mercoledì 25 dicembre 2013

LECTIO: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (A)

Lectio divina su Mt 2,13-15.19-23


Invocare
O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell'aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Capire
Nel brano evangelico odierno, l’evangelista Matteo ci presenta la persona di Gesù come il compimento delle Scritture. Il brano Mt 2, 13-23, fa parte della sezione che tratta la nascita e l’infanzia di «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Sembra che in questo brano scorra un certo abbandono già citato in Ct 1,4: “trascinami con te, corriamo! Mi introduca il re nelle sue stanze”.
Infatti i vari movimenti che possiamo raccogliere non è altro che entrare nella stanza del re, di Dio e lasciarsi guidare da Lui, perché “dolce è il suo frutto al mio palato” (Ct 2,3).
Il vangelo di Matteo è stato chiamato «il vangelo del Regno». Matteo ci invita a riflettere sulla venuta del regno dei cieli. Nella struttura del suo racconto evangelico alcuni hanno visto un dramma a sette atti che trattano la realtà della venuta di questo Regno. Il dramma comincia con la preparazione a questa venuta del Regno nella persona del Messia fanciullo e termina con la venuta del Regno nella sofferenza e nel trionfo con la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Matteo è lo scriba saggio che sa trarre dal suo tesoro quello che è antico e quello che è nuovo per la vita di ciascuno. Nelle righe di questo brano scorrono molto espressioni che raccolgono la vita dell’uomo, utili ad illuminare il nostro cammino.
La nostra attenzione oggi è sulla Santa Famiglia e in particolare su Giuseppe, presentato da Matteo nella sua responsabilità di “capo-famiglia”, che si lascia guidare dalla parola di Dio in questo contesto di violenza e di persecuzione.

Leggere
13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
19 Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. 22 Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Silenzio meditativo: Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie

Meditare
v. 13: Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”
Il versetto inizia collegandosi ai fatti precedenti che narravano la visita dei magi. I Magi erano giunti da lontano ad adorare quel bimbo che era loro nato e avevano portato doni misteriosi per un bimbo nato in una mangiatoia, doni carichi di significato simbolico.
Ora la scena cambia totalmente: questa famiglia deve subito confrontarsi con una situazione ben diversa: qualcuno non vuole che questo Re regni e perciò cerca di ucciderlo. 
Il tema dei re che uccidono i temuti avversari è comune nella storia di ogni dinastia regale. Nella letteratura biblica oltre a questa scena di Erode che cerca il bambino Gesù per ucciderlo, troviamo nell'AT alcuni racconti simili. Di Gesù Luca dirà: “Egli è qui … segno di contraddizione perché siano svelati o pensieri di molti cuori” (Lc 2,34) e Giovanni: “Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
Il Signore parla al cuore di Giuseppe e le sue parole sono ricche di senso. I verbi usati stanno ad indicare l’urgenza dei fatti. Giuseppe è invitato a “prendere con sé”, cioè ad instaurare una relazione all’interno di una famiglia. Giuseppe qui non dice nulla, ma in obbedienza alla Parola e alla sua vocazione “fa’”.
Prendere con sé significa ricevere, accogliere l’altro come un dono e assumersi la responsabilità di quest’accoglienza, nella reciprocità del dono. Ed è quanto gli sposi promettono nel rito del loro matrimonio: accoglienza reciproca e carità.
Il “fare” di Giuseppe lo conduce a fuggire con la sua famiglia in Egitto. Matteo a differenza di Luca non parla di precedenti viaggi. Egli dice solo che Gesù nacque a Betlemme e poi, alla fine del brano di oggi, si dirà che Giuseppe sceglie, come luogo per stare, una volta tornato dall’Egitto, Nazareth. Betlemme e Nazareth sono così i luoghi dell’infanzia di Gesù, della sua vita “nascosta”.
L’Egitto è una terra di rifugio temporaneo. In Gen 46,2-4 si legge l’avvertimento fatto a Giacobbe che forse è risuonato nel cuore di Giuseppe e di Maria mentre fuggivano in Egitto: “Dio disse a Israele in una visione notturna: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: "Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare”.
vv. 14-15: Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. 
I versetti mostrano una prontezza di Giuseppe e questa prontezza è segnata dalla notte. Una notte che in obbedienza alla Parola diventa segno per ciascuno di noi in quanto la notte non è paura, ma si trasforma in grido di gioia, come faranno le vergini: “ecco lo sposo” (Mt 25,6).
In questa situazione Giuseppe è modello per ciascuno di noi e il suo muoversi nella notte indica anche “vegliare”, “faticare”.
Giuseppe in obbedienza si rifugia in Egitto. La parola rifugio, etimologicamente, indica un movimento all’indietro, quasi un ritorno sui propri passi. In effetti è il cammino del popolo israelita che va in Egitto per poi ritornare. Giuseppe accoglie la voce del Signore e fa il padre fino in fondo, anche in Egitto. E Matteo si premura qui di indicare che quanto si sta realizzando corrisponde a un disegno di Dio secondo l’antica profezia di Os 11,1: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” si riferiva al popolo che Mosé aveva per ordine di Dio portato fuori dall’Egitto, ora, per Matteo, diventa rivelazione dell’identità di quel bambino che Giuseppe ha preso con sé, assumendone ogni responsabilità.
vv. 19-20: Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti, infatti, quelli che cercavano di uccidere il bambino»
Erode muore, i grandi della terra muoiono come tutti. Tutto passa, ma il piano di Dio si compie. Le mie parole non passeranno afferma Gesù (Mt 24,35), perché “il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni” (Sal 32,11). Entra nelle vicende della storia umana ma le supera, mentre attraverso di esse scrive un’altra storia, la storia del regno dei cieli. Per Giuseppe è ancora notte e, nella notte, la Parola del Signore si manifesta ancora una volta in sogno. Il movimento è sempre lo stesso. Giuseppe deve ritornare nuovamente sui suoi passi e ricominciare da capo.
Dalla composizione letterale, sembra che Giuseppe non si sia mai staccato dalla Parola, dal farsi istruire da Essa. È la sua lectio divina che lo trasforma in mendicante di amore. Giuseppe, infatti, è l’uomo in obbedienza alla Parola e ad Essa (a Dio) ha affidato la sua vita e quella della sua famiglia. Egli è l’uomo del cantico nuovo perché spogliato dalle sue incertezze e dubbi.
vv. 21-23: Egli si alzò, prese il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d’Israele. Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»
È ancora notte. La notte della paura. Giuseppe ha paura, egli è un uomo come tutti. In questa sua paura, Giuseppe continua a proteggere e si mette nuovamente in cammino: una nuova fatica della paternità.
Giuseppe è l’uomo che avvolto dal silenzio si guarda dentro pensando di colorare la sua vita con i stessi colori che usa Dio, gli stessi che ha usato con Maria lasciandosi abbracciare da Dio così come è, esultando in Dio come Maria. Se Dio salta dentro la tua povertà, allora la vita personale si colora. Questo Giuseppe l’ha capito.
Si ritira perciò nella regione della Galilea, a Nazareth. Il verbo usato è lo stesso con cui all’inizio del brano odierno si era detto dei magi che “si erano ritirati”, o che “erano tornati indietro”. L’Evangelista vuole sottolineare questo particolare perché quel bambino “sarà chiamato Nazareno”, secondo le antiche profezie. Non si sa bene a quale profezia alluda Matteo, per lui il fatto che Gesù venisse da Nazareth, corrisponde però al piano di Dio, che Giuseppe nella sua fedeltà alla voce della coscienza, unita alla sua prudenza e saggezza umana compie in silenzio e senza indugi.
Gesù ripercorre la storia del popolo d’Israele come un nuovo Mosè che scampa la strage degli innocenti, permane in Egitto, ritorna in patria e va in esilio a Nazareth. Gesù è un messia solidale con il suo popolo, con la sofferenza di ogni uomo. Il cammino di Israele con Mosè era stato segnato dal peccato e dalla morte, Gesù grazie a Giuseppe “salvatore del Salvatore”, apre un nuovo cammino verso la vita senza fine.

La Parola illumina la vita
Matteo è l’evangelista del “regno dei cieli”. Che cosa significa per me il regno dei cieli?
Sono una persona che supera gli ostacoli con l’aiuto della Parola di Dio o che “tiro a campare”?
La vita di Giuseppe non è mai stata un cammino solitario lontano da Gesù e da Maria, io con chi cammino?
Sono capace anche io di “prendere il bambino e sua madre” nella mia vita di tutti i giorni? Che spazio ha nella mia famiglia la parola di Dio e la preghiera?
Nelle nostre famiglie c'è una lettura "sapienziale" dei fatti, avvenimenti, esperienze e quindi della vocazione di ciascuno, oppure lasciamo tutto ad una reazione istintiva per lo più condizionata dalla cultura circostante del momento?

Condividere...

Pregare
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! (Sal 127).

Contemplare-agire
In questa domenica dedicata alla santa famiglia di Nazaret, Giuseppe ricorda a tutti noi, il segreto per ogni famiglia umana: prendere con sé Gesù e sua madre Maria proprio come gli sposi di Cana e ascoltare in maniera fattiva il grande invito della madre di Gesù: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).


lunedì 23 dicembre 2013

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (A)

Lectio divina su Lc 2,1-14


Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4 Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5 Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6 Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio. 8 C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10 ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Capire
Abbiamo appena concluso l’itinerario dell’avvento. I giorni che hanno preceduto il ricordo di questo evento sono stati segnati dalla persona del figlio di cui Maria di Nazaret è venuta misteriosamente incinta.  
"Il racconto della nascita di Gesù è ambientato al tempo in cui a Roma regna l'Augusto. Sono vent'anni che Ottaviano si fregia di questo titolo, che il senato gli ha conferito insieme a quello di imperator. Ottaviano - il Sebastos, il Divino - è celebrato in tutto l'impero per la sua audacia, mitezza, pietà e giustizia e in Oriente, nei templi a lui dedicati, riceve il culto riservato agli dèi" (Fernando Armellini).
In questo contesto storico si innesta una nuova storia, l'inizio dei lieti annunci.
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. Esso non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti.
La liturgia, nella notte di Natale, ci presenta solo 14 versetti. La nascita di Gesù è in 40 versetti. In questi 40 versetti ci sta un confronto tra questa scena e la precedente: riguardo al Figlio di Maria, l'obiettivo è puntato in primo luogo sulla scena della nascita, mentre per Giovanni si dà risalto alla circoncisione e all'imposizione del nome. Ma è la notte di Natale. Una notte che nei Vangeli prende forma riflessa per la nostra vita.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore. Dio entra nella vita degli uomini fuori dal tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla “Città”. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.

Silenzio meditativo: Oggi è nato per noi il Salvatore

Meditare
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.  
Luca vuole indicare il contesto storico della nascita di Gesù e allo stesso tempo mostrare che l'azione divina si serve del decreto di Cesare. Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Qui troviamo l'importanza dell'annunzio di salvezza in un contesto storico. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Luca qui sottolinea "casa", "famiglia"  cioè l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che è incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”. 
In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla "strana" gravidanza. Ma Lc presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare. La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare, dunque la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazaret. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
vv. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito.
Ci troviamo a Betlemme. Nell’AT é importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di David. Il luogo è la casa, è la famiglia parole sottolineate dall’evangelista Luca. 
In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo è integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria da alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. L'Evangelista qui non fa altro che richiamare ciò che dice la Legge in riferimento ai primogeniti: "tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno" (Es 13,12).
Donare il primogenito al Signore significa metterlo a completa disposizione del volere di Dio.
Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia.
I movimenti di Maria (lo avvolse in fasce, lo pose in una mangiatoia), sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù: avvolto in fasce e posto nel sepolcro (vedi l'icona bizantina). 
Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne è quell'agnello che dovrà essere consegnato al mondo. Di questo Maria ne è cosciente.
Nel simbolo della mangiatoia (phátnē) che vuole indicare sia la greppia che il tascapane dei pastori, l'evangelista Luca traduce proprio il senso di "farsi pane", che consisterà nel farsi mangiare, essere alimento di vita. Tutto questo ritroveremo nell'ultima cena quando Gesù stesso dirà "prendete e mangiate", "prendete e bevete".
Per loro non c'era posto nell'alloggio.
Per capire cosa significa alloggio, dovremmo spostarci a Nazaret, presso la basilica dell'Annunciazione, per visitare gli scavi archeologici che mettono in rilievo le case dei poveri costituite da un unico vano molto spazioso in cui viveva tutta la famiglia. Nella parte più interna vi era il posto per gli animali. Questo è ciò che viene chiamato Katàlyma.
L'alloggio diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18, 28-19, 16). 
Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàlyma sarà anche quel luogo dove Gesù mangerà la pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. Lc 9,12; 19,7; 22,14).
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Luca indica i pastori perché questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti. Gli egiziani li consideravano un abominio (Gen 46,34).
I pastori, sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18). 
Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
Luca, è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna se stesso ai semplici. Un particolare che riscontriamo ancora: pensiamo a Maria in Lc 1,48: “alla bassezza della sua serva”; Lc 6,20: “beati voi poveri”; Lc 10,21: “ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti”.
vv. 9-11: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. 
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma è una luce che è per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
Il Signore li rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all'angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri, conducendo alla gioia vera.  
La gioia presente in tutto il vangelo lucano è una caratteristica della fede nell'itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all'infinito, come l'amore. Quindi l’angelo dice: vi evangelizzo, c'è qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita.
Og­gi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, “semeron” è un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”.
Altri episodi del vangelo o della Sacra Scrittura: “oggi è entrata in questa casa la salvezza”, “ascoltate oggi la sua voce del Signore"; ”oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”; “oggi sarai con me nel paradiso”; “oggi ti ho generato”.
C’è un “oggi” che si relaziona nell' hic et nunc con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma "Carne", "Corpo", presenza incarnata profondamente dentro la storia: la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta  ancora difficile per molti.
Questo versetto presenta il nome del Bambino coi tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall'angelo stesso.
Luca non fa altro che insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In Gesù, Dio offre perdono e salvezza. Infatti, Gesù, Jeshuà, significa Dio salva.
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno. Come fu per Elisabetta, per Maria al sesto mese, il bambino nella mangiatoia per i pastori, sono i segni che accompagnano la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. 
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare così come cantano gli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace tra gli uomini, che egli ama”. Ciò manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia.
Chi vede il Verbo incarnato vede il Padre, poiché "noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

La Parola illumina la vita
Gesù dice: "mentre siete nella luce, camminate nella luce" C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza? Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni? Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare complice di un nuovo annuncio?

Condividere...

Pregare
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95).

Contemplare-agire
Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova dell'amore e della testimonianza che è un abbattere steccati e muri pieni di ideologie, razza, nazionalità, affinché si sperimenti quella fraternità universale che Dio ha scritto nei cuori di ciascuno