mercoledì 25 dicembre 2013

LECTIO: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (A)

Lectio divina su Mt 2,13-15.19-23


Invocare
O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell'aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Capire
Nel brano evangelico odierno, l’evangelista Matteo ci presenta la persona di Gesù come il compimento delle Scritture. Il brano Mt 2, 13-23, fa parte della sezione che tratta la nascita e l’infanzia di «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Sembra che in questo brano scorra un certo abbandono già citato in Ct 1,4: “trascinami con te, corriamo! Mi introduca il re nelle sue stanze”.
Infatti i vari movimenti che possiamo raccogliere non è altro che entrare nella stanza del re, di Dio e lasciarsi guidare da Lui, perché “dolce è il suo frutto al mio palato” (Ct 2,3).
Il vangelo di Matteo è stato chiamato «il vangelo del Regno». Matteo ci invita a riflettere sulla venuta del regno dei cieli. Nella struttura del suo racconto evangelico alcuni hanno visto un dramma a sette atti che trattano la realtà della venuta di questo Regno. Il dramma comincia con la preparazione a questa venuta del Regno nella persona del Messia fanciullo e termina con la venuta del Regno nella sofferenza e nel trionfo con la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Matteo è lo scriba saggio che sa trarre dal suo tesoro quello che è antico e quello che è nuovo per la vita di ciascuno. Nelle righe di questo brano scorrono molto espressioni che raccolgono la vita dell’uomo, utili ad illuminare il nostro cammino.
La nostra attenzione oggi è sulla Santa Famiglia e in particolare su Giuseppe, presentato da Matteo nella sua responsabilità di “capo-famiglia”, che si lascia guidare dalla parola di Dio in questo contesto di violenza e di persecuzione.

Leggere
13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
19 Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. 22 Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Silenzio meditativo: Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie

Meditare
v. 13: Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”
Il versetto inizia collegandosi ai fatti precedenti che narravano la visita dei magi. I Magi erano giunti da lontano ad adorare quel bimbo che era loro nato e avevano portato doni misteriosi per un bimbo nato in una mangiatoia, doni carichi di significato simbolico.
Ora la scena cambia totalmente: questa famiglia deve subito confrontarsi con una situazione ben diversa: qualcuno non vuole che questo Re regni e perciò cerca di ucciderlo. 
Il tema dei re che uccidono i temuti avversari è comune nella storia di ogni dinastia regale. Nella letteratura biblica oltre a questa scena di Erode che cerca il bambino Gesù per ucciderlo, troviamo nell'AT alcuni racconti simili. Di Gesù Luca dirà: “Egli è qui … segno di contraddizione perché siano svelati o pensieri di molti cuori” (Lc 2,34) e Giovanni: “Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
Il Signore parla al cuore di Giuseppe e le sue parole sono ricche di senso. I verbi usati stanno ad indicare l’urgenza dei fatti. Giuseppe è invitato a “prendere con sé”, cioè ad instaurare una relazione all’interno di una famiglia. Giuseppe qui non dice nulla, ma in obbedienza alla Parola e alla sua vocazione “fa’”.
Prendere con sé significa ricevere, accogliere l’altro come un dono e assumersi la responsabilità di quest’accoglienza, nella reciprocità del dono. Ed è quanto gli sposi promettono nel rito del loro matrimonio: accoglienza reciproca e carità.
Il “fare” di Giuseppe lo conduce a fuggire con la sua famiglia in Egitto. Matteo a differenza di Luca non parla di precedenti viaggi. Egli dice solo che Gesù nacque a Betlemme e poi, alla fine del brano di oggi, si dirà che Giuseppe sceglie, come luogo per stare, una volta tornato dall’Egitto, Nazareth. Betlemme e Nazareth sono così i luoghi dell’infanzia di Gesù, della sua vita “nascosta”.
L’Egitto è una terra di rifugio temporaneo. In Gen 46,2-4 si legge l’avvertimento fatto a Giacobbe che forse è risuonato nel cuore di Giuseppe e di Maria mentre fuggivano in Egitto: “Dio disse a Israele in una visione notturna: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: "Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare”.
vv. 14-15: Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. 
I versetti mostrano una prontezza di Giuseppe e questa prontezza è segnata dalla notte. Una notte che in obbedienza alla Parola diventa segno per ciascuno di noi in quanto la notte non è paura, ma si trasforma in grido di gioia, come faranno le vergini: “ecco lo sposo” (Mt 25,6).
In questa situazione Giuseppe è modello per ciascuno di noi e il suo muoversi nella notte indica anche “vegliare”, “faticare”.
Giuseppe in obbedienza si rifugia in Egitto. La parola rifugio, etimologicamente, indica un movimento all’indietro, quasi un ritorno sui propri passi. In effetti è il cammino del popolo israelita che va in Egitto per poi ritornare. Giuseppe accoglie la voce del Signore e fa il padre fino in fondo, anche in Egitto. E Matteo si premura qui di indicare che quanto si sta realizzando corrisponde a un disegno di Dio secondo l’antica profezia di Os 11,1: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” si riferiva al popolo che Mosé aveva per ordine di Dio portato fuori dall’Egitto, ora, per Matteo, diventa rivelazione dell’identità di quel bambino che Giuseppe ha preso con sé, assumendone ogni responsabilità.
vv. 19-20: Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti, infatti, quelli che cercavano di uccidere il bambino»
Erode muore, i grandi della terra muoiono come tutti. Tutto passa, ma il piano di Dio si compie. Le mie parole non passeranno afferma Gesù (Mt 24,35), perché “il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni” (Sal 32,11). Entra nelle vicende della storia umana ma le supera, mentre attraverso di esse scrive un’altra storia, la storia del regno dei cieli. Per Giuseppe è ancora notte e, nella notte, la Parola del Signore si manifesta ancora una volta in sogno. Il movimento è sempre lo stesso. Giuseppe deve ritornare nuovamente sui suoi passi e ricominciare da capo.
Dalla composizione letterale, sembra che Giuseppe non si sia mai staccato dalla Parola, dal farsi istruire da Essa. È la sua lectio divina che lo trasforma in mendicante di amore. Giuseppe, infatti, è l’uomo in obbedienza alla Parola e ad Essa (a Dio) ha affidato la sua vita e quella della sua famiglia. Egli è l’uomo del cantico nuovo perché spogliato dalle sue incertezze e dubbi.
vv. 21-23: Egli si alzò, prese il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d’Israele. Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»
È ancora notte. La notte della paura. Giuseppe ha paura, egli è un uomo come tutti. In questa sua paura, Giuseppe continua a proteggere e si mette nuovamente in cammino: una nuova fatica della paternità.
Giuseppe è l’uomo che avvolto dal silenzio si guarda dentro pensando di colorare la sua vita con i stessi colori che usa Dio, gli stessi che ha usato con Maria lasciandosi abbracciare da Dio così come è, esultando in Dio come Maria. Se Dio salta dentro la tua povertà, allora la vita personale si colora. Questo Giuseppe l’ha capito.
Si ritira perciò nella regione della Galilea, a Nazareth. Il verbo usato è lo stesso con cui all’inizio del brano odierno si era detto dei magi che “si erano ritirati”, o che “erano tornati indietro”. L’Evangelista vuole sottolineare questo particolare perché quel bambino “sarà chiamato Nazareno”, secondo le antiche profezie. Non si sa bene a quale profezia alluda Matteo, per lui il fatto che Gesù venisse da Nazareth, corrisponde però al piano di Dio, che Giuseppe nella sua fedeltà alla voce della coscienza, unita alla sua prudenza e saggezza umana compie in silenzio e senza indugi.
Gesù ripercorre la storia del popolo d’Israele come un nuovo Mosè che scampa la strage degli innocenti, permane in Egitto, ritorna in patria e va in esilio a Nazareth. Gesù è un messia solidale con il suo popolo, con la sofferenza di ogni uomo. Il cammino di Israele con Mosè era stato segnato dal peccato e dalla morte, Gesù grazie a Giuseppe “salvatore del Salvatore”, apre un nuovo cammino verso la vita senza fine.

La Parola illumina la vita
Matteo è l’evangelista del “regno dei cieli”. Che cosa significa per me il regno dei cieli?
Sono una persona che supera gli ostacoli con l’aiuto della Parola di Dio o che “tiro a campare”?
La vita di Giuseppe non è mai stata un cammino solitario lontano da Gesù e da Maria, io con chi cammino?
Sono capace anche io di “prendere il bambino e sua madre” nella mia vita di tutti i giorni? Che spazio ha nella mia famiglia la parola di Dio e la preghiera?
Nelle nostre famiglie c'è una lettura "sapienziale" dei fatti, avvenimenti, esperienze e quindi della vocazione di ciascuno, oppure lasciamo tutto ad una reazione istintiva per lo più condizionata dalla cultura circostante del momento?

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Pregare
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! (Sal 127).

Contemplare-agire
In questa domenica dedicata alla santa famiglia di Nazaret, Giuseppe ricorda a tutti noi, il segreto per ogni famiglia umana: prendere con sé Gesù e sua madre Maria proprio come gli sposi di Cana e ascoltare in maniera fattiva il grande invito della madre di Gesù: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).


lunedì 23 dicembre 2013

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (A)

Lectio divina su Lc 2,1-14


Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4 Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5 Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6 Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio. 8 C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10 ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Capire
Abbiamo appena concluso l’itinerario dell’avvento. I giorni che hanno preceduto il ricordo di questo evento sono stati segnati dalla persona del figlio di cui Maria di Nazaret è venuta misteriosamente incinta.  
"Il racconto della nascita di Gesù è ambientato al tempo in cui a Roma regna l'Augusto. Sono vent'anni che Ottaviano si fregia di questo titolo, che il senato gli ha conferito insieme a quello di imperator. Ottaviano - il Sebastos, il Divino - è celebrato in tutto l'impero per la sua audacia, mitezza, pietà e giustizia e in Oriente, nei templi a lui dedicati, riceve il culto riservato agli dèi" (Fernando Armellini).
In questo contesto storico si innesta una nuova storia, l'inizio dei lieti annunci.
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. Esso non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti.
La liturgia, nella notte di Natale, ci presenta solo 14 versetti. La nascita di Gesù è in 40 versetti. In questi 40 versetti ci sta un confronto tra questa scena e la precedente: riguardo al Figlio di Maria, l'obiettivo è puntato in primo luogo sulla scena della nascita, mentre per Giovanni si dà risalto alla circoncisione e all'imposizione del nome. Ma è la notte di Natale. Una notte che nei Vangeli prende forma riflessa per la nostra vita.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore. Dio entra nella vita degli uomini fuori dal tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla “Città”. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.

Silenzio meditativo: Oggi è nato per noi il Salvatore

Meditare
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.  
Luca vuole indicare il contesto storico della nascita di Gesù e allo stesso tempo mostrare che l'azione divina si serve del decreto di Cesare. Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Qui troviamo l'importanza dell'annunzio di salvezza in un contesto storico. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Luca qui sottolinea "casa", "famiglia"  cioè l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che è incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”. 
In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla "strana" gravidanza. Ma Lc presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare. La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare, dunque la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazaret. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
vv. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito.
Ci troviamo a Betlemme. Nell’AT é importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di David. Il luogo è la casa, è la famiglia parole sottolineate dall’evangelista Luca. 
In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo è integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria da alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. L'Evangelista qui non fa altro che richiamare ciò che dice la Legge in riferimento ai primogeniti: "tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno" (Es 13,12).
Donare il primogenito al Signore significa metterlo a completa disposizione del volere di Dio.
Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia.
I movimenti di Maria (lo avvolse in fasce, lo pose in una mangiatoia), sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù: avvolto in fasce e posto nel sepolcro (vedi l'icona bizantina). 
Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne è quell'agnello che dovrà essere consegnato al mondo. Di questo Maria ne è cosciente.
Nel simbolo della mangiatoia (phátnē) che vuole indicare sia la greppia che il tascapane dei pastori, l'evangelista Luca traduce proprio il senso di "farsi pane", che consisterà nel farsi mangiare, essere alimento di vita. Tutto questo ritroveremo nell'ultima cena quando Gesù stesso dirà "prendete e mangiate", "prendete e bevete".
Per loro non c'era posto nell'alloggio.
Per capire cosa significa alloggio, dovremmo spostarci a Nazaret, presso la basilica dell'Annunciazione, per visitare gli scavi archeologici che mettono in rilievo le case dei poveri costituite da un unico vano molto spazioso in cui viveva tutta la famiglia. Nella parte più interna vi era il posto per gli animali. Questo è ciò che viene chiamato Katàlyma.
L'alloggio diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18, 28-19, 16). 
Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàlyma sarà anche quel luogo dove Gesù mangerà la pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. Lc 9,12; 19,7; 22,14).
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Luca indica i pastori perché questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti. Gli egiziani li consideravano un abominio (Gen 46,34).
I pastori, sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18). 
Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
Luca, è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna se stesso ai semplici. Un particolare che riscontriamo ancora: pensiamo a Maria in Lc 1,48: “alla bassezza della sua serva”; Lc 6,20: “beati voi poveri”; Lc 10,21: “ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti”.
vv. 9-11: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. 
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma è una luce che è per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
Il Signore li rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all'angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri, conducendo alla gioia vera.  
La gioia presente in tutto il vangelo lucano è una caratteristica della fede nell'itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all'infinito, come l'amore. Quindi l’angelo dice: vi evangelizzo, c'è qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita.
Og­gi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, “semeron” è un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”.
Altri episodi del vangelo o della Sacra Scrittura: “oggi è entrata in questa casa la salvezza”, “ascoltate oggi la sua voce del Signore"; ”oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”; “oggi sarai con me nel paradiso”; “oggi ti ho generato”.
C’è un “oggi” che si relaziona nell' hic et nunc con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma "Carne", "Corpo", presenza incarnata profondamente dentro la storia: la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta  ancora difficile per molti.
Questo versetto presenta il nome del Bambino coi tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall'angelo stesso.
Luca non fa altro che insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In Gesù, Dio offre perdono e salvezza. Infatti, Gesù, Jeshuà, significa Dio salva.
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno. Come fu per Elisabetta, per Maria al sesto mese, il bambino nella mangiatoia per i pastori, sono i segni che accompagnano la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. 
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare così come cantano gli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace tra gli uomini, che egli ama”. Ciò manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia.
Chi vede il Verbo incarnato vede il Padre, poiché "noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

La Parola illumina la vita
Gesù dice: "mentre siete nella luce, camminate nella luce" C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza? Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni? Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare complice di un nuovo annuncio?

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Pregare
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95).

Contemplare-agire
Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova dell'amore e della testimonianza che è un abbattere steccati e muri pieni di ideologie, razza, nazionalità, affinché si sperimenti quella fraternità universale che Dio ha scritto nei cuori di ciascuno


mercoledì 18 dicembre 2013

LECTIO: 4ª DOMENICA D’AVVENTO (A)

Lectio divina su Mt 1,18-24

Invocare
O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell'obbedienza della fede. Amen.

Capire
La liturgia della Parola di questa IV di Avvento, ruota attorno ad un segno e ad una promessa: la nascita di un bambino, a cui sarebbe stato posto il nome «Dio-con-noi». 
Troviamo questo compimento nel Vangelo, nel segno profetico dell’Emmanuele, in Gesù. Egli è il segno della fedeltà di Dio: la sua venuta inaugura un tempo nuovo. La nostra attesa di Colui che viene, però, non può essere attesa oziosa e passiva, richiede disponibilità e accoglienza.
Il Vangelo, conosciuto come l’annuncio a Giuseppe, collega la nascita di Gesù alla promessa dell’Emmanuele, dichiarando che Gesù è questo “segno” che Dio è con noi.
Per Matteo questo tema verrà ripreso anche alla fine del suo Vangelo quando il Risorto promette ai suoi: «Io sono con voi tutti i giorni …» E nella figura di Giuseppe indica a noi un modello di vera e attiva collaborazione con il disegno di Dio.
Nel vangelo appare Maria. Nei primi 17 versetti di questo capitolo, raccolgono la genealogia di Gesù e si concludono con la sua nascita. Ora, l'Evangelista non fa altro che mettere alla luce i fatti, mettendo in primo piano Giuseppe e il suo modo di pensare Dio.Qui troviamo una "annunciazione" alla sua persona. Di lui il Vangelo non registra nulla, forse perché Giuseppe ha fatto sì che parlasse Dio e non lui.
E' il caso di dire insieme a Kierkegaard: "Gesù, ci sia concesso di diventare tuoi contemporanei, vederti come e dove sei passato sulla terra e non nella deformazione di un ricordo vuoto".

Leggere
18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa

Silenzio meditativo: Ecco, viene il Signore, re della gloria

Meditare
v. 18: Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo
In questo versetto Maria viene già descritta come Madre. C’è un dono che Maria riceve dall’alto un dono da custodire e da vivere.
L’evangelista descrive Maria “incinta” prima di convivere con Giuseppe, il suo promesso sposo. Secondo la legge di Mosè questo fatto meritava la pena di morte (Dt 22,20). L’evangelista sottolinea per noi “incinta per opera dello Spirito Santo”
Questo versetto si ricollega al v. 16, dove viene detto: "Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo".
La sua formulazione non è del tutto chiara. Il testo greco non dice "dalla quale è nato Gesù", ma "dalla quale è stato generato Gesù". Forse in italiano non ci dice nulla, ma nella Bibbia è una differenza non da poco, perché rimanda a Dio. Infatti, abbiamo un "passivo divino", una forma letteraria che la Bibbia usa per indicare un'azione di Dio.
Questo passivo divino è talmente importante che il v. 18 inizia nuovamente col dire come fu generato Gesù Cristo.
Qui si vuol sottolineare che Giuseppe non c’entra niente con la nascita di Gesù. Giuseppe è un credente che accoglie la sorpresa più sconcertante e splendida che possa avere una creatura che arriva a concepire l’inconcepibile, il proprio Creatore.
Il destinatario dell'evangelo matteano è un credente che confessa la propria fede nel Figlio di Dio.
v. 19: Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto
L'evangelista Matteo descrive Giuseppe come un "uomo giusto". Per "uomo giusto" non si intende né pio e tantomeno gentile. Si intende secondo Dio, secondo la Parola di Dio. Giuseppe è come l’orante del Salmo 119 che cerca Dio e ordina la propria vita secondo la sua volontà e con intima gioia la sua Legge. 
Nell’AT l’uomo giusto è colui che è accetto a Dio. E Giuseppe rientra in quell’ideale di uomo giusto. Forse ancora non coglie il mistero in profondità ma il suo cuore è grande e da uomo giusto, non obbedisce alle esigenze delle leggi della purezza. La sua giustizia è maggiore. Più tardi Gesù dirà: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20).
Il gesto dell'accusa pubblica che voleva fare Giuseppe, è in riferimento alla gogna pubblica descritta in Dt 22,23-27. Giuseppe risparmia a Maria questo disonore pubblico limitandosi semplicemente a ricorrere al procedimento, meno pubblico, del divorzio: "Se essa dice: Io sono impura, con ciò scioglie il suo contratto matrimoniale e se ne va".
La grandezza umana di Giuseppe: preferendo Maria alla propria discendenza, scegliendo l’amore invece della generazione, ci dice che è possibile amare senza possedere.
vv. 20-21: Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Qui inizia l'annunciazione a Giuseppe che si sviluppa in cinque tempi (apparizione; turbamento; messaggio; obiezione; «segno» e il nome)
Giuseppe continua a pensare, agisce in base a ciò che ha dentro, e che nel sonno emerge in libertà: Giuseppe, l’uomo giusto, ha i sogni stessi di Dio: la sua parola parla nel sonno delle altre parole. Entrare nel sogno di Dio fa scoprire di essere figli. È scoprire la dimensione più profonda della vita e degli eventi. Per Giuseppe c’è qualcosa di più, un appellativo solenne: “Giuseppe, figlio di Davide”. Questo titolo, ritornerà ma in altri contesti (cfr. Mt 9,27; 20,30ss.). In Giuseppe accade il risveglio e le speranze della profezia di Natan a Davide si fanno realtà. L’erede delle promesse è chiamato dalla Parola ad accogliere il dono con decisione e libertà. Come in tutte le chiamate, anche per Giuseppe Dio dice: " non temere". Nella creazione ad Adamo fu rivolta questa parola, purtroppo la sua risposta è stata: "ho avuto paura" (Gen 3,10). Giuseppe invece nella sua paura lascia passare il soffio di Dio (ruach) che spazza tutto e diventa vero padre di Gesù. È l'inizio del nuovo cielo e della nuova terra, annunciati da Isaia (Is 65,17). Per lui vale davvero il primato dell’amore: accogliere Maria e il dono che lei porta; lasciare che la Parola risvegli nel profondo quel sogno segreto che è Dio stesso.
Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.
Due sono i nomi che il figlio di Maria riceverà due nomi. Il primo è molto comune: Gesù. Esso deriva dalla forma greca del nome ebraico Yeshua o Yeshu, che sono la forma abbreviata di Joshua. Il significato originale di Joshua probabilmente era "Jwhw aiuta". Ma il nome è stato poi legato alla radice ebraica che significa "salvare" (ys') e interpretato "Dio salva". È il nome di Dio, la sua realtà per chi lo invoca: "chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato" (At 2,21). In nessun altro nome c’è salvezza (At 4,12), perché è il nome dal quale ogni nome prende vita. 
Il secondo nome lo troviamo nella forma: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Quest’espressione va interpretata alla luce degli insegnamenti contenuti nell’AT, nel quale troviamo tale espressione, “salverà il suo popolo”, con riferimento a Dio stesso. Infatti, nel libro del profeta Zaccaria leggiamo: “Il Signore loro Dio in quel giorno salverà come un gregge il suo popolo, come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra” (Zc 9,16). 
La frase, inoltre, intende affermare che in questo Bambino che sta per nascere sarà presente Dio stesso.
vv. 22-23: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.
Qui viene citato Is 7,14, dove al re è promesso un figlio, garanzia della fedeltà di Dio. È un segno che il re non osa chiedere e che Dio invece vuol dargli. 
I racconti evangelici (Mt 1,18-25; Lc 1,26-38) considerano la concezione verginale un'opera divina che supera ogni comprensione e ogni possibilità umana (Lc 1,34): “Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (1,20).
Nella profezia di Isaia vi è contenuta anche una sfiducia in Dio. Il non fidarsi di Dio, come è, in questo caso, il comportamento di Acaz, è una storia antica, che puntualmente si ripete; ma, nonostante ciò, Dio, continua ad offrire la sua luce e la sua salvezza al singolo e all'intera umanità, in ogni tempo.
Il segno che viene dato vuole indicare che Dio è a fianco dell’uomo, così come possiamo capire dal secondo nome che viene dato al Bambino: Emmanuele, che significa Dio con noi. Nell'uscita dall'Egitto, nell'Esodo, Dio scende accanto al popolo oppresso e dice a Mosé: "Io sarò con te" (Es 3,12) e da quel momento in poi non abbandona più il suo popolo. 
Gesù è il "Dio - che - salva" perché è il "Dio – con - noi". "E se Dio è con noi e per noi, chi sarà contro di noi" (Rm 8,32ss).
Questa particella "con" significa relazione, intimità, unione, consolazione, gioia, sforzo. Lui è sempre con noi, in nostra compagnia fino alla consumazione dei secoli (28,20).
v. 24: Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. 
Il sonno di Giuseppe si trasforma nell'Amore. La Parola del Signore trasforma i dubbi e i sogni: è il segno di un risveglio, di una resurrezione.
La resurrezione nasce dopo una lunga prova. Giuseppe sembra imitare la sua sposa: scava nel pozzo del cuore per accogliere il Bambino. L’accoglienza del bambino è l’accoglienza della madre. 
Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo. Maria è la donna del sì, ma il suo primo sì l’ha detto a Giuseppe, l’angelo la trova già promessa, già legata, già innamorata.
Giuseppe porta nella sua casa Maria. La casa è il luogo dove Dio si fa prossimo, si fa vicino, perché parla prima di tutto attraverso i volti delle persone che ci ha messo accanto, ci guarda prima di tutto con lo sguardo delle persone che vivono accanto a noi.

La Parola illumina la vita
Mi siedo, con calma, per assaporare il tutto in Lui. Mi ritrovo dinanzi al Suo mistero. Quale rispetto di fronte al mistero di Dio? 
Come scopro che Dio interviene nella mia vita, nella mia storia? Entro come Giuseppe nei sogni di Dio?  oppure desidero fuggire in segreto?
Il mio stare dinanzi alla Parola mi porta alla trasformazione? oppure mi lascia dove mi ha trovato? 
Dio scombina i miei progetti. Come li accolgo?

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Pregare
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. (Sal 23).

Contemplare-agire
Tutta la lectio suggerisce di assumere lo stesso atteggiamento di Giuseppe: accogliere Dio e le sue promesse  nella propria vita, anche se non sappiamo come si realizzerano.
Anche noi siamo chiamati a questa paternità: generare Gesù.


mercoledì 11 dicembre 2013

LECTIO: 3ª DOMENICA D’AVVENTO (A)

Lectio divina su Mt 11,2-11

Invocare
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Capire
L'antifona della Liturgia eucaristica di questo giorno recita così: Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino. (Fil 4,4.5). Da questo deduciamo che il tema della gioia è alla base della Liturgia della Parola di questa terza domenica d’Avvento. È la gioia che scaturisce nel buio della nostra esistenza, ove siamo chiamati ad incamminarci e rileggere nella nostra vita, con la luce nel cuore, la Parola del Signore.
Il Vangelo odierno, inserito nel contesto di una serie di racconti circa l’attività di Gesù che fa seguito al discorso sull’apostolato (Mt 11-12), inizia col presentare il Battista, in prigione nella fortezza di Macheronte.
L'evangelista Matteo ci rivela la motivazione della prigionia e della morte del Battista: aveva denunciato il comportamento immorale di Erode e di Erodiade (Mt 14,1-12).
Alla base del suo discorso, l’evangelista pone l’accento sulla polemica fra Gesù e i suoi avversari, in un crescendo che continuerà per tutto il resto del vangelo.
In questa sezione, dominata in modo preponderante dalla diffidenza e dall'ostilità, la predicazione di Gesù è costretta a farsi misteriosa e Gesù per non togliere del tutto la luce dei suoi insegnamenti al popolo d'Israele, propone sotto il velo del genere parabolico i vari aspetti della misteriosa realtà del Regno (c. 13).
Per ogni cristiano, è importante cogliere la beatitudine del v. 6: Beato chi non si scandalizza di me per raccogliere nella vita lo stile di Dio.

Leggere
2 Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3 a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4 Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5 i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10 Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Silenzio meditativo: Vieni, Signore, a salvarci

Meditare
vv. 2-3: Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»
Facciamo qui un salto da 4,12, punto in cui del Battista non sappiamo nulla. Adesso si trova in carcere, un luogo di segregazione, un mondo a parte. 
Paolo scrivendo a Timoteo dice: “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tim 2,9). Essa "è viva efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4, 12). Giovanni è convinto di questo e non ripiega la sua vita su se stesso, anzi, non smette di fissare lo sguardo verso ciò che ritiene lo scopo della sua vita: preparare la strada al Messia. In Lui è tutta la sua gioia, da Lui aspetta la sua salvezza. È attento ai segni dei tempi anche se questi segni sono molto diversi da quelli da lui stesso annunciati.
Ora però gli sorgono dubbi. Non sappiamo il motivo per cui il Battista è spinto alla domanda; forse l’ambiente stesso l’ha portato a questo. In questo momento egli rappresenta tutti quegli uomini giusti dell´AT e di tutte le epoche, che hanno il valore di esprimere i loro dubbi, di mettersi in discussione con serietà, di cercare una risposta alle loro domande.
Giovanni da uomo pieno di Spirito Santo si mette in discussione e si apre ad una nuova proposta da parte di Dio, pur con la fatica che avrà fatto nel comprendere questo progetto. La sua è una domanda aperta alla verità che gli viene da un Altro.
vv. 4-5: Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo
La risposta di Gesù non è diretta, ma facendo parlare i fatti, attesta esplicitamente la sua missione. I verbi “udite” e “vedete” messi al presente descrivono un'azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
Con una serie di coppie di prodigi da lui operati ieri ed oggi, con i verbi al presente, Gesù invita, non solo Giovanni, ma i discepoli di ogni tempo, a leggere i segni dei tempi per riconoscervi la presenza del Messia Gesù. Questa “è la via della fede, che iniziando dall’attività visibile culmina nel riconoscimento di Gesù. È la via che conduce dall’oscurità alla luce, dal segno alla realtà” (W. Trilling).
Gesù in questo momento cita l’AT è il metodo narrativo matteano per affermare che in Gesù Cristo le Scritture hanno avuto il loro compimento. Egli non fa altro che invitarci a raccontare noi stessi ciò che abbiamo visto e udito. A farci degli interrogativi sulla verità nascosta. È un incitamento anche per noi ad essere svegli per essere portatori di un annuncio vivo e vissuto della nostra fede in Lui.
v. 6: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
Abbiamo un invito alla lettura dei segni dei tempi per dare risposta a noi stessi e a quanti ci circondano, ove vi è racchiusa una beatitudine. Gesù le aveva già proclamate le beatitudini. Qui ne aggiunge ancora una. Essa è legata a questo atteggiamento del discepolo che lascia che il Maestro gli insegni la via per giungere al Regno di Dio. Quanti infatti sapranno accogliere questo messaggio e questo stile di vita senza che esso gli provochi inciampo nel cammino, saranno felici perché avranno trovato la via della vita e della vera libertà.
Nel testo greco, la parola “scandalo” vuole indicare la pietra d’inciampo preparata per colpire di sorpresa una persona. Gesù qui si presenta come uno che “scandalizza”. Ma lo scandalo di cui parla Gesù è quello che scaturisce dal vivere radicalmente il vangelo, quello che ci scuote dalle nostre abitudini di vita e dai nostri schemi mentali. 
v. 7: Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 
In questo versetto, inizia una testimonianza di Gesù su Giovanni il Battista che si articola in tre domande.
Possiamo cogliere uno scossone di Gesù nei nostri confronti che continuiamo ad arrampicarci sugli specchi o che passiamo da un pensiero ad un altro. Egli è il discepolo fedele, che ha annunciato con schiettezza gridandolo alla coscienza di ognuno.
Giovanni non è una canna sbattuta dal vento; il solo vento che lo muove è quello dello Spirito Santo (ruach) che lo ha condotto nel deserto, dove ha predicato la conversione e il ritorno a Dio.
v. 8: Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 
Gesù ribadisce cercando di arrivare all'identità del Battista: Un profeta è fuori dal nostro modo di pensare. Il suo status non è un privilegio, ma una missione; anzi la sua scelta così radicale dice il totale abbandono dal mondo per dare a Dio il primato di tutto: per dire che Dio è l’unico vero bene. Questo è un interrogativo per noi quando non siamo in grado di accettare i profeti, quando non accettiamo coloro che parlano nel nome di Gesù.
Giovanni non ha voluto immischiarsi con faccende politiche, con riconoscimenti e favoritismi. Egli era anzitutto un “modello di sopportazione e di pazienza” (Gc 5,10) e come tale egli è l’araldo del Signore. Anzi, il richiamo al rispetto della Legge di Dio gli ha procurato la prigionia da parte dei potenti.
vv. 9-10: Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via
Giovanni è quel profeta che fa da ponte tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Nessuno nell'AT ha svolto una missione pari alla sua.
Gesù riprende due brani dell'AT che parlano di un messaggero, di un mediatore della salvezza di Dio. Il primo lo troviamo in Es 23,20. Mentre il secondo personaggio un po' misterioso lo troviamo in Mal 3,1 di cui Giovanni rivelò apertamente.
Questo messaggero divino, che è stato Giovanni il Battista, ha preparato la strada al Signore. In questo modo Matteo sta definendo in modo indiretto la natura divina di Gesù.
Anche noi dovremmo fare o stare nel deserto per ritrovare la “via santa” e preparare la via al Signore. Indicare, come il Battista, cosa fare per permettere al Signore di entrare nella nostra vita.
v. 11: In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui
Il versetto è introdotto da una affermazione di Gesù, una sorta di giudizio favorevole sul Battista. Se nell'AT troviamo la formula "dice il Signore", qui Gesù dice: "Io vi dico" per mettere in evidenza l'importanza della missione del Battista. Non per un posto d'onore ma per indicare la fine di un'era e l'inizio della rivelazione piena del volto di Dio.
Con Gesù il Regno non è più guadagnato con sforzi umani, ascesi, meriti derivanti da una buona condotta. Paolo scrivendo ai Romani 14,17, dice: “il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. Chi vive di questo, è grande nel Regno (Mt 5,19).

La Parola illumina la vita
Giovanni compie il suo ministero in funzione della venuta di Gesù, su di lui occorre riflettere probabilmente per poter accogliere meglio il Messia. Gesù ne fa un vero elogio del suo Precursore: gli riconosce una solidità interiore; non si è lasciato agitare dai venti contrari seguendo ora questo, ora quello. 
Per Giovanni Battista fu difficile riconoscere, in Gesù, il Messia. E noi? Lo conosciamo? Lo riconosciamo?
Non è una questione di deserto. Gesù continua a ripeterci la domanda e a dare una risposta concreta che testimoni Gesù nella vita di tutti i giorni. Infatti, siamo chiamati tutti a “scandalizzare” il mondo con lo scandalo del vangelo dimostrando con la vita di non assoggettarsi a usi e costumi lontani dalla fede cristiana, di rifiutare compromessi che provocherebbero ingiustizie, di preoccuparsi dei poveri e degli ultimi.
Giovanni è un profeta, l’ultimo dei profeti che annunciavano l’intervento di Dio a favore del suo popolo. Ed io?

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Pregare
Rallegratevi sempre nel Signore!
Il Signore è vicino!
Lo ripeto ancora: rallegratevi!
Il Signore è vicino! (cfr. Fil 4,4).

La sua salvezza è vicina a chi lo teme
e la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno (Sal 84,10-11).

Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza (Sal 84,13-14).

Contemplare-agire
Condividiamo e comunichiamo la nostra fede. Prepariamo la venuta del Salvatore con la speranza, la gioia e la carità. Siamo per i nostri fratelli luce che illumina e incammina verso Cristo.


giovedì 5 dicembre 2013

LECTIO: IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA

Lectio divina su Lc 1,26-38

Invocare
O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Capire
La liturgia di questa II Domenica di Avvento, ci fa celebrare l'immacolato Concepimento della Vergine Maria. Il Vangelo è quello dell'annunciazione.
L’annunzio della nascita di Gesù a Maria di Nazareth, costituisce il centro del Vangelo dell’infanzia secondo la narrazione lucana. Il nome della Vergine Maria, importante per la nostra vita, assume un ruolo misterioso, ma eminente. L’ebraico Mirjam va tradotto con “Illuminatrice del mare” o con “Stella del mare”, traduzione, quest’ultima, preferita da san Bernardo.
Di Maria l’evangelista Luca ama sottolineare la povertà della sua condizione: è una donna (quindi socialmente debole), è vergine, priva dell’unico valore socialmente riconosciuto alla donna nella società antica: la maternità; vive a Nazareth (oscuro villaggio di una regione religiosamente infida). Ma Dio ama compiere le meraviglie della sua opera proprio nella debolezza della condizione umana; san Paolo ricorda che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza (Cfr. 2Cor 12,7-10). Così Maria diventa la “proclamazione della grazia di Dio”; niente in lei è grandezza puramente umana; tutto è opera di Dio nella creatura umana.
Nel brano dell'annunciazione abbiamo il mistero dell’incontro tra l’uomo e Dio che non si può spiegare. Avviene e basta. È un incontro che lascia il segno: qui sta la grandezza. 
La novità è questa: la speranza del popolo trova il suo compimento nella Vergine di Nazareth, Maria, che sta per diventare madre del Figlio dell’Altissimo, del Salvatore del mondo. 
San Giovanni Crisostomo ci aiuta a capire questa novità con queste parole: “È in te colui che si trova dappertutto; è con te e viene da te, lui che è il Signore in cielo, Altissimo nell’abisso…, Creatore al di sopra dei cherubini…, Figlio in seno al Padre, Unigenito nel tuo ventre, Signore – egli sa come – interamente dappertutto e interamente in te”. 

Leggere
26 Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. 34 Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. 35 Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio ”. 38 Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

Silenzio meditativo: cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.

Meditare
v. 26: "Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret"
La Parola porta un evento, un annuncio, qualcosa di nuovo, bello, inaudito. E' il "sesto mese". Un dato cronologico. Luca ci presenta Maria al “sesto mese” cioè in quell’umanità imperfetta e fragile. Non è ancora sette, ma in questa cifra vi è racchiusa la vocazione di Maria, la sua umile e “potente” comparsa sulla scena della salvezza, segno dell’amore di Dio per ciascuno di noi.
"Nazaret". E' il luogo dove si svolge la scena. Non è Gerusalemme, la città santa, ma un villaggio di una regione disprezzata, infedele e semipagana: la Galilea. 
La scena è da collegarla con quanto accade a Zaccaria nel Tempio che fa da contrasto con la vita di Maria.
v. 27: "a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria".  
La prima parola con cui l’autore del Vangelo qualifica Maria è: “vergine promessa sposa”. 
La parola "vergine", nella Bibbia, non indica esclusivamente il fatto biologico, ma anche una donna appena sposata, e in particolare una vita sempre disposta ad accogliere
Questa descrizione dell’evangelista, come una intuizione, ci trasporta nelle pagine dell’Antico Testamento che aveva visto e desiderato per la donna sterile un destino di grazia: “Beata la sterile non contaminata… avrà il suo frutto alla rassegna delle anime” (Sap 3,13). Maria rappresenta, nella prospettiva del Vangelo, la novità compiuta dalla grazia di Dio.
v. 28: "Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te"
Quì inizia il dialogo, l'ascolto. Abbiamo un saluto (“Ti saluto”) e un appellativo (“piena di grazia”), seguiti dalla garanzia di protezione divina (“Il Signore è con te”). 
Nel testo originale greco il saluto “Ti saluto, o piena di grazia” suona così: “Kaire kekaritoméne”; cioè: rallegrati tu che sei stata trasformata (o ricolma) dalla grazia (cfr. Sof 3,14ss.; Zc 2,14). In pratica: rallegrati, Dio ti ha guardato con favore, con benevolenza, ti ha guardato con la ricchezza della sua generosità e ha trasformato la tua vita con il suo dono di grazia; per cui la forma che la tua vita ormai ha assunto è la forma prodotta in te dalla grazia di Dio, dal dono di Dio.
Il participio greco usato indica una condizione permanente, quindi sostituisce il nome. Maria è identificata dall’inviato di Dio come colei che è totalmente avvolta da suo amore gratuito e benigno.
Questo saluto si conclude con la protezione divina: “Il Signore è con te”. È una espressione familiare che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento e ricorda il patto veterotestamentario tra Dio e l’umanità (attesa messianica da parte di Israele) ma da collocare nella novità dell’evento cristiano.
vv. 29-33: "A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto". 
Qui abbiamo il messaggio dell’angelo Gabriele, al quale fanno da contrappunto una riflessione e una domanda di Maria. E' il travaglio della Vergine che si pone davanti al suo Signore con timore. Questo stare alla sua presenza, diventa modello e icona del cammino di ciascun cristiano.
"Non temere, Maria...". 
Non è un saluto, ma una realizzazione messianica. Maria sarà la madre del Messia atteso e annunciato. Il turbamento che troviamo nella vita di Maria non è un semplice “turbare”, ma un perturbare, sconvolgere profondamente e fa parte del genere letterario delle annunciazioni (cfr. Lc 1,12) corrispondendo alle perplessità che avviene in ciascun chiamato ancora oggi (nella Bibbia possiamo vedere la chiamata di Mosé, Gedeone, Geremia, etc.). 
Il turbamento di Maria, più che per l’apparizione, come accade a Zaccaria, è per il senso del saluto rivoltole.
"Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù". Espressione tipicamente biblica (cfr. Gen 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7). Il profeta Isaia aveva annunciato: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Maria è la donna che, nella routine della vita ordinaria, si trova davanti al piano divino (elezione) che Dio intende realizzare per mezzo della sua persona a favore del popolo (vocazione e missione).
Maria è la donna che fa passare Dio nel suo cuore (re-cor-dare) per concepire un figlio, darlo alla luce e chiamarlo Gesù; accoglie i segni della realizzazione di quanto le viene prospettato nell’evidente miracolo del concepimento di Elisabetta e finalmente pronuncia il suo fiat.
"Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine"
Questa descrizione è la spiegazione del mistero. Fa riferimento ad una serie di titoli messianici ("sarà grande", lo stesso titolo è dato a Giovanni Battista); "Figlio dell’Altissimo" nel suo grembo l'Altissimo stava per assumere forma umana.
In queste parole pronunciate vi è una composizione teologica postpasquale, che Luca mette sulla bocca del Messaggero di Dio. Ogni parola fa riferimento all'AT. Possiamo cogliere la profezia di Isaia (cfr. Is 9,5-6); l'oracolo di Natan a Davide (2Sam 7,12-17).
Nel NT troviamo un'applicazione in Lc 6,35) che prepara al significato teologicamente più pregnante che avrà l’espressione Figlio di Dio del v. 35.
v. 34: "Maria disse all’angelo: Come è possibile? Non conosco uomo"
Più che come è possibile è come avverrà tutto questo. In questa domanda troviamo sempre quell'opposto con Zaccaria che cercava un segno. Maria, invece, cerca la sua obbedienza in Dio in maniera cosciente e responsabile. E' una ricerca di come dovrà svolgere il suo ruolo, di come realizzare i disegni di Dio.
Maria in questa sua ricerca comincia a dare corpo a questa chiamata divina, a capire che “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1).
vv. 35-37: "Le rispose l’angelo: lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio". 
L'ombra, la nube nell'AT sono i segni della presenza divina (cfr Es 13,21; 19,16; 40,34-35). Anche nel NT viene ripreso con lo stesso significato (cfr. Lc 9,34-35).
Maria trova la sua risposta nella Parola di Dio. Il linguaggio usato è quello della Sacra Scrittura ben comprensibile ad ogni pio israelita. E' l'azione dello Spirito Santo, della forza divina creatrice, quella potenza che fin dal principio aleggiava sulle acque (Gen 1,2) e che ora sta per realizzare un nuovo atto creativo.
"Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". 
E' la conclusione del discorso che si fa garanzia di ogni parola che esce dalla bocca di DIo. Garanzia che riscontriamo in altri personaggi: i tre angeli a Mamre (Gen 18,14); a Giobbe (Gb 42,2); a Geremia (Ger 32,27).
Per Maria non è una novità quel "nulla è impossibile a Dio", l'ha meditato! Ha ricordato cioè ha fatto passare Dio nella sua vita, nel suo cuore, più volte.
In questa garanzia vi è la fede di un popolo, la gioia di chi ripone fiducia in Dio (2Tm 1,12).
v. 38: "Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore"  
La risposta di Maria, eccomi, la ritroviamo frequentemente circa 200 volte, perché Dio passa sempre dalla vita dell'uomo, lo chiama. L'espressione infatti è di colui o colei che ripone fiducia in Dio, che si mette a completa disposizione per compiere la sua volontà.
Anche in questo versetto troviamo ancora una qualifica di Maria: "serva del Signore".
“Avvenga di me quello che hai detto. E l’angelo partì da lei
Il sì di Maria è un sì gioioso (ghénoito) è il primo sì alla consegna che Dio fa di se stesso nelle mani di ogni uomo e di ogni donna. Gesù è il consegnato dal Padre nelle mani dell’altro. E Maria, attraverso il suo sì, permette questo: permette che attraverso di lei abbia inizio la consegna di Gesù. 
Al sì di Maria, non importa più la presenza dell'Angelo. E' lei il nuovo Angelo, l'ancella, titolo riservato ai grandi personaggi di fede (e solo uomini) e che ora è chiamata a donare il Verbo all'umanità!

La Parola illumina la vita
Quante volte capita che davanti alla chiamata di Dio ci si chiede: “perché proprio io?”. Maria in qualche modo si pone la stessa domanda facendo un altro ragionamento dentro di sé, diverso dalle precedenti (o odierne chiamate): cerca di penetrare il senso recondito e la portata di quelle parole, quindi cerca di capire ciò che il Signore le sta chiedendo per mezzo del suo messaggero e la missione specifica. 
Il suo turbamento insieme alla sua riflessione interiore, mette in risalto un nuovo aspetto della sua persona: la sua apertura nei confronti della Parola di Dio, il suo lasciarsi interrogare, provocare da ciò che ascolta.
C'è da chiedersi come viviamo e lasciamo passare di Dio nel nostro cuore e generarlo con coscienza e responsabilità.

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Pregare
O Maria, facci comprendere, desiderare, possedere in tranquillità la purezza dell’anima e del corpo. Insegnaci il raccoglimento, l’interiorità; dacci la disposizione ad ascoltare le buone ispirazioni e la parola di Dio; insegnaci la necessità della meditazione, della vita interiore personale, della preghiera che Dio solo vede nel segreto. Maria, insegna a noi l’amore. L’amore a Cristo, Amore unico, sommo, totale, amore che è sacrificio per i fratelli. Ottieni a noi, Maria, la fede soprannaturale, la fede semplice, piena e forte, la fede sincera, attinta alla sua fonte verace, la Parola di Dio. Tu sei, Maria, immagine e inizio della Chiesa; risplendi ora innanzi al popolo di Dio quale segno di certa speranza e di consolazione (Paolo VI).

Contemplare-agire
Impariamo, sull’esempio di Maria, ad ascoltare il Signore che ci parla nelle piccole cose di ogni giorno. Ogni giorno fermiamoci a dialogare con il Signore ascoltando la sua Parola, perché possiamo conoscere, accogliere e vivere appieno la chiamata all’amore per l’altro.