettarla fiduciosamente, significa cooperare alla sua realizzazione. Ecco perché egli deve portare a compimento un'opera. Lo dirà anche alla vigilia della sua morte (Gv 17,4).
Il suo percorso terreno, infatti, incomincia «annientandosi», come scrive Paolo ai Filippesi (2,8): «Annientò se stesso. Si umiliò, prendendo forma di servo e facendosi obbediente fino alla croce» (cfr. 2,7-8). Ed è la strada della santità.
vv. 35-36: Voi non dite: "Ci sono ancora quattro mesi e viene la mietitura? Ecco, vi dico, alzate i vostri occhi e contemplate i campi, che sono bianchi (pronti) per la mietitura.
La mietitura nella Bibbia ha un duplice significato: il taglio del grano che designa il giudizio di Dio; oppure simboleggia la gioia della salvezza.
Gesù qui cita un proverbio. Nel proverbio citato vi è insito il numero quattro che altre volte lo ritroviamo nel Vangelo (cfr. 11,17.39; 19,23). Questo numero indica un insieme indeterminato, che nell’affermazione vuol significare che nel ciclo della natura intercorre un certo tempo fra semina e raccolto. Nell’azione salvifica di Dio avviene l’opposto.
Gesù invita i discepoli ad alzare lo sguardo a pensare diversamente da solito e contemplare. Ciò non è un tempo di estasi ma essere coinvolti nella missione stessa del Padre e del Figlio. Anche loro sono chiamati ad essere missionari. I campi sono pronti per essere mietuti.
Il mietitore riceve già la ricompensa e raduna il frutto per la vita eterna, affinché il seminatore gioisca insieme con il mietitore.
Qui abbiamo la gioia del mietitore, la sua ricompensa, cioè il raccolto, il frutto stesso del suo lavoro che ammassa per la vita eterna. Gesù evoca questa gioia.
Egli riunifica, raduna il frutto: questa espressione sottintende la riunificazione tra il giudeo Gesù e i samaritani, la riunificazione dei fratelli separati per la vita eterna, il dono di Dio, l'acqua che zampilla per la vita eterna del v. 4,14. Mose, i patriarchi e i profeti, ed in particolare Gesù, si rallegrano per la conversione di numerosi popoli (cfr 8,56ss).
Il seminatore e il mietitore gioiscono insieme perché vedono il frutto delle loro fatiche. Il seminatore è Gesù che ha seminato da solo nel cuore della samaritana. I mietitori sono ancora Gesù e i discepoli che mietono quello che non hanno seminato. Già si incominciano a raccogliere i frutti.
vv. 37-38: In ciò, infatti, è vera la parola: "Altri è il seminatore e altri è il mietitore". Io vi ho mandato a mietere ciò (per cui) non avete faticato. Altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica».
Ora vi è un cambiamento di prospettiva: una educazione alla sequela. Il seminatore e il mietitore che prima coincidevano ora diventano due personaggi differenti. Vi sarà un tempo in cui i discepoli raccoglieranno la messe seminata e coltivata con fatica da altri.
Ricorda san Paolo: “Quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere! Ora, colui che pianta e colui che annaffia sono una medesima cosa, ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica” (1Cor 3,7-8). Non possiamo aspettarci di essere sempre allo stesso tempo sia seminatori che mietitori, perché il Signore ha detto che alcuni seminano e altri annaffiano, ma è Lui che fa crescere. A volte entriamo in scena in qualche punto del processo di crescita. Magari all’inizio, come seminatori, piantando quel primo seme. La salvezza di una persona spesso è il risultato dei molti modi in cui il Signore ha lavorato nella sua vita. È lo Spirito che opera nel cuore delle persone. La nostra parte è il prolungamento fecondo del ministero di Gesù a cui restare fedele. È dono e richiede dedizione totale da parte di coloro che sono stati investiti.
vv. 39-42: Molti samaritani in quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto ciò che ho fatto».
Questi versetti si presentano come un epilogo di come è maturata la fede in Gesù da parte dei Samaritani. Anche qui la conoscenza di Gesù si fa grazie alla testimonianza di chi l'ha già conosciuto (cfr. Gv 1,36-41).
Si arriva alla fede partendo da una testimonianza anche se è data da una donna senza alcuna autorità e addirittura appartenente a un gruppo scismatico. La fede della Chiesa continua a trasmettersi in questo modo. Frutto di un incontro personale con Gesù, la testimonianza porta l'uditore ad «ascoltare» la parola per approfondire la fede che la testimonianza ha suscitato.
Come dunque i samaritani vennero da lui, lo pregavano di rimanere con loro; e rimase là due giorni.
I samaritani si radunano attorno a Gesù e gli chiedono di fermarsi da loro. Il verbo rimanere nel Vangelo di Giovanni è importante. Sottolinea quel legame di unione espresso al cap. 15 (la vite e i tralci).
Questi si fermano alcuni giorni, come fecero i discepoli del Battista (cfr l,38s.41).
E molti di più credettero per la sua parola; e dicevano alla donna: «Non (è) più per il tuo discorso che crediamo; noi stessi, infatti, (l')abbiamo ascoltato, e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo».
Ascoltando Gesù i samaritani comprendono che quest'uomo è molto più di ciò che essi speravano. Essi, come la donna, giungono alla fede (cfr. 7,40). Ora sanno chi è il Salvatore del mondo, chi dona l’acqua viva.
Queste parole sottolineano la riconciliazione dei samaritani con i giudei. Veramente essi comprendono che la "salvezza" viene dai giudei, vanno al di là del Messia che attendevano. Il mondo che qui viene citato indica il superamento delle barriere etniche. La salvezza di Gesù è davvero per tutti i popoli, anche se ha avuto inizio con l'esperienza dei giudei.
I fedeli e i catecumeni di oggi «non vedono», ma sono beati poiché ascoltano ed hanno fede (Gv 20,29). Credono non per le parole di quanti annunciano l'Evangelo, ma all'Evangelo stesso.

La Parola illumina la vita
Quale esclusa incontro o creo nella mia vita di cristiano/a?
Qual è l’esperienza di Dio che la Samaritana ha maturato nella sua fede? E la mia?
Dove trovo le ragioni della mia speranza?
Come vivo il mio credo religioso?

Pregare
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.       

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». (Sal 94).

Contemplare-agire
Il senso profondo dell'itinerario quaresimale si schiuderà nel momento in cui saprò ritagliarmi piccoli momenti nei quali entrare nella camera interiore e chiudere la porta, là dove il Padre scruta, vede nel segreto, e là pregarlo per riconoscerlo presente, per sperimentare che la sua non è una presenza vuota, ma pacificante, consolante, vivificante: che parla!