giovedì 6 ottobre 2016

LECTIO: XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

Lectio divina su Lc 17,11-19


Invocare
O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa' che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
11 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13 e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16 e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19 E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».

Silenzio meditativo: Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.

Capire
Questo brano lucano, da cui traspare la fama taumaturgica e dottrinale di Gesù, pone i nostri passi dentro la terza tappa del cammino che Gesù sta compiendo verso Gerusalemme; la meta ormai è vicina e il maestro chiama con ancora maggior intensità i suoi discepoli a seguirlo, fino ad entrare con Lui nella Città santa, nel mistero della salvezza, nel mistero dell'amore.
Il passaggio si compie solo attraverso la fede alimentata da una preghiera intensa, incessante, insistente, fiduciosa; lo vediamo ripercorrendo i capitoli che precedono e seguono questo racconto (17,6; 17,19; 18,7-8; 18,42).
Queste parole ci invitano a identificarci con i lebbrosi, che diventano bambini (cfr. Lc 18,15-17) e con il ricco che si converte e accoglie la salvezza nella sua casa (Lc 18,18ss.); se le accogliamo veramente e le custodiamo in modo tale da metterle in pratica, potremo finalmente arrivare anche noi a Gerico (19,1) e di lì cominciare a salire con Gesù (19,28), fino all'abbraccio gioioso col Padre.
Questa pagina di Vangelo, oltre a dirci che «Gesù salva», ce ne indica anche una modalità. La Salvezza avviene «per la strada» e, al contempo, nel riconoscimento che essa viene da Dio, è un suo dono, e ci viene data attraverso la persona di Cristo. Questo è ciò che indica il gesto del Samaritano che «loda Dio» e ringrazia Gesù per la guarigione ottenuta. Non un gesto di sudditanza o di prostrazione, ma un segno di riconoscenza che diventa «riconoscimento» di un Dio che ci può sempre, salvare e che - sicuramente - sempre ci accoglie. Non un gesto disincarnato dalla realtà «pellegrinante» dell’uomo, ma un segno di salvezza «concreta», capace di attendere l’uomo, facendogli compiere il suo personale percorso di vita e di ricerca.

Meditare
v. 11: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Siamo alla terza e ultima tappa di Gesù verso Gerusalemme, anche se la geografia lucana ci fa indietreggiare. Questa annotazione è analoga ad altre che si trovano in questa sezione (cfr. 9,51; 10,38; 13,22; 18,31) e serve a collegare la raccolta che qui inizia al tema generale del viaggio verso Gerusalemme.
Guardiamo allora la nostra vita, osserviamola, vediamo le varie nostre vicissitudini. Guardiamo all’orizzonte la meta. La Parola ci mostra una via ed è un cammino lungo da fare con tutte le sue fatiche. Un cammino lungo ma pieno di speranza e che conduce alla gloria. Ciò che conta è osare ancora perché c’è un varco, una sfida, un progetto da realizzare. L’iniziativa è di Dio. In questo cammino vi è il passaggio di Gesù. Nulla Egli lascia di non visitato, non toccato dal suo sguardo d'amore e di misericordia.
vv. 12-13: Entrando in un villaggio
Questa geografia un po’ strana, permette a Gesù di entrare in un villaggio. Non abbiamo il nome del villaggio. Possiamo mettere la nostra città, il nostro quartiere, il nostro ambiente dove scorre la vita di tutti i giorni. In questo villaggio, Gesù incontra tutti, in particolare i bisognosi. L'entrare di Gesù, in senso biblico, è l'ingresso nel profondo, che implica condivisione e partecipazione. Qui incontra dei lebbrosi.
gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
Il lebbroso secondo Lev 13, 45-46, è una persona colpita, ferita, percossa: qualcosa lo ha raggiunto con violenza, con forza e ha lasciato un segno di dolore, una ferita. È una persona in lutto, in grande dolore, come dimostrano le sue vesti stracciate e il capo scoperto; è uno che deve coprirsi la bocca, perché non ha diritto di parlare, né di respirare in mezzo agli altri: è come un morto. È uno che non può rendere culto a Dio, non può entrare nel tempio, né toccare le cose sante. È una persona piagata profondamente, un emarginato, un escluso, uno lasciato in disparte, in solitudine.
Per tutto questo i dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù, si fermano a distanza e solo da lontano gli parlano, confidenzialmente, gridandogli il loro dolore, la loro disperazione, e chiamandolo per nome dicono: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”.
Questi dieci lebbrosi gli dicono soltanto: “Abbi pietà di noi!”. Non osano chiedere la guarigione, ma solo pietà. Per loro doveva essere meglio morire che vivere da morti vedendo il loro corpo consumarsi inesorabilmente.
Gli sguardi che si incrociano ha ammesso questi lebbrosi al banchetto dell'intimità con Gesù, alla festa di nozze della salvezza. Dopo di loro solo il cieco di Gerico (Lc 18,38) e il ladrone sulla croce (Lc 23,42) ripeteranno questa invocazione con la stessa familiarità, lo stesso amore: Gesù! Solo chi si riconosce malato, bisognoso, povero, malfattore, diventa prediletto di Dio.
Lo chiamano anche “maestro”. Epistàta: persona dotata di grande sapienza e autorità. Il termine “maestro” è un termine lucano, che Luca mette sempre in bocca ai discepoli, e significa più propriamente 'colui che sta in alto' (significa anche “padrone”) e che ritroviamo sulla bocca di Pietro, quando, sulla barca, fu chiamato da Gesù a seguirlo (Lc 5,8) e lui si riconosce peccatore. E qui siamo al cuore della verità, qui è svelato il mistero della lebbra, quale malattia dell'anima: essa è il peccato, è la lontananza da Dio, la mancanza di amicizia, di comunione con Lui. Questo fa disseccare l'anima nostra e la fa morire pian piano.
v. 14: Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
C’è un vedere, uno sguardo di Gesù. Il suo sguardo è pieno d’amore. Egli non scaccia via i lebbrosi, per paura di prendere il contagio; ma li sana.
L’evangelista non dice che Gesù tocca i lebbrosi per sanarli, non impone loro le mani per guarirli. Cosa succede? Gesù è Parola eterna del Padre e allo stesso tempo, con la sua parola di fiducia e di speranza; realizza quanto Isaia afferma: «Dite agli sfiduciati: “Coraggio, non abbiate timore: ecco, il nostro Dio viene a salvarci”» (cfr. Is 35,4).  
I Lebbrosi sono fiduciosi nella Parola del Signore. Si presentano al sacerdote (secondo l’usanza cfr. Lv 14) senza futili ripensamenti. Si fidano e con la forza della Sua Parola, Gesù li guarisce, a distanza (cfr. 2Re 5), dalle loro carni martoriate e purulente.
Il fatto di obbedire alle parole di Gesù indica chiaramente la loro fede: di conseguenza essi sono guariti mentre sono ancora in cammino.
Il sacerdote è colui che attesta l’avvenuta guarigione e riammette ufficialmente nella Comunità sociale, senza più rischiare di esserne cacciato.
vv. 15-16: Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Si apre un altro aspetto del racconto: un lebbroso torna indietro per ringraziare. È un Samaritano sottolinea alla fine del versetto l’Evangelista, quasi ad indicare qualcosa di particolare, quasi a riunire tutti sotto la misericordia divina. Il fatto sta che all’inizio l’evangelista non lo dice, solo per mettere in risalto la fede dell’uomo guarito.
Il suo tornare indietro non è un semplice movimento fisico, un cambiamento di direzione e di marcia, ma piuttosto un vero e proprio rivolgimento interiore, profondo.
“Tornare” è il verbo della conversione, del ritorno a Dio. È il cambiare qualcosa in un'altra cosa (Ap 11,6); è il tornare a casa (Lc 1,56; 2,43), dopo essersi allontanati, come ha fatto il figlio prodigo, perso nel peccato. Così fa questo lebbroso: cambia la sua malattia in benedizione, la sua estraneità e lontananza da Dio in amicizia, in rapporto di intimità, come tra padre e figlio. Cambia, perché si lascia cambiare da Gesù stesso, si lascia raggiungere dal suo amore.
Il Samaritano ringrazia, fa la sua eucarestia! Si siede alla mensa della misericordia, dove Gesù si è lasciato ferire e piagare ancor prima di lui; dove è diventato il maledetto, l'escluso, il buttato fuori dell'accampamento per raccogliere tutti noi nel suo cuore. La sua eucarestia è gioiosa, con abiti a festa e non da lutto.
vv. 17-18: Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 
C’è un ma. Gesù rimane stupito perché dei dieci guariti, solo uno torna indietro. Gesù non parla di salute fisica, rivolgendosi a questo samaritano tornato da lui, ma parla di salvezza, quella salvezza che viene dalla fede; infatti il samaritano non torna indietro a ringraziare il guaritore, ma a render grazie a Dio che, nel Cristo, lo ha salvato nel corpo e nello spirito.
Il problema qui non è la guarigione, ma il dono ricevuto. Infatti, ogni dono ricevuto da Dio richiede una risposta riconoscente.
Un altro aspetto messo in risalto al dono,è che Gesù definisce l’uomo straniero. In questo modo lo costituisce rappresentante di tutti gli stranieri del mondo pagano aperto alla salvezza, messo in contrasto con il popolo eletto.
v. 19: E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Due verbi concludono questo episodio. Alla fede dell’uomo ecco l’invito di Gesù: Alzati, cioè Risorgi!. È la vita nuova dopo la morte, il giorno dopo la notte.
Anche per Saulo, sulla via di Damasco, è risuonato quest’invito, questo comando d'amore: "Risorgi!" (At 22,10.16) ed è nato di nuovo, dal grembo dello Spirito Santo; è tornato a vedere, ha ricominciato a mangiare, ha ricevuto il battesimo e il nome nuovo. La sua lebbra era scomparsa.
Il secondo verbo è quello dell’ “andare”. La fede è l'accoglienza del dono di Dio. Ma non c'è fede senza esperienza. “Rispondere gioiosamente e andare noi per la nostra missione. Dio ti ama; la fede è la tua risposta. Ecco le tre parole chiavi della fede: sentirsi amati, trasformarsi, andare noi in prima persona” (M. Pedron).
Un terzo verbo, consequenziale, è quello del salvare, che è inciso nel nome di Gesù. In ebraico Gesù significa Dio salva. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, il suo nome «…significa che il Nome stesso di Dio è presente nella persona del Figlio suo [Cf At 5,41; 3Gv 1,7 ] fatto uomo per l'universale e definitiva Redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, [Cf Gv 3,18; At 2,21 ]». (CCC, 432).
Il samaritano, risanato nel corpo e totalmente liberato e rinnovato nello spirito, ha sperimentato la salvezza per opera del Cristo; ha raggiunto la fede, quella fede che non conosce barriere, infatti nessun uomo è straniero agli occhi di Dio perché ogni uomo è un figlio che ha in sé l'immagine del Padre, che niente può distruggere e che Gesù ha riportato, col suo sacrificio e la sua parola, allo splendore originario.

La Parola illumina la vita
Gesù passa sempre dalla mia vita, sono pronto ad accoglierlo? Lo chiamo per nome?
Mi ritrovo anche io tra quei lebbrosi? Di quale lebbra soffro?
Ho il coraggio di mettere a nudo il mio male, il mio peccato, che è la vera malattia? Qual è la mia "lebbra" da cui vorrei essere guarito?
Dice il Salmista: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?... Mi preparo a dirgli grazie, a cantargli il cantico nuovo del mio amore per Lui sulle strade della vita?

Pregare
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! (Sal 97).

Contemplare-agire
Il vangelo termina con un invito: Alzati e va'. È l’ascolto fattivo della Parola. Dopo questa esperienza non posso stare fermo, chiudermi nel mio mondo, nella mia tranquilla beatitudine e dimenticarmi di tutti. Devo alzarmi, uscire fuori, mettermi in cammino.