giovedì 27 marzo 2014

LECTIO: 4ª DOMENICA DI QUARESIMA (A)

Lectio divina su Gv 9,1-41

Invocare
O Padre, il tuo Figlio è venuto perché i ciechi trovino la vista e gli occhi degli egoisti si aprano sulle piaghe dei miseri. Risplenda anche su di noi il chiarore del Vangelo, parola di gioia e di speranza per i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». 9 Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10 Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11 Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so». 13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20 I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». 22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».
24 Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». 25 Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26 Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27 Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28 Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30 Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35 Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37 Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38 Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
39 Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40 Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane».

Silenzio meditativo: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Capire
La celebrazione di questa domenica, a metà del cammino quaresimale, è pervasa da un contenuto senso di gioia; è la domenica Laetare (rallegratevi), espressione ricavata dall'antifona d'ingresso della Messa.
Il brano di questa domenica, dopo quello della Samaritana, è il racconto di uno dei segni che dominano la prima parte del vangelo di Giovanni. Esso si trova nella sezione terza (5-10) e racconta il quarto e ultimo segno di quelli narrati in essa. 
La guarigione di un uomo nato cieco, unico caso nel NT; si avvicina alle guarigioni di ciechi narrate dai sinottici, in particolare Mc 8,22-26 e 10,46-52; in esso emerge il simbolismo della luce e, come nel testo di domenica scorsa (la samaritana Gv 4,1-42), abbiamo una progressione nella comprensione dell'identità di Gesù.
"Il contesto offerto dall'evangelista si riferisce alla festa dei Tabernacoli, memoria gioiosa del soggiorno d'Israele nel deserto (Gv 7,1). In quel giorno il sacerdote attingeva alla piscina di Siloe l'acqua lustrale da effondere sull'altare e la sera, torce e bracieri, posti sulle mura del Tempio, illuminavano fantasticamente la città santa" (G. Ravasi).
Acqua e luce sono i simboli che troviamo lungo il brano per un cammino di fede, per l'incontro della fede nella conoscenza di Dio.

Meditare
vv. 1-2: Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?».
Questi due versetti ci introducono alla vita con il passaggio di Gesù. Il versetto è intriso del passaggio di Dio nella vita di tutti. Gesù passa ed è sempre in cammino per incontrare ogni persona. Il suo passare si imbatte in un uomo cieco, descritto in atteggiamento contrario, fermo, in attesa di aiuto (come il paralitico di Betesda, cfr. 5,1-9).
L'incontro ha il "sapore" della chiamata, come viene riportato nella chiamata dei primi discepoli.
I discepoli irrompono questa chiamata con una domanda, cercando in Gesù una decifrazione della casistica sul fatto che l'uomo fosse cieco. Una irruzione accompagnata dalla mentalità del tempo, ove malattia e peccato avevano un rapporto diretto (cfr. Es 9,1-12; Sal 38,2-6; Ez 18,20).
Nell'AT era escluso che il peccato dei padri potesse ricadere sui figli. Il profeta Ezechiele stabilisce questo dato fermo (Ez 18,1-32), ribadendo la Volontà del Signore: «Avrò forse Io piacere della morte dell'iniquo - parla il Signore Dio! - o piuttosto che egli si converta e viva?».
vv. 3-5: Rispose Gesù: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 
Questi versetti racchiudono la risposta di Gesù che presenta la situazione dell'uomo cieco in riferimento al piano di Dio, alla salvezza. 
Il v. 3 riprendo la citazione di Ger 31,29-30 si chiude con un segno divino. Infatti, il segno che segue  riguarda la Gloria divina, la cui manifestazione finale è la Resurrezione di Cristo stesso, la massima opera del Padre con lo Spirito. Così sarà anche per Lazzaro (11,4). 
Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato 
Gesù parla al plurale, non è solo. Anche i discepoli sono coinvolti in questo segno della Gloria divina, anche loro compiono le opere di Gesù e quindi di Dio (cfr. Gv 14,12).
Qui la sofferenza umana viene proposta non come argomento di discussione, ma come provocazione all'agire.
finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 
Di questo operare, che è necessità per i discepoli, si mette in evidenza la sua urgenza.
Il giorno, ricordato in 11,9-10, indica la vita terrena di Gesù, durante la quale egli svolge la missione che il Padre gli ha affidato, e la notte di contro la sua morte imminente (cfr. 13,30); il plurale utilizzato al v. 4 suggerisce che anche per ognuno di noi c'è un tempo utile per ascoltare ed operare secondo Dio. Dice sant'Agostino: "Operi dunque l'uomo finché vive, per non essere sorpreso dalla notte in cui non si può operare. E' ora che la fede deve operare mediante l'amore, e se ora operiamo, ecco il giorno, ecco il Cristo".
Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo.
Cambia il tono di Gesù, manifestandosi gradualmente. Egli ribadisce subito che è lui che fa la differenza. L'identificazione della luce con Gesù stesso, con la forma classico in Giovanni dell' "io sono" (cfr. 8,12; 12,35), come è stato proclamato nel prologo (1,4.9).
vv. 6-7: Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
La graduale rivelazione è accompagnata da segni. Qui Gesù in maniera determinata fa un segno, un segno simbolico ripreso dalla creazione (cfr. Gn 2,7; Is 64,7) come a significare che l'intervento di Gesù ri-crea l'uomo nato cieco. 
Il gesto lo riscontriamo altrove con altri infermi (cfr. Mc 7,33; 8,23; Mt 9,29).
gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. 
Il cieco guarisce per una risposta. Guarisce per una fede obbediente. Nell'AT il profeta Eliseo al lebbroso Naaman siro aveva ordinato un'azione analoga: doveva andare a lavarsi nel fiume Giordano, per ottenere la guarigione (2 Re 5,10).
L'aprire gli occhi ai ciechi era già nell'AT un gesto dai connotati messianici (cfr. Is 6,9-10; 29,9-12; 35,4) e Gesù si presenta come il "giorno", come la luce che rischiara le tenebre dell'umanità.
Il nome della piscina: "Sìloe" (ebraico: Shaliah, aramaico: Shliha') significa canale emittente o acqua inviata
Siloe è la fonte della festa delle Capanne, la sorgente cantata da Isaia (8,6-7) come simbolo del Signore e della sua protezione. L'evangelista forza un po' la traduzione della parola Siloe con "inviato" per dargli un senso cristologico (cfr. 4,34; 6,29; 10,36)di cui S. Agostino dirà: il cieco non lava i suoi occhi in una qualsiasi sorgente ma nelle acque simbolo di Dio, anzi del Cristo stesso, l'Inviato del Padre.
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 
Questa parte finale è accompagnata da tre verbi, da tre movimenti quasi ad un richiamo di innesto nella Santissima Trinità, che ti accoglie per ridarti la giusta dignità di figlio.
L'uomo accogliendo l'invito ad andare a lavarsi manifesta la sua disponibilità a compiere quanto la parola di Gesù dice (cfr. 1,12) e così ottiene la guarigione, non dall'acqua, ma da Gesù stesso: "si lavò a Siloe, cioè fu battezzato in Cristo" (Sant'Agostino).
vv. 8-12: Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so». 
Questi versetti racchiudono la reazione della folla alla guarigione. Tale reazione innesca una serie di polemiche che occupano la parte centrale e più lunga della pericope; si tratta di un gruppo di versetti divisi in tre scene precedute da una introduzione, i vv. 8-12, in cui si identificano l'identità del destinatario della guarigione, e la modalità del segno, della guarigione stessa.
Alla domanda «Dov'è costui?» la risposta del guarito è sinonimo dell'ignoranza della fede, che nonostante tutto è imperterrita (cfr. Gv 1,31.33): è la fatica della crisi nella fede. Una crisi che riflette sul cambiamento, non solo fisico, nel senso che ora ci vede, ma anche sul piano umano/spirituale. Da una situazione di inattività egli è passato, per l'azione risanate dello Spirito Santo, a quella di uomo libero. Però, tra breve farà il salto qualitativo, riconoscerà in Gesù il profeta che viene da Dio (v. 17), e il Figlio dell'uomo, nel quale si rivela il Padre (v. 35ss).
vv. 13-17: Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 
In questi versetti, il guarito è chiamato a dare risposta sul come è stato guarito dinanzi ai tutori della legge, che, ciechi spiritualmente, considerano solo la non osservanza del sabato, dimenticando di riflettere sui «segni» che Gesù operava (Gv 2,23-25; 5,1-18). 
Il guarito in semplicità risponde, anche se sconosce l'identità di Gesù. E' il buio della fede ove l'uomo è chiamato a dare una risposta, a schiarirsi dentro nonostante il dono della luce. La pista da seguire è nella Sacra Scrittura, ove Dio continua a ricordare all'uomo: “Ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso” (Dt 5,15); “Ricordati di quello che il Signore, tuo Dio, fece al faraone e a tutti gli Egiziani: le grandi prove che hai visto con gli occhi, i segni, i prodigi, la mano potente e il braccio teso, con cui il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire. Così farà il Signore, tuo Dio, a tutti i popoli, dei quali hai timore.” (Dt 7,18) e tanti altri paralleli in cui il Signore dice ad Israele di far memoria delle grandi opere che compiute perché lo ama.
Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?».  
Il precetto del sabato era sacro ed inviolabile (Es 20,8); cessare (significato di Shevat) significa la cessazione di qualsiasi attività lavorativa. Tra i numerosi precetti che l'ebraismo prescrive, lo Shabbat ha sempre occupato un posto fondamentale nel cuore dell'ebreo osservante. Le categorie da osservare sono 39 da cui derivano altre proibizioni (cfr. Es 35,1-3; Nm 15,32-36).
Egli rispose: «È un profeta!
Non è facile trovare risposta. Solo il miracolo trova per tutti una risposta. Il guarito fa di più: prontamente emette la sua professione di fede: «E' un profeta!». Ossia Gesù non solo è gradito a Dio, ma agisce nel suo nome.
Il cieco riconosce, in maniera graduale, chi è Gesù. Inizialmente come uno che fa semplicemente dei miracoli (cf v. 15), poi un «profeta» (cfr. v.17), «uno che fa la volontà di Dio» (v. 31), che è «da Dio» (v. 33).
vv. 18-23: Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».
Dal v. 18 non si parla più dei farisei, ma dei giudei (v.10), ossia di tutto il gruppo legato al potere religioso e politico che si oppose a Gesù.
In questi versetti entra in scena la testimonianza dei genitori; i giudei non essendo disposti a credere al prodigio operato da Gesù e non trovando nel miracolato appoggio alla loro incredulità, tentano di sostenere che egli non era nato cieco. Ma non ricavano nulla, rimangono increduli dinanzi all'evidenza. 
I Genitori non vivono quella stessa gioia del figlio e rimandano al figlio in quanto ha l'età giuridica per poter rispondere da sè. E' il grande terrore della scomunica dalla sinagoga (cfr. 7,13; 12,42; 19,38; Nicodemo va di notte da Gesù per non farsi notare, 3,2); la cospirazione contro Gesù era già stata stabilita (7,45-52).
Possiamo cogliere qui la difficile scelta di ciascuno nei confronti di Gesù e alle sue opere, ai suoi segni.
Essere inondati di luce significa impegnarsi personalmente a decidersi per il Regno, a seguire Gesù, impegnando tutta la propria vita, anche a costo dell'emarginazione o della stessa vita.
vv. 24-25: Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo».
E' la terza fase del tentativo, dell'ostinazione, della durezza di cuore, del buio. Colui che era cieco viene di nuovo sottoposto ad una serie di domande che si aprono con un'espressione biblica, un invito ad esprimersi a favore della verità (cfr. Gs 7,19; 1Sam 6,5; Ger 13,16). 
L'invito “dare gloria a Dio” significa: “Chiedi perdono per la menzogna che hai appena detto!” Il cieco aveva detto: “E’ un profeta!”
In quest'invito abbiamo un giudizio: si manifesta infatti la chiusura degli uni e l'apertura alla fede dell'uomo risanato da Gesù.
vv. 26-27: Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?».
Anche qui troviamo il dramma del divaricarsi delle due posizioni. Il guarito capisce che si vuole trovare un pretesto per condannare Gesù. Per questo risponde con ironia, fino a smascherare le loro intenzioni.
vv. 28-29: Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 
Qui abbiamo dei rimandi ad altri passi giovannei dove Gesù polemizza con farisei e giudei (cfr. 6,42; 7,27.42.52; 8,31-59; 10,22-39) e un confronto tra la sua opera e quella di Mosè.
Il guarito riesce a smascherare l'ingiuria. Si può cogliere tutto il disprezzo che i giudei hanno nei confronti di Gesù che nemmeno lo chiamano per noi, ma lo indicano con un pronome, mentre ostentano la loro fierezza di essere discepoli di Mosè.
Qui l'evangelista non fa altro che mettere in primo piano il destino di chi non si vuole aprire al dono della luce offerta dal Cristo.
vv. 30-33: Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Dinanzi alla cecità dei farisei, cresce nel cieco la luce della fede. Lui non accetta il raziocinio dei farisei e confessa che Gesù viene dal Padre, facendo un riferimento ai testi profetici (cfr. Is 29,18-19; 32,3-4; 35,5; 42,6-7;61,1).
v. 34: Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Questa conclusione mostra un atteggiamento che viene registrato da Giovanni anche in altri passi (cfr. 12,42; 16,2).
La professione di fede causa all'ex cieco l’espulsione dalla sinagoga. Lo stesso succedeva nelle comunità cristiane della fine del primo secolo. Colui che professava la fede in Gesù doveva rompere qualsiasi legame familiare e comunitario, per testimoniare la verità sotto la potente azione di Dio che ammaestra interiormente (cfr. 6,45). Così succede anche oggi: colui o colei che decide di essere fedele a Gesù corre il pericolo di essere escluso.
vv. 35-38: Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
In questa parte conclusiva, preceduta da tanti ostacoli e avversità, il Sanante e il sanato sono uno di fronte all'altro. Gesù non abbandona, ma va incontro all'uomo non solo per guarirlo nel corpo ma per donargli se stesso. La vicenda prefigura la vicenda della prima comunità (cfr. 15,1-16,4a).
Gesù si rivela al guarito come il Figlio dell'uomo, ossia colui che viene dal cielo per radunare gli uomini ed elevarli alla partecipazione della vita di Dio (cfr. 1,51; 3,14-15; 6,62-63).
A questa rivelazione, l'uomo sanato risponde con una piena adesione di fede espressa con le parole e un gesto carico di significato, ed esprime la convinzione che Dio è presente nella persona di Gesù. Il verbo proskunéo utilizzato è sempre in Giovanni di forte senso teologico ed indica l'adorazione dovuto a Dio (cfr. 4,20.21.22.23.24; 12,20). La fede di quest'uomo raggiunge la piena maturità.
vv. 39-41: Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane».
Gesù descrive il motivo della sua venuta. La parola "giudizio" in greco vuole indicare un processo, per un itinerario salvifico (3,17; 12,47). Un itinerario che può creare dubbio e divisione. Chi si riconosce nel buio, avrà il dono della luce e la professerà.
Però, alla professione di fede, c'è sempre una opposizione di quanti sono rimasti ciechi. Infatti, la prima condizione per uscire dal peccato è avere coscienza di essere nel peccato. La fede inizia, opera ed esige il riconoscimento della realtà quale essa è in rapporto a Dio e all'uomo: Dio è misericordia, l'uomo è miseria e peccato.
Il cammino del cristiano è cammino di luce, di risurrezione. L'apostolo Paolo ci esorta a comportarci come “figli della luce” e ci indica che “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5,9). Quindi, “gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie” (Rm 13, 12-13). 


La Parola Illumina la vita
La storia della guarigione del cieco ci aiuta ad aprire gli occhi sull’immagine di Gesù che ognuno di noi porta in sé. 
Qual è il mio atteggiamento di fronte alle parole di Gesù, al testo del vangelo? Sono aperto alla novità che esso annuncia o ho mi lascio sviare da giudizi e opinioni precostituite? Sono disposto a cambiare per accogliere la luce offerta da Gesù sulla mia vita?
Cresco gradualmente attraverso i doni che il Signore mi fa o rimango ostinato nella mia cecità?
Vivo nella luce della grazia, ricevuta nel battesimo e sempre offerta nella celebrazione dei sacramenti della chiesa, lasciandomi illuminare da essa nelle diverse teppe della mia vita? O penso di sapere già tutto?

Pregare
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. (dal Salmo 22).

Contemplare-agire
La Lectio di questa domenica invita ad un livello più profondo. Non ci vuole soltanto uomini vedenti, ma anche di larghe vedute, capaci di superare barriere personali di presunzione e di falso orgoglio per giungere all'obiettivo della conversione e della comunione con lui per la riedificazione del mondo.