sabato 2 novembre 2013

LECTIO: XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

 Benedirò per sempre il tuo nome Signore

Lectio divina su Lc 19,1-10

Invocare
O Dio, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, rendici degni della tua chiamata: porta a compimento ogni nostra volontà di bene, perché sappiamo accoglierti con gioia nella nostra casa per condividere i beni della terra e del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1 Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2 quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3 cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4 Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. 5 Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6 Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8 Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9 Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10 Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Capire
Nel cammino della vita spirituale, la Parola ci invita e ci attrae a Cristo, non solo, ci conferma anche nell’unione con Lui.
Nel vangelo di oggi, stiamo giungendo alla fine del lungo viaggio che iniziò nel capitolo 9 (v. 51). Durante il viaggio, non si sapeva bene dove andasse Gesù. Si sapeva solo che si dirigeva verso Gerusalemme! Ora, alla fine, la geografia diventa chiara e definita. 
Gesù giunse a Gerico, la città delle palme, nella valle del Giordano. Ultima fermata dei pellegrini, prima di salire verso Gerusalemme! Fu a Gerico dove terminò il cammino dell'esodo di 40 anni lungo il deserto. Anche l'esodo di Gesù era terminato.
All'entrata di Gerico, Gesù incontra un cieco che voleva vederlo (Lc 18,35-43). Ora, all'uscita della città, si incontra con Zaccheo, un pubblicano: anche lui vuole vederlo. 
Un cieco ed un pubblicano. I due erano esclusi. I due scomodavano la gente: il cieco con le sue grida, il pubblicano con le sue imposte. Sia il cieco che il pubblicano sono accolti da Gesù, ognuno a modo suo.

Meditare
v. 1: "Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando". In questo versetto, due verbi riferenti al movimento di Gesù il cui senso lo troviamo al v. 10: “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. Qui teniamo presente che Gesù ha appena operato un miracolo: ha reso vedente un cieco e con lui entra in Gerico. 
Gesù prende possesso di quella città forte che era, ai tempi di Giosué, l’ingresso alla terra promessa. L’occhio chiuso si è aperto. Lo scopo del viaggio di Gesù in Gerico era quello di incontrare il peccatore (in questo caso Zaccheo) e salvarlo. Ma Gesù non va in cerca soltanto di Zaccheo, ma di ogni persona di ogni tempo e di ogni luogo.
Anche noi siamo ricercati da Gesù e sollecitati a rispondere alle prove del suo amore. Ogni desiderio di bene è frutto della sollecitudine di Dio per noi ed esige la risposta, altrimenti il dialogo si blocca.
In compagnia di dei due credenti e di quanti dopo essere guariti resteranno con Lui, Gesù si avvierà verso la Croce, il luogo della manifestazione della gloria di Dio nel luogo meno adatto.
vv. 2-3: "quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura". L’evangelista Luca inizia a descrivere Zaccheo partendo dall’uomo. Ciò vuole indicare una persona con una propria esperienza personale, con un proprio limite, con una propria storia. Il nome di quest’uomo, Zaccheo, significa “puro”; “l’innocente” ma la sua vita nel sociale contraddiceva il suo nome. Infatti è presentato da Luca come capo dei pubblicani. Questi erano esattori di imposte, esosi, avidi di denaro, crudeli con tutti; erano chiamati peccatori! Zaccheo apparteneva a questa categoria; e con la qualifica più alta: “capo dei pubblicani”, dice il Vangelo.
Il vangelo dice che Zaccheo cercava di vedere Gesù. Il testo non dice le motivazioni di questo desiderio. Possiamo leggere qui una difficoltà già mostrata da Gesù: Quanto è difficile, per colui che possiede ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare la cruna di un ago (Lc 18,25). Zaccheo è appunto uno di questi cammelli che, scorticandosi un po’, riesce a passare. Ma non era solo ricco, era anche ladro. E allora, nota giustamente sant’Ambrogio, “chi potrà mai disperare, se è arrivato anche uno la cui ricchezza proveniva dagli imbrogli?”.
Forse Zaccheo vuole andare oltre il semplice vedere. Vuol conoscere l’identità, il mistero di Gesù. Vuol trovare la luce. Ma non poteva per la folla”: essa costituisce una barriera tra Gesù e Zaccheo.
Nell’originale greco il verbo cercare si dice zetéo da cui viene la parola siciliana “zitu/zita”, che significa sposo/sposa. C’è dietro questa parola una ricerca appassionata tra lo sposo e la sposa. Questa ricerca finalmente si fa incontro.
L’evangelista sottolinea che “Zaccheo era piccolo di statura”. Ogni uomo è piccolo e ha bisogno che qualcuno lo porti in alto. San Paolo anche lui era piccolo, come dice la parola latina che lo qualifica: paulus cioé piccolo.
v. 4: "corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là". Nel Vangelo Luca “mette” la fretta 
a Maria; mentre a Zaccheo lo fa correre. Trovare il senso della vita, trovare la salvezza è un bisogno primario per l’uomo: esige fretta. 
Questo lo si fa anzitutto conoscendo e accettando il proprio limite, dopo trova la soluzione: superare la folla e sale su un albero, che non a torto viene visto come figura della Croce; il cieco, invece, supera la folla gridando il suo bisogno di guarigione. Ognuno a modo suo supera la barriera che gli impedisce l’incontro con Gesù.
"Salire su un sicomoro". Salire sull'albero. Di quale albero parliamo? spesso un albero sbagliatoL’albero giusto è quel “sicomoro”, simbolo della Croce sulla quale sta per salire Gesù andando a Gerusalemme, segno dell’umiltà, dell’umiliazione del Figlio di Dio. Lì su quell’albero che è la croce, tra qualche giorno Zaccheo vedrà pendere il suo Signore, lì il desiderio di Zaccheo di vedere il Signore della sua vita sarà soddisfatto. Sale “per poterlo vedere”.
Zaccheo è l’uomo che ha il coraggio dei propri desideri, agisce nel nome delle sue convinzioni, non delle sue paure, e l'albero diventa la sua libertà.
C’è in quest’uomo qualcosa che va oltre la curiosità; sicuramente ci sarà dentro di lui un qualcosa di indefinito, non decifrabile... ma d’altronde sempre quando si ha desiderio di Gesù non c’è solo curiosità; ma qualcosa di più profondo nel cuore: la libertà. Cioè quel respiro del Vangelo. 
Nasce allora, ma solo dopo il vero incontro con il Gesù vero, la conversione e la pace.
v. 5: "Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua»". Non è la prima volta che incontriamo nel vangelo “il luogo” che in greco viene detto “Katalyma” che significa “riposo”.
La parola viene usata in questo versetto, ma anche per indicare la mangiatoia e poi, più avanti, il calvario. Tutta la vita di Gesù, dalla nascita alla morte, è concentrata sull’essere presente lì dove l’uomo è nel bisogno. Qui Zaccheo è nel bisogno. Gesù è sul luogo. Il versetto presenta così l’altro personaggio: Gesù.
“Gesù alzò lo sguardo”. Si noti che è lo stesso verbo usato per il cieco di Gerico: anche lui vuole guardare in alto. Ma per guardare in alto si sottintende che uno stia in basso, e qui questo qualcuno è Gesù. Egli vuole guardare dal basso in alto: infatti, umiliò se stesso per poter salvare tutti. Compreso l’insalvabile Zaccheo. Volendo ricordare la parabola del buon Samaritano, Gesù qui si fa vicino, si fa prossimo di Zaccheo. Non lo scansa.
“Gesù disse a lui: Zaccheo”, lo chiama per nome, si manifesta suo amico, amico del piccolo, dell’immondo. Si ricorda di lui, l’ultimo. Dice Gesù ancora: “affrettati”: viene ripetuta la parola al versetto 6 che segue. La salvezza è una cosa seria: richiede urgenza. La proposta del Signore non è mai rimandata a domani: ti dice: Scendi subito! “Scendi”: non il grande ma chi si fa piccolo può scoprire le meraviglie del Regno di Dio. Gesù continua: “Oggi!”: è il tempo della salvezza.
In altre occasioni lo si ripete: alla nascita di Gesù e poco prima della sua morte. “Oggi sarai con me in paradiso”. Lo si ripete anche al v. 9 per dirci che non domani ma oggi si apre per te la via della guarigione e della salvezza. “Devo fermarmi in casa tua”. L’evangelista Giovanni dice che il Verbo di Dio ha posto la sua tenda tra di noi. E’ questo che vuole Gesù: dimorare tra noi, essere solidale con noi, vicino al nostro peccato, dentro la nostra morte. Questa è la volontà del Padre Celeste.
v. 6: "Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia". Quando Gesù parla ad un cuore che attende, ad un cuore in cerca di una speranza nuova, il cuore subito si apre. Quando invece il cuore è pieno di se stesso e delle cose, allora difficile è ascoltare il richiamo o la voce di Gesù. L’uomo resta sordo al suo richiamo d’amore. Ma Zaccheo ha fretta, vuole subito accogliere il Maestro. Accolse: è il verbo usato anche per l’accoglienza data da Marta e Maria, è il verbo dell’amore. Zaccheo imita Dio, imita la Chiesa che tutti accoglie e lo fa con il trasporto di chi si sente salvato, con gioia. La misericordia di Dio accorcia e sopprime le distanze.
v. 7: "Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!»". La richiesta di Gesù non è sorprendente ma scandalosa non solo per i farisei ma per tutta la folla: il Santo di Dio sceglie la casa di un pubblico peccatore, l’amico dei poveri va ad abitare nella casa di un ricco. Tutti borbottano perché vedono che Gesù non sa distinguere tra la casa del giusto dove si deve entrare e la casa di un peccatore dove non è lecito ad un ebreo entrare. È una reazione che è registrata più di una volta dal Vangelo. Gesù del resto li aveva preavvisati: “Beato chi non si scandalizzerà di me” (Lc 7,23). Qui viene detto in greco che è andato ad “alloggiare”, termine usato, come detto prima, per la mangiatoia (katalyo) dove Gesù venne deposto da Maria e per la deposizione nel sepolcro.
Il ripetersi di questo verbo come il riposo, l’adagiarsi è il grande desiderio di Gesù presso colui che vuol guarire dal suo peccato: lì Gesù vuol dimorare.
v. 8: "Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»". Zaccheo inizia un cammino di conversione. Egli fa esperienza dell’amore gratuito di Dio e pare deciso a mettere ordine nella sua vita. La trasformazione di Zaccheo è radicale: egli va oltre le disposizioni della legge in caso di furto (Es 22, 3-6), fa ciò che non fece il giovane ricco. La sua trasformazione non è apparente, fittizia, di facciata, la sua novità è reale e lo dimostrano le parole con le quali egli si presenta nella sua nuova veste. Di quanto possiede, metà la dà ai poveri.
Incontrare Dio vuol dire trasformazione di pensiero di modo di vivere. Mettendo l’amore di Dio al primo posto della sua vita, Zaccheo vede in esso il fondamento, il senso e il criterio del suo agire.
Zaccheo sceglie di ripagare il danno arrecato secondo il diritto romano. Non cambia professione ma è esplicito nel far intendere che da oggi il suo lavoro lo svolgerà onestamente.
v. 9: "Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo". Si ripete la parola “Oggi”. La parola OGGI, nel vangelo di Luca è caratteristica. Indica l’attualità della salvezza e la necessaria sollecitudine a non lasciarsi sfuggire l’occasione.
Gesù e la salvezza sono la stessa cosa. Se in una casa entra Gesù vi entra anche la salvezza. Gesù manifesta anche altre conseguenze di questa salvezza, dicendo: “Anch’egli è figlio di Abramo”. Colui che agli occhi della gente era senza speranza di salvezza diventa ciò che essi sono: figli di Abramo. Zaccheo vede la propria miseria, si sente chiamare per nome e percepisce cosa fare e lo fa.
L’espressione Figlio di Abramo, vuole intendere che la salvezza promessa ad Abramo consiste nella adesione a Cristo Gesù. E’ Gesù che ristabilisce, ridà la dignità a Zaccheo come ad ogni uomo.
v. 10: "Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". Questo versetto rimanda all’ultimo annuncio della Passione (Lc 18,31) che i discepoli non avevano compreso. Fino al dramma della Croce, Gesù è colui che cerca i perduti e li salva. Chi alza gli occhi a lui è salvo. Adesso gli apostoli iniziano a comprendere qualcosa del grande mistero che avvolge Gesù di Nazareth. Gesù accetterà di perdere la sua dignità, la sua vita, come un maledetto, per salvare i peccatori.
Ecco l’azione di Gesù, comunicare vita ad ogni persona. L’azione di Gesù non si frena di fronte a nessuna situazione, come nel caso di questo ricco, di questo Zaccheo, che poteva essere considerato un caso disperato. In Gesù la salvezza impossibile è resa possibile.
La Buona Notizia è per tutti.

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Ho coscienza che Gesù attraversa la mia città, la mia vita?
Mi lascio raggiungere dalla ricerca di Dio che si manifesta in Gesù?
Sono tra quelli pronti a giudicare e dire in quale casa "deve entrare" Gesù?
Come percepiamo la salvezza entrando oggi nella nostra casa e nella nostra comunità? 

Pregare
Il Signore passa sempre dalla nostra città, dalla nostra vita, dalla nostra storia. Abbiamo bisogno anche noi del nostro sicomoro e ripetere insieme al Salmista (Sal 144):

O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.

Contemplare-agire
Fermiamoci a contemplare a rileggere la storia di Zaccheo in prima persona: mi sento disturbato anch'io da molte cose, anch'io sono “piccolo di statura' e non vedo più in là dello scorrere frettoloso della giornata. Ciò indica che non basta salire su un albero per vedere Gesù, bisogna che la salvezza entri nella casa dell'altro perché possa nascere quella comunione di vita che sostiene e ravviva la fede nella carità.


lunedì 28 ottobre 2013

LECTIO: TUTTI I SANTI

Ecco la generazione che cerca il tuo volto Signore

Lectio divina su Mt 5,1-12


Invocare
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non i lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo, segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Capire
Il vangelo delle Beatitudini costituisce la prima parte del “discorso della montagna”. Il monte è il luogo della rivelazione, sia per la trasfigurazione gloriosa di Gesù, sia per la sua parola; il monte ha inoltre un significato più specifico: esso vuol ricordarci il Sinai, il monte della promulgazione della legge e della conclusione dell’alleanza. Matteo propone Gesù come il nuovo Mosè e la sua parola è parola di vita, è legge nuova (“ma io vi dico..”) che non abolisce l’antica ma la porta a compimento. 
Tutto il grande Discorso della Montagna traccia la via del discepolo sulle orme del Regno. Le Beatitudini ne costituiscono il punto di partenza sorprendente, "scandaloso", ma anche consolante. Mentre noi ci chiediamo cosa dobbiamo fare, Gesù ci mostra in primo luogo ciò che fa Dio, ci invita ad aprire gli occhi, per contemplare il Regno dei cieli in arrivo e lasciarci sorprendere dalla sua venuta.
Possiamo leggere le beatitudini come impegni che ci sono chiesti, ma innanzitutto come elementi del ritratto spirituale di Gesù Cristo, di Gesù di Nazareth. È una lettura antica nella tradizione cristiana, perché risale perlomeno a Origene che dice: “Le beatitudini sono immagine di Gesù, altrettante icone della figura spirituale di Gesù”. Quindi, se uno vuole capire chi è Gesù può leggere tutto il Vangelo, può guardare il suo volto a partire da queste prospettive; quello che Gesù è stato, viene comunicato al credente perché a sua volta lo viva egli stesso. Dio ha preso l'iniziativa di instaurare il suo Regno: prima di agire, siamo chiamati ad accoglierlo.

Meditare
vv. 1-2: "Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro". In questi versetti abbiamo un popolo di ascoltatori rappresentato dalla folla e dai discepoli. Il luogo è un monte da cui scende la Parola divina. Da quel luogo Gesù si mostra a tutti con il suo parlare e insegnare. Chi sono queste folle di cui si parla? L'evangelista Matteo vuole indicare una moltitudine potenziale dei discepoli, ai quali la chiesa è mandata in missione a portare l'insegnamento di Gesù (cfr Mt 28,19-29). 
Anche il luogo, il monte, ha un suo significato. Il monte delle beatitudini è l'eco e la pienezza del monte Sinai; è il luogo della rivelazione divina (cfr. Es 3,1ss; 19,1ss; 1Re 18,20ss; 1Re 19,1ss; Mt 17,1-8; Mt 28,16).
Su questo monte Gesù si siede (è la posizione del maestro e la sua parola ha un timbro autorevole) e apre la sua bocca per insegnare. Il verbo «insegnare» (edidasken) in Matteo è usato esclusivamente in questo discorso, qui e in 7,29. L'evangelista usa questo termine "tecnico" per indicare che Gesù è l'interprete autorizzato della Parola di Dio contenuta nelle sacre scritture dell'A.T.
v. 3: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Questa prima beatitudine descrive l'atteggiamento fondamentale per accogliere il Regno, di come rapportarsi con Dio. Ce lo fa comprendere meglio la Bibbia interconfessionale: “Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio”, indicando così coloro che nella vita hanno imparato a contare solo su Dio.
“I poveri in spirito” sono le persone che davanti a Dio si collocano come dei mendicanti, dei bisognosi; che sanno di avere bisogno di Lui, di dipendere interamente da Lui. 
Questa beatitudine possiamo definirla come un atteggiamento di fede che mette come primato della propria vita l’iniziativa di Dio e non le proprie capacità; non è l’affermazione di noi stessi, nemmeno come affermazione spirituale, ma è invece la disponibilità a ricevere la grazia e il dono di Dio.
v. 4: "Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati". Il versetto richiama Is 61,2-3, dove la missione del profeta è quella di confortare tutti coloro che piangono in Sion. A questi Gesù promette consolazione (cfr. Lc 2,25), anzi Egli stesso asciugherà le loro lacrime (cfr. Ap 7,17, che cita Is 25,8; Ap 21,4). I piangenti, sono anzitutto coloro che soffrono per gli ostacoli posti dal mondo all'adempimento della volontà divina di salvezza (cfr. Lc 4,16-22; Is 61,1-6); quindi un atteggiamento che l’uomo stesso sceglie davanti alla realtà della società e del mondo, dove Cristo, Dio, la giustizia di Dio e l’amore che viene da Cristo fanno la figura dei grandi assenti. Non è possibile per il discepolo gioire quando ci sono ingiustizie, oppressioni, falsità e ipocrisie e quando sembra che Dio sia escluso dalla convivenza umana e dai valori che la costruiscono.
v. 5: "Beati i miti, perché avranno in eredità la terra". Il versetto riprende il Salmo 37: «I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande prosperità [pace]» (Sal 37,11). Il termine ebraico di “miti” è 'anawìm. Questi non sono i timorosi, ma gli stessi poveri di spirito che accettano senza amarezza o rancore la loro condizione e trovano la forza nella serenità ed in una coraggiosa sopportazione (cfr. Sal 37,7-9.11.29.40).
Nel linguaggio e nel contesto evangelico, la terra significa la terra promessa. Però la parola "terra" significa ormai il Regno dei cieli, ovvero il nuovo modo di vivere, secondo lo Spirito di Dio, che Gesù annuncia e inaugura.
“La terra, che è sempre di Dio deve essere vissuta come un dono condiviso e amministrato nella giustizia e nella fraternità, dono di Dio ai popoli, da abitare senza violenza, in mitezza, in pace e ospitalità reciproca. Questo è l'unico modo per possederla con sicurezza e frutto, nella pace. Il violento non possiede davvero la terra, perché la sua minaccia ritorna su di lui e gli nega la sicurezza.
I miti non solo possono "ereditare" la terra, starvi sicuri senza far violenza, ma sono i soli in grado di trasmettere a loro volta in eredità la terra ricevuta.
v. 6: "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati". La fame e la sete, nella Bibbia (Is 55,1-2; Sal 42,2-3), indicano la tendenza a Dio e la nostalgia di lui. 
I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: «l'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente...» (Sal 42,3. Cfr. anche Sal 63,2; Am 8,11.
Matteo offre di questa beatitudine una lettura più spirituale rispetto a Luca; poiché la giustizia si identifica con la volontà di Dio, l'atteggiamento suggerito è quello del povero che attende il compimento delle promesse di Dio e nutrono piena fiducia e disponibilità al volere di Dio. Come la precedente anche questa beatitudine è citata nel Sal 37,29 (i giusti possederanno la terra).
Nel Discorso della Montagna fare la giustizia - fare la volontà del Padre (Mt 7,21) - fare queste mie parole (Mt 7,24), designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel Regno dei cieli. Tale agire deve seguire le norme giuste (fare la giustizia), che sono determinate da Dio (fare la volontà del Padre) e che vengono autorevolmente comunicate da Gesù (fare queste mie parole). L'ultimo passo del Discorso della Montagna in cui si parla di «giustizia» è Mt 6,33: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»: si oppone alla ricerca ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito, la preoccupazione necessaria ed essenziale: il Regno di Dio! Il Regno di Dio dev'essere il bene più alto, mentre il giusto agire (la giustizia) costituisce la condizione indispensabile per l'ingresso in quel Regno.
v. 7: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia". Per la Bibbia “misericordioso” è una caratteristica specifica di Dio (Es 34,6; Dt 5,9s; Ger 32,18). I misericordiosi in greco fa hoi eleèmones cioè coloro che imitando Dio sanno comprendere e perdonare il prossimo secondo l'impegno evangelico che ripetiamo con la preghiera del Padre nostro (cfr. Mt 6,11-12.14-15). 
Questa “misericordia” attribuita a Dio comprende il perdono delle mancanze, il perdono dei peccati, che a sua volta desidera – Dio - di vedere la misericordia praticata dagli uomini.
v. 8: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Nella Bibbia il cuore non è solo il “luogo” dei sentimenti, ma è la sede dell'intelligenza, indica le decisioni, la vita. Lì ognuno ritrova se stesso e la propria identità, lì ogni persona decide di sé, nel suo rapporto con gli altri, col mondo e con Dio. Il cuore buono rende buono tutto l'uomo, il cuore cattivo lo rende cattivo.
Il mondo biblico dell’Antico Testamento traduce il termine "puro", tutto ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio, che rende graditi a Dio, che è secondo la sua legge; quindi, il concetto di "puro" implica l’appartenenza a Dio.
L'espressione «cuore puro» non è né un riferimento alla purità sessuale-rituale né alla sincerità, ma caratterizza la limpidezza d'animo, le persone oneste la cui integrità morale si estende al loro essere interiore e le cui azioni sono coerenti con le intenzioni.
Il "cuore puro" è tutto quello che corrisponde alla parola di Dio: il cuore è puro quando è conforme alla volontà di Dio. La relazione personale è pura quando è accogliente nei confronti di Dio, quando non è chiusa. Il cuore è puro quando è libero da tendenze e da impulsi contrari a Dio, quando è interamente dedicato a lui, è pienamente conforme alla sua volontà: cuore puro significa cuore totalmente di Dio, conforme a lui. Il salmo 23 ci viene in aiuto "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo?" e si risponde "Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna" (Sal 23, 3-4b). 
Il "vedere Dio" qui indica non l'azione dell'uomo ma la stessa azione di Dio che si mostra all'uomo.  San Giovanni, nella sua prima lettera, dice a coloro che sono schietti e limpidi: "Chiunque ha questa speranza in sé, purifica se stesso, come egli è puro" (1 Gv 3, 3).
v. 9: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio". Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna ”essere” (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve “fare”. 
Il termine in greco significa coloro che lavorano per la pace, che “fanno pace”. Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi. “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (Dupont)
“I portatori di pace” non sono dunque gli amanti del quieto vivere ma gli attivi operatori di pace, che agiscono come Dio stesso, perché Dio è il Dio della pace (Rm 16,20). Il vero «operatore di pace» è Dio stesso. Per questo quelli che si adoperano per la pace sono chiamati «figli di Dio»: perché somigliano a Lui, Lo imitano e fanno quello che fa Lui. Vuol dire che la pace è prima di tutto un dono da accogliere! Di conseguenza la pace è un compito! Non si tratta, tuttavia, di inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di Dio «che sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7), lasciando che custodisca i cuori e i pensieri in Gesù Cristo.
v. 10: "Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli". La beatitudine, si riferisce ai perseguitati per Gesù, per il nome di Gesù, per la causa del Vangelo. Pensiamo alle prime persecuzioni che si sono scatenate nei riguardi degli apostoli. Queste sono persecuzioni per causa del Vangelo. L’evangelista, infatti, riprendendo la quarta beatitudine, dà la motivazione di questa persecuzione «per causa della giustizia» che il versetto seguente completerà meglio: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
In questa persecuzione possiamo trovarci anche noi tutte quelle volte che dobbiamo sostenere la dignità di essere cristiani nell’ambiente del lavoro, tutte quelle volte che dovremmo sopportare persecuzioni meno gravi, perché annunciamo il nome di Gesù.
In Mt 10,22 leggiamo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”; e in Mt 10,39: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.
vv. 11-12: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Le beatitudini in Matteo sono otto. Qui si aggiunge la nona beatitudine, già anticipata nell’ottava. Infatti, i versetti conclusivi sono un'applicazione della vita secondo le beatitudini.
La beatitudine è rivolta a coloro che esattamente saranno insultati come Gesù sulla Croce. È rivolta direttamente ai cristiani che soffrono persecuzione a causa della loro fede in Gesù: ad essi è riservata nei cieli una grande ricompensa, che si identifica con la piena comunione con Dio (cfr. 1Pt 4,13-16) e la partecipazione alla Resurrezione di Cristo Gesù, il Figlio di Dio.
I versetti 11-12 indicano un servizio fedele a Dio ricolmo di Lui stesso.

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
A quale delle beatitudini somiglia la mia vita?
Quale esperienza di Dio vivo che rispecchia le beatitudini? Quale, invece, quella che mi invita a crescere, che mi chiede di provarci, che mi sfida a cambiare?
Sono cosciente che la vera beatitudine è la comunione con Dio?

Pregare
Signore Gesù Cristo, nostro impareggiabile Maestro, tu che ci hai insegnato le Beatitudini, fa’ che esse rimangano impresse nel nostro cuore.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. (Dal Sal 23)

Contemplare-agire
Lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio e cerchiamo di scoprire nella nostra vita la via delle beatitudini elencate da Matteo. Cerchiamo di scoprire se la nostra vita è un dono per amore secondo l’ideale delle Beatitudini.