venerdì 22 aprile 2016

LECTIO: V DOMENICA DI PASQUA (C)

Lectio divina su Gv 13,31-35

Invocare
O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa' che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
31 Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33 Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Silenzio meditativo: Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

Capire
Per comprendere adeguatamente il messaggio della pericope evangelica odierna, partiamo dal suo contesto. Ci troviamo nel Cenacolo. Gesù da poco ha lavato i piedi ai suoi discepoli ed ha spiegato ai suoi discepoli quanto stava per accadere: la sua passione e morte, cioè il cammino del calvario e della croce, era una sua scelta di servizio.
Questo è il gesto di colui che serve, dice Gesù e lui si è fatto servo dei suoi servi, dei suoi discepoli. Successivamente siede a tavola e in una maniera insolita annuncia il tradimento di Giuda, il quale esce dal cenacolo e l’Evangelista sottolinea: “Ed era notte” (Gv 13,30).
Non dimentichiamo che il brano di Giovanni della liturgia domenicale, che rientra nei discorsi di addio di Gesù (Gv 13,31-16,33) – questo è il primo – (Gv 13,31-14,31), ci presenta proprio questo momento culminante, collocato significativamente tra l’uscita di Giuda dal cenacolo (13,30) e l’annuncio del rinnegamento di Pietro (13,36-38).
Questi due eventi sono le coordinate entro cui leggere i versetti che l’evangelista organizza come una sintesi meravigliosa della gloria di Cristo: morte e resurrezione (vv. 31-32); ascensione in cielo e congedo dagli apostoli (v. 33); il cosiddetto testamento spirituale (vv. 34-35).
Il mistero pasquale si rivela come una duplice glorificazione: Gesù glorifica il Padre (cioè lo manifesta come Dio) portando a perfezione la sua obbedienza e sottomissione; non esiste nella storia del mondo un altro momento in cui la sovranità di Dio sia rivelata così pienamente come nella croce di Gesù. Reciprocamente il Padre glorifica il Figlio (cioè lo manifesta come figlio), assumendolo nella sua gloria; la passione di Gesù non è infatti una sconfitta, ma è il passaggio glorioso da questo mondo al Padre.
Gesù, nel suo mistero pasquale, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), ha manifestato perfettamente l’amore stesso del Padre e ha presentato se stesso come il perfetto rivelatore di questo amore. La gloria di Dio, quindi, è un mistero di amore.

Meditare
v. 31: Quando fu uscito
Diamo respiro al v. 31 iniziando dal v. 30: «egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte». Gesù ha appena intinto un boccone e l’ha dato a Giuda, intimandogli di fare subito ciò che deve fare.
Giuda esce dal cenacolo dopo aver preso il boccone. È notte, dice l’Evangelista. Questa è una caratteristica nei «discorsi d'addio» che appunto avvengono nella notte.
Il brano posto alla meditazione - Gv 13,31-35 - è preceduto da questa immersione nel buio della notte. Qual è il significato simbolico?
Giovanni esprime in tutto il suo Vangelo la simbologia sponsale, sia attraverso diverse situazioni “nuziali” vissute da Gesù, sia nel linguaggio e nei gesti vissuti dal Messia. Il buio della notte, nel Vangelo di Giovanni, rappresenta il momento più alto dell'intimità sponsale, ma anche quella dell'estrema angoscia. Altri significati del buio notturno: rappresenta il pericolo per antonomasia, è il momento in cui il nemico tesse le trame della vendetta verso di noi, esprime il momento della disperazione, della confusione, del disordine morale e intellettuale: è come una via senza uscita.
Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui.
Il versetto è scandito dall’avverbio di tempo “ora”, che indica l’uscita di Giuda dal cenacolo ma che scandisce l’inizio della passione di Gesù.
Gesù quindi incomincia a ricordare e a proclamare che la sua morte è “la glorificazione di Dio”; il momento che sta per accadere è la rivelazione del mistero di Dio e della missione di Gesù, che offre la vita al Padre nell'«ora» della croce.
In questo versetto è racchiuso in una maniera indiretta il tradimento di Giuda. Giuda sta per tradire, il suo cuore è tenebroso e ostile, Dio manifesterà quanto lo ama proprio in questo tradimento. Giuda si è perso, ma "il Figlio dell'uomo, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mt 20,28). La perdizione è, appunto, il luogo teologico della salvezza.
La gloria di Gesù (del Figlio) consiste nel suo «estremo amore» per tutti gli uomini, tanto da offrirsi anche a coloro che lo tradiscono. Un amore, quello del Figlio, che si fa carico di tutte quelle situazioni distruttive e drammatiche che gravitano sulla vita e la storia degli uomini. Il tradimento di Giuda simboleggia, non tanto l'atto di un singolo, ma quello di tutta l'umanità malvagia e infedele alla volontà di Dio.
v. 32: Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
La risposta di Dio è la glorificazione che egli, a sua volta, darà quanto prima. Colui che è “innalzato” sulla croce in premio dell’obbedienza viene innalzato alla gloria del cielo, quella stessa che già possedeva prima del suo ingresso nel mondo (17,5; 6,62; 20,17; Fil 2,9-11). Nel momento in cui Gesù percorre il suo cammino verso la croce, il Padre gli fa percorre il cammino verso la gloria, la risurrezione, la partecipazione alla vita divina, alla vita del Padre. Dunque, il Padre fa entrare Gesù nel mistero della sua stessa vita, e in questo modo lo glorifica.
Gesù proclama che Dio è credibile e può essere amato, e che in Dio si può avere fiducia. È un Dio fedele e ricco di amore, tanto è fedele e ricco di amore e si rivelerà tale con l’invio dello Spirito e all’inabitazione nei suoi fedeli.
v. 33: Figlioli, ancora per poco sono con voi;
Col termine “figlioli” Gesù manifesta la sua tenerezza verso i discepoli. Infatti il termine, nella forma letterale indica il bambino, indica che i discepoli sono ancora piccolini e che devono ancora crescere. Inoltre Gesù sta per lasciare loro il suo testamento spirituale, prima di congedarsi da loro prima di sentire il dolore della sua assenza.
voi mi cercherete
Come la cerva anela ai corsi d’acqua (Sl 42,2) e la sentinella del mattino (Sal 130,6), come la notte è attesa del giorno e la terra riarsa la pioggia (Sal 63,2), così i discepoli cercheranno il loro maestro e Signore. «Chi cercate?» è la domanda di Gesù ai primi discepoli (Gv 1,32). È la domanda di Gesù rivolta a coloro che lo vogliono sopprimere (18,4.7); «chi cerchi?» è la domanda rivolta alla Maddalena dal Risorto (20,15). Si può cercare il Signore per diversi motivi: per interesse, per volontà omicida o per amore. Ognuno, a modo suo, lo cerca. E lo trova, sempre uguale a se stesso: amore e solo amore.
ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire.
Il tema dell’andarsene di Gesù domina i cc. 13-17. È un tornare al Padre per essere con noi, in noi, con il suo Spirito. Gesù sta per andarsene e cerca di far capire ai suoi discepoli i motivi della separazione. I discepoli incapaci in questo momento, di seguirlo nella morte (16,32). Infatti, uno lo tradirà, un altro lo rinnegherà più volte e tutti scapperanno. Potranno andare dove lui è andato solo quando, elevato da terra, attirerà tutti a sé. Allora andranno da Lui che si è fatto luce per ogni cuore, acqua viva per l’assetato, pane per l’affamato.
v. 34: Vi do un comandamento nuovo:
Quasi a distogliersi da un discorso di addio, Gesù dona un nuovo comandamento che sintetizza tutto l’Evangelo.
Nuovo in greco si può dire néos che significa “un altro aggiunto”. Oppure si può dire con kainos che vuol dire “nuovo” nel senso di qualità. Gli ebrei avevano già le Tavole della Legge, i Dieci Comandamenti e Gesù non ne dà l’undicesimo. Avevano già 613 di regole da seguire, bastavano quelle, erano più che sufficienti! Gesù non aggiunge, ma toglie. Ne dà uno unico, totalmente nuovo, letto sotto un’altra luce e che soppianta tutto ciò che c'è prima. Il comando è insieme antico e nuovo. Antico come Dio che è amore, nuovo per il cuore nuovo e lo spirito nuovo che Gesù ci dona.
che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.  Gesù ci comanda di avere per i fratelli lo stesso amore che lui ha per noi. Il comandamento nuovo non è semplicemente amatevi, ma “amatevi gli uni gli altri”.
L'AT annuncia: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Dt 6,5). Cosa molto buona. Il NT guarda sotto un’altra luce: “Ama il prossimo tuo come Io ho amato te”. L'AT proclama: “Tu amerai (sottolinea una forma di dovere) il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti (cioé i comandi) che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore” (Dt 6,4-6). Il grand'angolo del NT riflette così: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv 4,19-21).
La novità del cristianesimo non è l'amore, ma l'amore come quello di Cristo. Gli uomini amano, il cristiano ama al modo di Gesù, custodendo nel cuore, ravvivando nella memoria il «come» Gesù ha amato. Questa è "la scuola dell'amore". L'amore è Lui: quando lava i piedi ai suoi discepoli (Gv 13,1-11); quando si rivolge a Giuda che lo tradisce chiamandolo: amico (Mt 26, 50); quando prega per chi lo uccide: Padre, perdonali perché non sanno (Lc 23,34); quando piange per l'amico morto (Gv 11,35) o esulta per il nardo profumato dell'amica (Gv 12,1-8), o ricomincia dai più perduti (cfr. Lc 19,10). Infatti, "Si era davvero perduto l'intero genere umano; di esso peccò un solo uomo nel quale era il tutto, e il tutto si perdette" (Sant'Agostino). 
Urge riprendere in mano il Vangelo, scovare e ricomporre tutte le tessere del mosaico che mostra l'amore usato da Gesù. 
L'amore reciproco trova in Gesù il modello e la fonte: «Come io ho amato voi». C'è nell'amore di Gesù una dimensione di gratuità che anche il nostro amore deve avere se si vuole assomigliare a Cristo.
v. 35: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Essere discepoli di Gesù significa vivere la logica dell’amore, vestirsi dell’Amore. La gratuità dell’amore di Dio che si rivela pienamente nel Figlio morto e risorto per noi, è un segno che impegna anche noi, nell’amore, e questo, segno, è la connotazione più eloquente del cristiano. Anzi l’amore reciproco non è una croce che ci è stata messa addosso, un peso difficile da portare, ma è l’abito del cristiano: una nuova capacità di vita.
Essere discepoli di Gesù non è una questione di consacrazione della vita. Scribi e farisei venivano riconosciuti dal modo di vestire. L’abito da indossare non è di nessun tessuto: il vestito visibile è l'amore. L'esteriorità materiale non dimostra la fede. La fede si misura solo nell'amore e nell'amore concreto.

La Parola illumina la vita
Sono testimone del dono pasquale, rimanendo saldo nella fede?
Cerco di imitare lo stile di Gesù, il suo donare la vita per amore?
Verifico nel cuore quanto amore mi abita, quanto sono disposto ad amare ogni mio prossimo con lo stesso amore di Gesù e dei primi discepoli?
Sento la responsabilità di manifestare nella vita concreta e feriale il dono del Vangelo che ha trasformato la mia esistenza?
Mi educo ad essere autentico testimone? Come vivo il discepolato?

Pregare
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni. (Sal 144).

Contemplare-agire
L’amore reciproco è dunque l'abito dei cristiani comuni che, vecchi e giovani, uomini e donne, sposati o meno, adulti e bambini, ammalati o sani possono indossare per gridare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare (Chiara Lubich).