sabato 25 aprile 2015

LECTIO: 4a Domenica di Pasqua (B)

Lectio divina su Gv 10,11-18



Invocare
Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore. Egli è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Silenzio meditativo: La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Capire
Siamo arrivati alla domenica del buon Pastore, una domenica in cui tutta la Chiesa è invitata a pregare per le vocazioni.
Il brano è inserito nella terza parte del libro dei segni, dove l’evangelista Giovanni riporta gli interventi fatti da Gesù durante le principali feste liturgiche giudaiche. Dopo la guarigione di un paralitico avvenuta a Gerusalemme in occasione di una festa non meglio precisata (5,1-47) e la moltiplicazione dei pani, avvenuta in Galilea, in prossimità della Pasqua (c. 6), seguite ambedue da un lungo discorso, l’evangelista situa i segni e i discorsi che hanno avuto luogo in occasione della festa delle Capanne (7,1-10,21; cfr. 7,2): Gesù si presenta anzitutto come fonte di acqua viva (c. 7) e poi, dopo l’episodio dell’adultera  (8,1-11) come luce del mondo (8,12-59), e lo dimostra con la guarigione del cieco nato (c. 9). Collegato con questo episodio si trova poi un discorso in cui Gesù si presenta come buon pastore (10,1-21): questo discorso prosegue poi nell’ambito della festa della Dedicazione (vv. 22-29). In esso egli approfondisce il tema del pastore e del gregge (cfr. Lc 15,4-7; Mt 18,12-14), mettendo maggiormente in luce, in contrasto con quanti prima di lui hanno avuto a che fare con le pecore, le prerogative che gli competono in quanto pastore.
Sullo sfondo del brano vi è sempre il tema biblico del Pastore escatologico (cfr. Ez 34). Il testo liturgico riporta la seconda parte di questo discorso.  
È evidente il legame pasquale con questo capitolo 10 giovanneo, dove sotto l'allegoria del pastore e della porta si parla dell'unico mediatore che Dio ha inviato per salvare il suo popolo (con riferimenti pure all'Esodo), mediatore che offre la sua vita.
I testi scritturistici abbinati al vangelo di questa domenica, oltre al salmo pasquale (sal 117) sono un brano della prima lettera di san Giovanni (1Gv 3,1-2) dove ritroviamo il tema della conoscenza vitale tra Gesù / Dio Padre e noi suoi figli e il testo di Atti (At 4,8-12) in cui Pietro afferma che solo nel nome di Gesù c'è salvezza. La centralità dell'opera di Cristo Gesù nel piano di salvezza di Dio Padre appare così in piena luce, mostrando che essa si compie nel dare la vita; un modello a cui i discepoli sono invitati a guardare e in cui ogni vocazione nella Chiesa prende forma e può sussistere.

Meditare
v. 11: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Qualche versetto prima, Gesù si presentò come “porta”, in quanto egli è l’accesso alla vita. Ora si presenta come pastore.
Il testo greco non presenta Gesù come un pastore qualsiasi. Egli è il pastore ideale annunziato nelle Scritture. Dice: ho kalòs che richiama alla bellezza più che alla bontà; tipica caratteristica del pastore vero che dona la vita per i suoi (cfr. 15,13).
Egli è colui che dona, che depone la propria vita. L'espressione è riportata più volte in questo brano (v. 11.15.17.18). Gesù depone la vita «per» (hyper) le sue pecore. Questa frase richiama Mc 10,45 dove si dice che Gesù dà «la sua vita come riscatto per (anti) molti» (le due espressioni hyper e anti si equivalgono).
Il verbo «(de)porre» (tithêmi) è usato nel senso di offrire in modo consapevole e libero. Tale espressione la ritroviamo nel capitolo 13 per la lavanda dei piedi ( cfr. Gv 13,4.12, dove si parla delle vesti, simbolo della vita stessa) è tipica di Giovanni per indicare il libero gesto di Gesù che si mette nella mani del Padre in favore delle pecore, gli uomini e le donne di ogni tempo, in vista della loro salvezza. Ciò scaturisce dall’amore.
La vita viene comunicata soltanto dall’amore, che è dono di sé agli altri (15,13). Il massimo dono di sé è la piena comunicazione dell’amore.
L'immagine del pastore, che troviamo anche nei sinottici in testi diversi su Gesù e le sue opere (vedi Mt 18,12-14; Lc 15,3-7; Mt 9,36-38; Mc 6,34; 14,27; Mt 10,16; 25,31-11; Lc 12,32) ha sullo sfondo molti passi AT ed ha un chiaro valore messianico (vedi Mi 5,3; Ez 34,23-31; Ger 3,15; 23,35; Sal 23; Zc 13,7-9).
vv. 12-13: Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde;  perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
L’immagine che viene presentata in questi versetti è il negativo del pastore. Infatti, il mercenario è colui che ha interesse a riscuotere per quello che fa, lo fa per soldi. Il pastore invece no: presta il suo servizio con amore rinunciando al proprio interesse, disposto a dare, deporre la vita per le pecore.
Altra figura negativa è il lupo, che non fa altro che compiere strage: rapisce e disperde. Questa figura negativa è messa in relazione con i ladri e briganti di 10,8.
Gesù non fa altro che raccogliere i figli dispersi (11,52).
Il messaggio è rivolto anche a quanti nella chiesa primitiva e di sempre svolgeranno il ruolo di pastori: anch'essi dovranno essere animati dai sentimenti qui descritti e che anche san Pietro ripropone (vedi 1Pt 5,2-4). Pure negli Atti c'è un eco di questo nel discorso di Paolo a Mileto (At 20,29.31).
vv. 14-15: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
Il buon pastore, Gesù, ha una conoscenza particolare di noi, così come testimonia l'AT (cfr. Os 6,6; Am 3,2; Ger 22,16; Sal 139,1-6) e dal contesto biblico generale in cui il verbo greco ginòsko indica una conoscenza esistenziale, intima, profonda dove tutta la persona e la sua esperienza concreta è coinvolta.
Il verbo conoscere usato quattro volte nel brano indica l’amore di Gesù per i suoi discepoli. Fondamento e modello di questo è l’amore reciproco tra lui e il Padre, sorgente ultima.  La particella «come» (kathôs) comporta infatti anche questa sfumatura: è l’amore mutuo tra Gesù e il Padre che viene esteso a coloro che credono in lui, i quali perciò non sono solo amati da Gesù ma sono resi partecipi della sua comunione di vita con il Padre.
Questa conoscenza è emersa in 10,4-5 ed ha come riferimento e matrice la conoscenza tra il Padre e il Figlio, si tratta di una conoscenza reale e intensa, dall'amore (cfr. 1Cor 8,3), basata anch’essa sulla comunione di Spirito (1,32; 4,24).
Ora, questa relazione fra Gesù e i suoi è creata dalla partecipazione allo Spirito (1,16).
v. 16: E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Gesù esplicita altre pecore che non sono di questo ovile e che egli deve pure condurre. Vuol dire chiaramente che lʼattuale comunità di fede non esaurisce il concetto di comunità di Gesù, ma ne rappresenta solo lʼinizio. Le altre pecore sono i gentili che entreranno a far parte della comunità messianica. Anch’essi ascolteranno la «voce» di Gesù, cioè crederanno in lui. I verbi al futuro si riferiscono a un tempo successivo, quello in cui la chiesa svolgerà la missione universale che le è stata affidata dal Risorto (cfr. Mt 28,19). Infatti, nelle parole di Gesù vi è anche il futuro della Chiesa. La sua missione non si limita al popolo giudeo, si estende a tutti i popoli (11,52-54).
Questo universalismo è in consonanza con la concezione di Giovanni che, fin dal Prologo, colloca il suo vangelo nel contesto della creazione. Nel pensiero dell’evangelista Giovanni uno degli effetti della morte di Cristo è il raccogliere nell’unità i dispersi (cfr. 11,52).  
vv. 17-18: Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Gesù, a partire dal momento in cui il Padre, con lo Spirito, gli conferisce la missione (1,32s), tutta la sua esistenza è interamente dedicata a condurla a termine, identificando la sua attività con quella del Padre (5,17).
Qui, in poche battute, si riassume la Pasqua del Signore. Il Gesù pasquale è Colui che sta davanti al Padre come colui che offre la vita e come colui che la riprende di nuovo. La Pasqua del Signore diventa lʼevento nel quale Gesù offre la sua vita e nel quale Gesù la riprende. Così anche noi in lui, solamente in lui.
Nel testo di Giovanni troviamo diversi riferimenti in merito (12,24.32; 15,13; 16,21): l'amore del Padre per il Figlio e per il mondo e l'amore del Figlio per il Padre e per il mondo si manifesta nell'obbedienza sino alla morte di croce, dove si dona completamente e liberamente per dare la vita in abbondanza a noi e a cui il Padre risponde con la resurrezione il luogo in Gesù riprende di nuovo la sua vita donata.
In queste parole trova “corpo” la Chiesa popolo della Pasqua, un chiesa cosciente che ciò che è lo è perché possa offrire la sua vita. Solo offrendo la vita può vivere.

La Parola illumina la vita
Sono capace di ascoltare la voce del buon Pastore?
Gesù, Pastore buono, vive la follia dell’amore. Mi sento pensato, amato, chiamato? Oppure penso che sia una elite riservata?
Mi sento al seguito di Gesù perché parte di una comunità pasquale in cammino?
Riconosco in Gesù il modello secondo l’evangelista Giovanni, perché possa riconoscere e vivere l’amore di Dio in mezzo agli altri?
Pensando alla mia famiglia o alla mia comunità, come la mantengo unita come unico gregge?
Sono facile a dire “sono abbandonato dal Pastore”. Io, quando mi isolo dal gregge?

Pregare
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.     

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.          

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre. (Sal 117).

Contemplare-agire

Contemplare il mistero dell’amore significa ritrovarlo e darne il giusto senso. Lasciamoci guidare dallo Spirito per essere in grado di vivere il progetto d’amore di Dio e di annunciarlo incondizionatamente.