sabato 26 febbraio 2011

SOSPENSIONE LECTIO DIVINA

Carissimo / a,

sto rientrando in questo preciso istante da Trapani dove sto assistendo mia madre e lunedì mattina vi farò ritorno.
Purtroppo sono costretto a sospendere il servizio online della lectio divina. I tempi sono molto stretti e dove mi trovo non ho neanche un pc.
Vi chiedo scusa e nello stesso tempo una preghiera.

Un saluto nel Signore
fr. Vincenzo

giovedì 17 febbraio 2011

Lectio divina su Mt 5, 38-48

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / A

Lectio divina su Mt 5, 38-48


Il Signore è buono e grande nell’amore


Invocare
O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza dell’amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e dell’odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo Vangelo di pace. Amen.

Leggere
38 «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. 39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43 Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Es 21,22-27; 23,4,5; Lv 11,44; 19,2.18; 20,26; 24,19-20; Dt 18,13; 19,19; 1Sam 24,10-15; 25,31-34; 26,8-10; 1Re 22,24; Is 50,6; Lam 3,30; Mic 5,1; Lc 6,27-36; 22,64; 11,41; 14,12-14; Rm 12,14-21;1Pt 1,15,16; 2,20-23; Mt 25,35-40; Dt 15,7-14; Ef 3,1; 5,1,2; Fil 3,12-15; Col 1,28; 4:12; Gc 1,4.

Capire
Prosegue in questa liturgia la lettura del Discorso della Montagna, il primo dei cinque grandi discorsi che reggono l’architettura spirituale del Vangelo di Matteo. In questa domenica si concentra verso il centro stesso, il cuore della fede cristiana, l'amore verso i nemici. Questo cuore tuttavia è anche uno dei punti meno accettato dagli uomini, sino a porre l'odio per i nemici come regola di vita, possibilmente sino allo sterminio, se non accetta la conversione forzata. E, sulla scia della precedente domenica, si completa la serie delle “antitesi” che Gesù stabilisce tra la vecchia interpretazione riduttiva della Legge biblica e la novità della sua proposta.
È la Parola nuova del Signore che, allora come oggi, viene sempre proclamata e continuamente disattesa.

Meditare
v. 38: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Queste parole fanno parte della legge antica definita «legge del taglione» (cfr. Es 21,23-25). La legge del taglione era applicata fra gli Israeliti col massimo rigore e probabilmente diventava spesso il pretesto delle più barbare ingiustizie, come accade tuttora fra i Beduini del deserto.
All'epoca di Gesù non veniva più applicata col primitivo rigore, ma il principio rimaneva valido. L’intervento di Gesù su questa legge serve per dimostrare, una volta ancora, quanto i loro insegnamenti differiscono dai suoi. Sembra che nelle parole di Gesù non ci sia una eliminazione della legge, ma aiutare il popolo a cambiare mentalità. La legge del taglione è una legge senza cuore: tu a me e io a te. Tutti pensano che così il caso sia risolto. Gesù invece mostra un’altra via: la via della giustizia sovrabbondante.
v. 39: Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra.
Un versetto che potrebbe venire in contrasto con la logica umana. Gesù non vuole dire che noi dobbiamo lasciar macellare le nostre famiglie, o farci massacrare noi medesimi, senza opporre nessuna resistenza. Non esiste religione alcuna, naturale o rivelata che sia, la quale abbia mai insegnato, o possa insegnare, una simile dottrina.
In questo versetto Gesù comincia a suggerirci un orientamento pratico che si conformi all’amore e alla misericordia di Dio Padre. Gesù rivolgendosi a quanti lo seguono dice di vivere secondo la generosità, il dono di sé, la dimenticanza dei propri interessi, non lasciandosi andare alla grettezza, ma mostrandosi benevoli, perdonando, dando prova di grandezza d’animo. Il motivo è semplice: il male si esaurisce, perde se la sua forza cade su un cuore paziente, mite.
v. 40: e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.
Gesù non abolisce la legittima difesa, poiché essa è una dura necessità di questo povero mondo, ma non vuole che sia intrisa di odio. E se l'odio volesse attaccare il bene supremo dell'amore presente nel cuore di un discepolo di Cristo, se volesse mettere alla prova la sua capacità di durare nell'amare, se volesse spegnere in lui l'amore, l'amore invece crescerà accettando tormenti e umiliazioni. L'amore non può mai spegnersi. Se davanti ad un discepolo si para una croce a sbarrargli il cammino, l'amore gli darà la forza di prendere sulle spalle quella croce e procedere, e l'amore crescerà poiché la croce fa crescere l'amore.
L'avidità degli uomini può usare del potere giudiziario di un tribunale per estorcere ad un povero una tunica, facendola passare come pegno dovuto per un prestito di denaro non restituito. Una situazione fatta apposta per sgomentare, frustrare, maledire. Il dare anche il mantello non è segno di viltà, ma di rinuncia all'ira, alla rabbia, allo sdegno, per affidarsi a Dio. Il dare il mantello non è gesto di disprezzo rabbioso, né azione irresponsabile, ma manifestazione di fiducia in Dio che provvederà ben presto (Cf. Es 22,26). Tale testimonianza di paziente fiducia scuoterà la coscienza dell'estorsore che potrà giungere a ravvedersi.
vv. 41-42: E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Anche in questi versetti, che sembrano chiudere gli esempi concreti di Gesù, Gesù dice di non ribellarsi a chi ha una pretesa di non serbare astio nel cuore, di non perdersi a pensare come liberarsene. È la bontà del cuore che spezzerà in lui la volontà di prepotenza. È lo spirito dell’amore che bisogna far vincere. Gesù stesso a quelli che lo percuotevano, rispose: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». (Gv 18,23).
San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12,21).
vv. 43-44: Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per tutti quelli che vi perseguitano. L'Antico Testamento raccomandava già di amare il prossimo come se stessi. Ma col termine prossimo si intendeva il compatriota, il giudeo, o al massimo lo straniero che aveva fissato la propria dimora in Israele o l'immigrato che era stato accolto e assimilato al popolo giudaico. Per Gesù invece ogni uomo, fosse anche un nemico o un persecutore, diventa il prossimo. All'odio istintivo egli oppone l'amore, un amore operante che si esprime attraverso gesti concreti: l'ospitalità offerta allo straniero, la preghiera per i persecutori. Ingenuità, utopia? Basta guardarsi intorno per verificare che un gesto di pace spesso è molto più efficace di una conferenza sul disarmo, che la giustizia non si realizza se non attraverso la carità, che la pazienza è la forza dei non violenti. Ma soprattutto, basta guardare Gesù, modello.
Sul comandamento dell'amore si sofferma anche l'autore del libro del Levitico: "Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello, recita il testo, "rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo; ma amerai il tuo prossimo come te stesso" (19,17-18) . È un linguaggio chiaro che non ha bisogno di commento ma solo di esser interiorizzato e tradotto in stile di vita quotidiana. Molto tempo dopo, l'evangelista Giovanni dirà: " Se uno afferma di amare Dio e poi odia suo fratello, è mentitore, chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede." (1Gv 4,20).
Amare chi ci ama non è fare niente di straordinario che demarchi profondamente l'agire pagano da quello cristiano. Il cuore deve essere duro contro il male, ma non contro il persecutore di fronte al quale bisogna porsi con la nobiltà conferita dalla fortezza della fede e dell'amore.
Il compito di giustizia da attuare verso gli empi è segnato dalla giustizia del Cristo che ha espiato i nostri peccati, cosicché ogni uomo ha al suo attivo la salvezza operata da Cristo. La giustizia da compiere presso gli empi è quella di annunciare Cristo, testimoniare Cristo.
v. 45: affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Qui abbiamo il fine di tutto questo discorso: essere figli del Padre. Il nostro spirito deve modellarsi sul suo e le nostre opere devono avere quel profumo d’amore generoso e inesauribile che scaturisce solo da Lui. Il versetto è un richiamo alla imitazione: diventare simili al Padre, perché al termine della vita ci riconosca e ci accolga come veri figli.
vv. 46-47: Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
L’amore di cui Gesù va parlando deve oltrepassare quanto dicono e fanno gli Scribi e i Farisei (cfr. 5,20) e anche i pubblicani e i pagani. Anche i pubblicani amano i propri simili. Questi erano disprezzati e costituivano una delle classi più basse nella scala sociale.
Il discepolo di Gesù deve avere una marcia in più: la consapevolezza che il Padre è il Dio dell'amore e non solo quello di giustizia. È un Dio di misericordia, che ci chiede di sperimentare in prima persona la carità verso i fratelli.
Il Signore sottolinea: quale ricompensa ne avete? Ovviamente non si parla di azioni da ricompensare, ma di vivere nell’amore e seguire gli insegnamenti di Gesù è ricevere una ricompensa: la figliolanza divina (cfr. 5,45), la pienezza e la beatitudine del regno di Dio, cioè Dio stesso. La dottrina di Paolo sulla figliolanza dei credenti sembra aver la sua radice in questo ed altri simili detti di Gesù.
L’amore positivo dei nemici rappresenta il vertice toccato dalla legge evangelica dell’amore del prossimo. Tale amore, indicato dal verbo greco agapào risiede principalmente nella volontà che si fa disponibile con la compressione, la benevolenza, il soccorso.
v. 48: Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. È la conclusione: la stessa perfezione di Dio. Ma già nell’AT era risuonata una simile richiesta: “Sarete santi, come io Jahvé vostro Dio sono santo” (Lv 19,2). Nella redazione di Luca il detto di Gesù è riportato in termini più stretti, ma più confacenti al contesto: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre celeste” (Lc 6,36).
La parola «Perfetti» è da capirsi nel senso di compiuti nell'esercizio dell’amore verso i nostri simili; amore che abbraccia tutti e non esclude alcuno. Diversamente sarebbe una semplice virtù che non conduce a nulla. Chi l'intendesse così, contraddirebbe al contenuto intero del discorso, il quale infatti viene a dire che la somiglianza con Dio nella purità interna, nell'amore e nella santità, deve esser il continuo scopo del cristiano, in tutte le circostanze della sua vita per essere perfetti “come è perfetto il Padre vostro celeste”.
Nostro Signore pone il Padre celeste innanzi a noi come il modello che dobbiamo imitare, specialmente nel nostro amore, che si deve estendere a tutti gli uomini, anche ai nostri nemici.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Non crediate che sia senza scopo la presenza dei cattivi nel mondo. Non pensate che da essi Dio non tragga niente di buono. Il cattivo vive, o perché abbia a correggersi, oppure perché chi è buono sia per mezzo suo messo alla prova. Voglia il cielo che coloro che oggi ci mettono alla prova si convertano, e anche loro siano con noi messi alla prova! Tuttavia, finché seguitano a opprimerci, non odiamoli. Non sappiamo, infatti, chi di loro persevererà sino alla fine nella sua malvagità; e il più delle volte, mentre ti sembra di odiare un nemico, odi un fratello... Dice l’Apostolo a coloro che sono già divenuti fedeli: Foste un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5,8): tenebre in voi stessi, luce nel Signore. Ebbene, fratelli, tutti i malvagi, finché sono malvagi, mettono alla prova i buoni. Ascoltate ora brevemente e intendete! Se sei buono, nessuno ti sarà nemico, se non il malvagio. Senza dubbio, ti è ben nota quella regola di bontà, secondo la quale tu dovrai imitare la bontà del Padre tuo che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45)... Quanto a te, che cosa hai dato al tuo nemico? Tu che non sei capace neanche di sopportarlo! Se Dio ha per nemico un uomo al quale tante cose ha donato... tu, che non puoi far sorgere il sole e neppure far piovere sulla terra, non puoi riservare qualcosa per il tuo nemico, affinché anche per te, uomo di buona volontà, vi sia pace sulla terra? Ebbene, se è vero che a te, in fatto d’amore, si prescrive d’amare il nemico imitando il Padre, come potresti tu esercitare in questo comandamento, se non ci fosse alcun nemico da sopportare? Vedi, dunque, che ogni cosa ti è di giovamento. Il fatto stesso che Dio risparmia i malvagi e spinge anche te a fare altrettanto, poiché tu pure, se sei buono, lo sei in quanto da malvagio sei diventato buono! Che se Dio non perdonasse ai malvagi, nemmeno tu potresti ora presentare a lui a rendergli grazie. Lascia, dunque, che usi misericordia con gli altri colui che ne ha usata con te. (Agostino, Esposizioni sui Salmi)

Molti credono di essere molto lontani dal mondo, nel loro agire, perché ne sono lontani in due o tre cose, da cui si astengono. Non sono abbastanza saggi da vedere che in uno o due membra essi sono morti al mondo, ma che con tutte le altre vivono ancora nel corpo del mondo. Perciò non si accorgono più neppure delle loro passioni e, non percependole, non si preoccupano nemmeno della loro salvezza. La parola «mondo» è quasi il nome collettivo di tutte le passioni. Quando noi vogliamo designarle a una a una, invece, usiamo il loro nome particolare. Le passioni sono una parte del meccanismo del mondo; ove esse sono spente, anche la mondanità è cessata. Tra di queste enumeriamo l’amore alla ricchezza, l’ansia di accumulare possedimenti, la crapula che riempie il corpo e da cui sorgono le passioni impure, l’ambizione che è la sorgente dell’invidia, il desiderio di potere, la superbia e la boria per la propria posizione, la brama di notorietà tra gli uomini, che è causa di inimicizie, e il timore di pericoli corporei. Ove il corso di tutte queste cessa ed esse svaniscono, in egual grado cessa la situazione mondana, e giunge a termine, come avvenne per alcuni santi, che col corpo erano morti. Vivevano nel corpo, ma non secondo la carne. Guarda dunque in quante di queste passioni tu ancora vivi, e saprai in quali parti del mondo tu stai ancora e in quali tu sei morto. Ora sai cosa è il mondo: impara anche, da queste sue singole parti, fino a che punto sei ancora in esso implicato e fino a che punto te ne sei liberato. In altri termini: «mondo» è agire secondo il corpo, sono i pensieri carnali. L’elevazione al di sopra del mondo si manifesta per queste due note: il mutato comportamento e la diversità dei moti intimi. Dalle manifestazioni immediate del tuo spirito circa le realtà verso cui è attratto tu puoi riconoscere la vera misura del tuo costume: verso cosa la tua natura aspira involontariamente, quali manifestazioni le sfuggono continuamente e ciò da cui si sente mossa; cioè, se il tuo spirito accoglie in sé sempre e solo le impressioni dei moti incorporei, oppure se si muove tutto nella materia. (Isacco di Ninive, La vita virtuosa, 2)

Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli apostoli sopportarono ai loro giorni. È vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori; non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi. Dio è contento che gli serviamo in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata della vita. Ma per questo gli è dovuta più fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito di più. Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c’è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata, noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a Dio almeno con gli impegni minori. Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori. Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale. Vediamo se almeno in quegli ossequi di religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile e in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore. Cristo ci proibisce di litigare. Ma chi obbedisce a questo comando? E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa; dice infatti: Se qualcuno vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello (Mt 5,40). Ma io mi chiedo chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli avversari che li spogliano? Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto che, se appena lo possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all’avversario. E obbediamo con tanta devozione ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto! A questo comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: Se qualcuno ti percuoterà la guancia destra, tu offrigli anche l’altra (Mt 5,39). Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore? E chi vi è mai che se ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte? È tanto lontano dall’offrire a chi lo percuote l’altra mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l’avversario, ma addirittura uccidendolo. Ciò che volete che gli uomini facciano a voi - dice il Salvatore - fatelo anche voi a loro, allo stesso modo (Mt 7,12). Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo, la seconda, la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto. Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri. E davvero non lo sapessimo! Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: Chi non conosce la volontà del suo padrone sarà punito poco. Ma chi la conosce e non la esegue, sarà punito assai (Lc 12,47). Ora la nostra colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio. E questa parola di Dio viene inoltre rinforzata e rincarata dall’apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: Nessuno cerchi ciò che è suo, ma ciò che è degli altri (1Cor 10,24); e ancora: I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò che è degli altri (Fil 2,4). Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare più ai comodi altrui che ai nostri. È il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico: camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e scolpite le orme. Ma noi cristiani facciamo ciò che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l’Apostolo? Né l’uno né l’altro, credo. Siamo tanto lungi tutti noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi, scomodando gli altri. (Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo)

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Il brano invita a delle condotte etiche. C’è da esaminare la nostra vita di tutti i giorni per capire quale condotta nelle situazioni difficili, quale reazione quando tutto sembra rivoltato contro?
Anche la preghiera: che tipo di preghiera è la nostra? Mi fa crescere nella perfezione con il Padre oppure un semplice ripetere preghiere perché si devono dire? Invoco lo Spirito santo, affinché mi plasmi interiormente secondo l'immagine di Gesù, rendendomi capace di amare gli altri come Lui e a causa di Lui?

Pregare
Mettiamoci dinanzi alla Parola lasciandoci illuminare da Essa. Il Salmo ci invita a rivisitare la nostra vita e ad innalzare la nostra lode di perdono al Signore (Dal Salmo 102)

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.

Contemplare-agire
La Parola ci invita ancora una volta ad essere sobri e misurati, dobbiamo essere giusti e misericordiosi come Gesù, che gradisce molto i nostri sforzi sinceri di perdonare e di riconciliarci con chi ci ha offeso ma che innanzitutto è e resta vicino a chi ha subíto gravi torti.





mercoledì 9 febbraio 2011

Lectio divina su Mt 5, 17-37

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / A

Lectio divina su Mt 5, 17-37

Beato chi cammina nella legge del Signore


Invocare
O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano, radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
17 «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21 Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! 27 Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
31 Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. 33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Is 57,15; Lc 16,17; Gv 8,5-24 ; At 18,13; 21,28; Gal 3,17-24; Mt 3,15; Sal 40,6-8; Is 42,21; Rm 8,4; Gal 4,4-5; Eb 10,3-12; Dt 23,21-23; Sir 15, 16-21 [gr. 15, 15-20]; Mt 23,16-22; Gv 8,44; Ef 4,25; Mt 15,19; Col 3,9; 2Cor 1,17-20; Col 4,6.

Capire
Siamo nel contesto del discorso della montagna, discorso che sorprende le l’autorità. Gesù comunica loro con vigore le esigenze di una vita segnata dall’essere figli di Dio e dalla fraternità verso tutti.
Gesù partendo da Mosè che dona la Legge sul monte Sinai (Es 24,9), fa capire il precetto della legge ebraica. Questo lo fa da Maestro. La sua posizione – seduta - ricorda l’atteggiamento del rabbi ebraico che interpreta la Scrittura ai suoi discepoli. Gesù stesso aveva dato l’autorità di estrarre dal loro «tesoro cose nuove e cose antiche».
Il messaggio di Gesù in questo inizio si concentra sulla felicità in senso biblico, che pone l’uomo nel giusto rapporto con Dio e, di conseguenza, con la totalità della vita: una felicità legata alla realtà stessa del regno dei cieli. In una seconda parte viene sviluppato il tema della «giustizia» del regno dei cieli (5,17-7,12).
L’evangelista Matteo descrive per noi Gesù pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che “chi ama il suo simile ha adempiuto la legge... Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).

Meditare
vv. 17-18: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Le parole contenute in questi versetti sono indirizzate ad alcuni che rispettavano la legge, non soltanto nel suo senso letterale, ma ancora nel senso spirituale; e temevano che Gesù avesse l'intenzione di rovesciare tutte le istituzioni stabilite da Dio fra loro.
In queste parole Gesù fa una sua dichiarazione: la sua venuta è per adempiere «la Legge ed i Profeti», un’espressione usuale per designare le Sacre Scritture. La «Legge ed i Profeti», come risulta da altri passi del Vangelo (cfr. 7,12; 11,13), esprimono, nel pensiero di Gesù, la volontà divina rivelatasi nell'antica Alleanza. Gesù afferma, esattamente come i rabbi, che la Legge nessun uomo potrà cambiarla perché voluta da Dio e protetta da Dio. Non un solo iòta passerà della Legge. Lo iòta è la lettera dell’alfabeto greco che sta per la lettera ebraica yod, il più piccolo dei caratteri ebraici.
Gesù non è venuto per abolire la Legge, ma per portarla a compimento. Ciò che viene portato a compimento non può cessare di essere, ma viene ad essere, appunto, nel compimento. La Legge compiuta non è in contraddizione con la Legge, ma ne è la piena fioritura. Gesù con la sua obbedienza e pratica attraverso la passione, morte e resurrezione ha adempiuto la Legge.
vv. 19-20: Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Il versetto si presenta pieno di verbi che conducono all’insegnamento di Gesù: fare la volontà del Padre (Mt 3,13-4,11). È interessante notare che Matteo utilizzi questo verbo di compiere, adempiere, solo per Gesù: solo lui compie la Legge, solo la sua persona presenta le caratteristiche della pienezza. Qui si radica il suo autorevole invito, che per noi diventa un «invio», un compito a compiere in pienezza la Legge: «Io vi dico…» (vv. 18.20).
Rifacendosi a quanto già detto, abbiamo qui gli Scribi ed i Farisei che non osservavano la legge, poiché essi l'annullavano con le loro tradizioni, e la mettevano in pratica soltanto esternamente. Scribi e Farisei, due classi di individui i quali, da due diversi punti di vista, consideravano Gesù come un sovvertitore della legge e dei profeti.
Il lievito degli scribi, dei farisei, e anche dei sadducei, era seducente poiché proponeva la perfezione dell'adempimento della Legge e quindi il gradimento di Dio, e per questo Gesù afferma che la loro giustizia, cioè il nucleo ispiratore dei loro precetti, era falso e non portava al cielo ma alla Geenna (Mt 23,13s).
Perciò essi pretendevano invano di essere giusti; e Gesù dichiara che coloro i quali desiderano entrare nel regno dei cieli devono essere più santi di loro: senza una giustizia superiore a quella dei Farisei, noi non possiamo far parte della sua Chiesa, né in questo mondo, né nel mondo avvenire.
La “giustizia” di cui si tratta qui, non è quella che ci è imputata per la fede, ma bensì una vita giusta e santa che è la conseguenza della prima. Perciò se vogliamo che la nostra giustizia superi quella degli Scribi e dei Farisei, conviene che essa abbia la sua sede nei nostri cuori, e si manifesti nella nostra vita.
vv. 21-22: Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Qui Gesù inizia ad affrontare l’argomento delle relazioni fraterne, ad esporre il vero significato del comandamento. Il Signore non proibisce in un modo assoluto di adirarsi. L'ira, quando è diretta contro il peccato è lecita. «Adiratevi ma non peccate» dice san Paolo (Ef 4,26). Gesù guarda gli ipocriti Farisei «con indignazione» (Mc 3,5). Egli parla qui di un'ira piena di odio contro al fratello. Nella prospettiva completamente nuova del Discorso della Montagna, ogni mancanza d’amore verso il prossimo comporta la stessa colpevolezza dell’omicidio. Infatti la collera, l’ira, il disprezzo dell’altro si radicano in un cuore sprovvisto d’amore.
In questo caso l'ira è peccaminosa; è disubbidienza al sesto comandamento; è l'omicidio che sì svolge nel cuore, benché non sia ancora arrivato alle mani. «Chiunque odia il suo fratello, è omicida» (1Gv 3,15).
La vita dell’uomo è sacra perché è stata creata da Dio ed ha come scopo principale quello di tornare a Dio. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine; nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente (Catechismo Chiesa Cattolica n. 2258). Per Gesù non s’infrange la Legge solo uccidendo, ma anche con tutte quelle azioni che tentano di distruggere o “vanificare” l’altro.
Gesù dimostra qui che la legge di Dio è «giudice dei pensieri e delle intenzioni del cuore»; che non è destinata a reprimere solo gli atti violenti, ma pur anche le malvagia disposizioni dalle quali essi procedono. Egli riconduce il Patto alla sua origine, allo spirito che l'ha prodotto, e combatte il peccato nella sua sorgente, ipocritamente risparmiata dai Farisei.
vv. 23-26: Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Questi quattro versetti, contengono un'applicazione pratica degli insegnamenti di Gesù relativi al sesto comandamento. Quantunque il nostro primo dovere sia di rendere il nostro culto a Dio, Gesù, per dimostrare l'importanza e la necessità della riconciliazione, dichiara che l'offensore, anche se egli fosse in procinto di rendere il suo culto a Dio, dovrebbe sospenderlo, finché non avesse confessato il suo torto al suo avversario, e non si fosse riconciliato con lui. Non è solo questione di chiedere perdono: è urgente ricostruire le relazioni fraterne perché il bene del fratello è il mio bene. Gesù dice: “Va’ prima”… Innanzitutto, prima di pregare, prima di donare, prima che l’altro faccia il primo passo, c’è il movimento del mio cuore, del mio corpo verso l’altro. Tale andare verso l’altro ha come scopo la ricomposizione della lacerazione; un movimento che tende alla riconciliazione.
Il perdono vicendevole e la riconciliazione sono una condizione per partecipare nel culto; senza di essi non é possibile la relazione con Dio.
vv. 27-28: Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Il sesto comandamento (Es 20,14) richiama anche il nono: “non commettere adulterio”. Il desiderio della donna riguardante questo versetto non si riferisce a un semplice pensiero ma a un proposito peccaminoso. Questo non solo verso donne sposate ma anche nubili. Lo sguardo di cui parla Gesù non è prodotto da un pensiero fugace, immediatamente represso da una santa vigilanza, ma è uno sguardo diretto dalla volontà stessa dell'uomo con lo scopo di fomentare in se stesso e negli altri passioni impure. Esempi di tali «sguardi» peccaminosi condannati severamente dalla Bibbia non mancano (cfr. 2 Sam 11,2; Dn 13,20).
Contro i 613 precetti della Legge numerati dai rabbini Gesù, riprendendo l’Antico Testamento, ricorda che il comandamento è uno solo eppure abbraccia ogni atto e ogni istante della vita: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso”. È da questo comandamento che “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 37-40).
vv. 29-30: Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. «Cava il tuo occhio taglia la tua mano» Gesù usa un linguaggio particolarmente forte per sottolineare la gravità del pericolo costituito dallo sguardo peccaminoso. Egli applica il suo insegnamento a ciascuno. Queste sono immagini forti, anch’esse riferite al sesto e nono comandamento, che probabilmente Gesù non ha usato, ma che erano chiare in rapporto alla circoncisione. È necessario individuare e allontanare dal cuore qualche pensiero o sentimento preciso che, pur essendo legato alla nostra natura, ci impedisce di raggiungere la piena dignità che Dio vuole per il nostro corpo. Quindi ciò che è da cavare, da tagliare non è una parte del corpo, ma la concupiscenza che si pasce e cresce per mezzo dell'occhio e della mano.
La metafora è probabilmente tolta dall'esperienza chirurgica, e in ogni caso è adatta come illustrazione del soggetto, poiché è noto ad ognuno, quando la salute del corpo è compromessa da uno dei membri, non si esita a tagliarlo per evitare la morte. È meglio rifiutare la soddisfazione di una mala concupiscenza in questa vita, dice il Signore, che abbandonarsi in balìa del peccato, il quale conduce alla perdizione.
vv. 31-32: Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Nell’antichità il divorzio era normale per varie cause, il Signore esclude per sempre ogni forma di divorzio. Questo è adulterio per entrambi i separati, se si risposassero, e anche per i loro nuovi sposi. La prescrizione è netta e non ammette eccezioni. Viene descritto solamente il caso del concubinato che nel testo greco (pornéia) indica la prostituzione, sia come idolatria, sia come la pratica di vendere il proprio corpo. Mentre in ebraico il termine corrispondente è zenût (impudicizia, fornicazione), un termine dispregiativo con cui i rabbini chiamavano i matrimoni non validi, come quelli contratti fra parenti, proibiti dalla legge mosaica (cfr. Lv 18), ammessi però nel diritto greco-romano.
Matteo scrive per un ambiente giudaico e altrove non riscontriamo lo stesso problema (cfr. Mc 10,1-12; Lc 16,18 e 1Cor 7,10-11). La legge dell'indissolubilità, dunque, secondo Matteo, non deve estendersi alle unioni non «legate da Dio».
vv. 33-35: Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re.
Viene ripreso qui l’8° comandamento (Es 20,7); Gesù si riferisce ai vari passi del Pentateuco in cui si danno le norme per la disciplina del giuramento (cfr. Lv 19,12; Nm 30,2). La pratica del giuramento, comune a tutti i popoli, aveva lo scopo di chiamare Dio a garanzia della verità. Ma poiché le circostanze della vita davano mille occasioni di ricorrere al giuramento, facile ne era l'abuso o per leggerezza o inadempimento. Adesso Gesù con le parole “non giurare affatto”, prescrive che ogni giuramento è escluso del tutto (cfr. Sir 23,9). Giurare è sempre un atto che esige coerenza con la vita, ma allora tra persone oneste, che hanno coerenza di vita, non c'è bisogno del giurare, basta la parola data. All'insegnamento di Gesù fa eco l'avvertimento dell'apostolo Giacomo: Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra e non fate alcun altro giuramento. Ma il vostro «sì» sia sì, e il vostro «no» no, per non incorrere nella condanna. (Gc 5,12).
vv. 36-37: Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Il giuramento, sommariamente parlando, è una promessa accompagnata da una invocazione della divinità chiamata a testimone di quanto si dice. I Giudei giuravano per il cielo (come raccomandava Filone), per la Città Santa e per altre realtà connesse con Dio. Gesù proibisce qualsiasi giuramento perché l’uomo non può disporre né di Dio (vv. 34-35), né di se stesso (v. 36). Non si può impegnare Dio poiché non ci appartiene; e neanche noi stessi perché apparteniamo a Lui.
Qui viene ripreso anche un giuramento molto comune tra gli Ebrei: il giurare per la propria testa, quasi a dire: “per la mia vita!”, “per l’anima mia!”. Cioè: Ch'io possa morire se ciò non è vero! Il nostro Signore proibisce di giurare così, e ne dà la ragione: “perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo tuo capello”.
La parola «potere» nel testo greco ha il senso di “cambiare radicalmente il colore dei capelli”, non di modificarli con tinte o con preparati chimici.
Il senso del versetto è evidentemente quello che deriva dalla constatazione che non avendo alcun potere sulla nostra vita rappresentata dalla “testa” (capo), che Dio solo può abbreviare o prolungare, siamo colpevoli giurando per quella, come giurando per il Creatore nostro.
Questo discorso di Gesù non è puro umanesimo; tutto è trattato dal punto di vista di Dio. La verità di un uomo è nella corrispondenza del “sì” e del “no” che pronuncia con le radici del suo sentimento e del suo pensiero.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
«lo vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete
nel regno dei cieli» (Mt 5,20); se non osserverete, cioè non solo quei minimi precetti della legge che incominciano a formare l'uomo, ma anche questi aggiunti da me, che non sono venuto ad abolire la legge ma a perfezionarla, non entrerete nel regno dei cieli. Ma tu mi dirai: «Se prima, parlando di quei minimi precetti, ha detto che nel regno dei cieli sarà chiamato minimo chiunque avrà trasgredito uno di essi e insegnato agli altri ad agire così, mentre verrà chiamato grande chiunque li avrà osservati e avrà insegnato a farlo - quindi sarà già nel regno dei cieli dal momento che è grande- che bisogno c'è di aggiungere altri precetti a quelli minimi della legge, se chi li osserva e li insegna può già entrare nel regno dei cieli, perché è grande»? Quella sentenza: «Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini,sarà considerato grande nel regno dei cieli» ( Mt 5, 19 ). Si deve interpretare nel senso che ora dirò. Che la vostra giustizia superi, egli dice, quella degli scribi e dei farisei,perché se non sarà maggiore non entrerete nel regno dei cieli. Chi trasgredirà dunque quei precetti minimi e insegnerà così, sarà chiamato minimo: chi invece osserverà quei piccoli precetti e in tal modo insegnerà, non è da ritenersi già grande e adatto al regno dei cieli, ma tuttavia non tanto piccolo come colui che li trasgredisce. Perché egli sia grande e idoneo al regno, deve fare e insegnare come Cristo ora insegna, occorre cioè che la sua giustizia sia maggiore di quella degli scribi e dei farisei. La giustizia dei farisei è di non uccidere; la giustizia di coloro che entreranno nel regno di Dio è di non adirarsi senza ragione. Non uccidere perciò è il minimo e chi lo trasgredisce sarà chiamato minimo nel regno dei cieli. Chi poi lo osserverà non sarà subito grande e adatto al regno dei cieli, però salirà già di qualche grado. Sarà invece perfetto se non si adirerà senza ragione; e se osserverà questo sarà ben lontano dall'uccidere. Per cui chi insegna a non adirarsi non trasgredisce la legge che comanda di non uccidere, ma piuttosto la perfeziona, affinché custodiamo l'innocenza all'esterno non ammazzando, e nel cuore non dando campo all'ira. (Sant'Agostino, vescovo, Discorso 1,9. 21).

Notate ancora, a questo punto, come Gesù convalidi la legge antica, facendo un paragone tra questa e quella nuova: egli dimostra che sono della stessa discendenza, che hanno la stessa origine; esse, più o meno, sono dello stesso genere. Egli, perciò, non rigetta l’antica legge, ma vuole svilupparla. Se la vecchia legge fosse stata cattiva, Cristo non si sarebbe preoccupato di realizzarla e neppure di perfezionarla, ma l’avrebbe del tutto rigettata. A questo punto potreste domandarmi perché la legge antica, se buona in se stessa, non conduce più gli uomini al «regno». Vi rispondo che, evidentemente, essa non salva più gli uomini che vivono dopo l’avvento di Gesù Cristo, perché essi ora, avendo ricevuto una grazia ben più grande di prima, debbono di conseguenza sostenere battaglie più dure. Ma tutti coloro che sono vissuti prima di Cristo e sono stati fedeli seguaci della vecchia legge, si sono salvati. Gesù stesso dice nel Vangelo: Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8,11). E noi vediamo del resto che Lazzaro, mentre gode di grandi beni celesti, riposa nel seno di Abramo (cf. Lc 16). Insomma, tutti coloro che brillarono di vivissima luce nell’antica legge, splendettero proprio per aver tradotto in vita i suoi precetti. Se questa legge fosse stata malvagia, oppure avesse avuto un autore diverso da Dio, Cristo, alla sua venuta, non l’avrebbe realizzata. Se egli avesse accondisceso a compierla soltanto per attirare i giudei e non per mostrare l’identica origine e l’affinità tra l’antica e la nuova legge, perché allora non avrebbe cercato anche di perfezionare le leggi e i costumi dei gentili, per attrarli nello stesso modo? Così è del tutto evidente che, se la legge antica ha cessato di salvare gli uomini, non è perché essa sia stata malvagia, ma perché è venuto il tempo in cui i precetti debbono essere più elevati. Se l’antica è meno perfetta della nuova, ciò non significa che essa sia malvagia: se così fosse, nella sua condanna ricadrebbe ugualmente anche la seconda. E, infatti, se si paragona la conoscenza che noi ora abbiamo della legge nuova con la conoscenza che possederemo nella vita futura, quella attuale risulta parziale e imperfetta e certamente scomparirà quando sopravverrà quella del cielo. Quando sarà venuto ciò che è perfetto - dice Paolo - sarà abolito ciò che è imperfetto (1Cor 13,10): questo accadde alla legge antica, quando giunse la nuova. Per lo stesso motivo, non dovremo disprezzare la legge nuova, per il fatto, cioè, che essa deve cessare quando saremo nel cielo e «ciò che è imperfetto sarà abolito». Noi diciamo che essa è grande e sublime; infatti, le ricompense promesse da questa legge sono ben più grandi di quelle promesse dall’antica e in essa la grazia dello Spirito Santo è ben più abbondante. Dio, perciò, giustamente esige da noi frutti e doni maggiori. Egli, ora, non ci promette più una terra in cui scorre latte e miele, né una lunga vecchiaia, o un gran numero di figli o l’abbondanza del pane e del vino, o grandi greggi di pecore e di buoi, ma ci promette il cielo stesso e i beni celesti, la dignità di essere figli adottivi del Padre, fratelli del Figlio unigenito, suoi eredi, partecipi della sua gloria e del regno, e un’infinità di altre ricompense. Paolo ci fa chiaramente intendere che noi abbiamo fruito di un aiuto ben più grande, quando dice: Non c’è più condanna per coloro che sono in Cristo Gesù e che vivono, non secondo la carne, ma secondo lo spirito; poiché la legge dello spirito di vita mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte (Rm 8,1-2) (Crisostomo Giovanni, Commento al Vangelo di san Matteo)

Evagrio ha detto: "E` cosa estranea ai monaci adirarsi, come pure rattristare qualcuno"; e ancora: "Se uno ha vinto l`ira, costui ha vinto i demoni; se invece è sconfitto da questa passione, del tutto estraneo alla vita monastica", con quel che segue. Che dobbiamo dunque dire di noi stessi, che non ci fermiamo neppure alla collera e all`ira, ma che talvolta ci spingiamo fino al rancore? Che altro, se non piangere questa nostra miserabile e disumana condizione? Vegliamo dunque, fratelli, e veniamo in aiuto a noi stessi, dopo Dio, per esser liberati dall`amarezza di questa rovinosa passione. Talora uno fa una "metania" al proprio fratello perchè tra i due, evidentemente, c`è stato turbamento o attrito, ma anche dopo la "metania" rimane rattristato e con pensieri contro di lui. No, egli non deve considerarli di poca importanza, ma deve tagliarli via al più presto. Si tratta di rancore, e c`è bisogno di molta vigilanza, come ho detto, di penitenza, di lotta per non soffermarsi a lungo in questi pensieri e per non correre pericolo. Infatti, facendo la "metania" per adempiere al precetto, si è, sì, posto rimedio all`ira sul momento, ma non si è ancora lottato contro il rancore; e per questo si è rimasti con risentimento contro il fratello, perchè altra cosa è il rancore, altra l`ira, altra la collera e altra il turbamento. Vi dico un esempio, perchè capiate meglio. Chi accende un fuoco dapprima ha solo un carboncino, che è la parola del fratello che lo ha rattristato; ecco, è appena un carboncino: che è mai la parola del tuo fratello? Se la sopporti, spegni il carbone. Se invece continui a pensare: «Perchè me l`ha detto? Posso ben rispondergli! Se non avesse voluto affliggermi, non l`avrebbe detto. Vedrai! Anch`io posso affliggerlo», ecco, hai messo un po` di legnetti o simile materiale, come chi accende il fuoco, e hai fatto fumo, che è il turbamento. Il turbamento è questo sommovimento e scontro di pensieri, che risveglia e rende aggressivo il cuore. Aggressività è l`impulso a rendere il contraccambio a chi ci ha rattristato, che diventa anche audacia, come ha detto l`"abbas" Marco: "La cattiveria intrattenuta nei pensieri rende aggressivo il cuore, mentre allontanata con la preghiera e la speranza lo rende contrito". Se infatti avessi sopportato la piccola parola del tuo fratello, avresti potuto spegnere, come ho detto, anche quel piccolo carboncino, prima che nascesse il turbamento. Ma anche questo, se lo vuoi, puoi spegnerlo facilmente, appena inizia, col silenzio, con la preghiera, con una "metania" fatta di tutto cuore; se invece continui a far fumo irritando ed eccitando il tuo cuore a forza di pensare: «Perchè me lo ha detto? Posso ben rispondergli!», per lo scontro stesso, diciamo così e la collisione dei pensieri il cuore si logora e si surriscalda, e allora divampa la collera. La collera è un ribollimento del sangue che si trova intorno al cuore, come dice san Basilio. Ecco, è nata la collera: è quella che chiamiamo irascibilità. Ma se lo vuoi puoi spegnere anch`essa, prima che diventi ira; ma se continui a turbare e a turbarti, ti vieni a trovare come chi ha messo legna al fuoco, e il fuoco divampa sempre più, e così poi viene la brace, che è l`ira. Questo è quanto diceva l`"abbas" Zosima, quando gli fu chiesto che cosa vuol dire la sentenza che dice: "Dove non c`è collera, si acquieta la battaglia. All`inizio del turbamento, quando comincia, come abbiamo detto, a far fumo e a mandare qualche scintilla, se subito uno rimprovera se stesso e fa una "metania" prima che si accenda e diventi collera, se ne rimane in pace. Ma dopo che è venuta la collera, se non se ne sta tranquillo, ma continua a turbarsi e ad irritarsi, si viene a trovare, come abbiamo detto, come uno che dà legna al fuoco, e continua a bruciare finchè non produce grossa brace. Come dunque i tizzoni di brace diventano carboni e si mettono via e durano per anni interi senza guastarsi e marcire, nemmeno se vi si butta sopra acqua, così anche l`ira, se dura nel tempo, diventa rancore e poi, se non si versa sangue, non si riesce ad allontanarsene. Ecco, vi ho detto la differenza, attenti bene; avete sentito che cos`è il primo turbamento, che cos`è la collera, l`ira, il rancore. Vedete come da una sola parola si arriva ad un male così grande? Se fin da principio si fosse rivolto il rimprovero su sé stessi, se non si fosse voluto giustificarsi e in cambio di una parola sola dirne due o cinque e restituire male per male, si sarebbe potuto sfuggire a tutti questi mali. Per questo vi dico sempre: quando le passioni sono giovani, tagliatele via prima che s`irrobustiscano a vostro discapito e dobbiate poi penare. Una cosa infatti è strappar via una piccola pianta e un`altra sradicare un grande albero. (Doroteo di Gaza, Instruct. 8, 89-91)

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Come vivo i precetti della legge di Dio, come una legge di libertà o come un obbligo che mi rende schiavo?
Come cristiani abbiamo la missione di dare un´espressione concreta a quello che ci anima dal di dentro. Qual è l´espressione che stiamo dando alla nostra fiducia in Dio?
Nella vita sono sempre aperto alla richiesta di Gesù per una giustizia più grande? Sono consapevole di non essere, ancora, nella giustizia piena? Mi confronto con l’agire di Dio?
La mia giustizia si impegna a imitare qualcosa della giustizia di Dio, della sua gratuità, della sua creatività?
Come vivo nella società il comandamento di non uccidere? Nella mia offerta all´altare, dò più importanza a Dio o al fratello? Il mio parlare è sincero o pieno di falsità, ipocrisia?
E il comandamento che fa riferimento alle relazioni coniugali? E alla sincerità nelle relazioni e nelle azioni?

Pregare
Mettiamoci dinanzi alla Parola lasciandoci illuminare da Essa. Il Salmo ci invita ad obbedire alla legge del Signore con tutto l’impegno personale. La pratica della giustizia nuova per entrare nel regno dei cieli non può derivare solo da un impegno individualistico, ma da un dialogo familiare e costante con la Parola di Dio. (Dal Salmo 119 (118)

Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.

Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.

Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.

Contemplare-agire
La scelta fondamentale di tutta la nostra esistenza è nella nostra libertà: o con Dio, in Cristo, o lontano da lui, privi della vera libertà e di amore. «Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

mercoledì 2 febbraio 2011

Lectio divina su Mt 5,13-16

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / A

Lectio divina su Mt 5,13-16

Il giusto risplende come luce


Invocare
O Dio, O Dio, che nella follia della croce manifesti quanto è distante la tua sapienza dalla logica del mondo, donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra. Amen.

Leggere
13 «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Gv 1,9; 3,21; 8,12; 9,1-7.10-13.16.34-39; Gb 6,6; Bar 6,27; Lv 2,13; Mc 4,21-22; 9,50; Sal 119,105; 1Gv 2,8-11; Fil 2,14-16; Ap 21,24; Lc 8,16; Ef 5,8-9.13; 1Cor 10,31; 1Pt 2,12

Capire
Dopo proclamate le beatitudini, nel suo «discorso della montagna» il Signore prosegue nel definire direttamente quelli che vogliono essere suoi fedeli, con due appellativi, di cui almeno il primo è abbastanza problematico: «sale della terra» e «luce del mondo».
La difficoltà del simbolismo del sale è un primo ostacolo alla giusta comprensione del detto di Gesù; le esperienze di ognuno possono far variare l'opinione che si ha di questo minerale. Prima dell'avvento del frigorifero il sale era considerato un ottimo conservante; è usato per dare sapore ai cibi; gli antichi contadini e nomadi palestinesi nelle vicinanze del mar Morto lo usavano per riscaldarsi a causa della sua combinazione col bitume; per noi moderni (ma già per gli antichi, Esdra (4,14) chiama i funzionari persiani «coloro che mangiano il sale della reggia») indica lo strumento economico della sopravvivenza, «il salario»; molto noto il riferimento del «sale della sapienza», un rito che si era introdotto nel battesimo proveniente dalla superstizione della cultura dei barbari del primo medioevo, ma del tutto sconosciuto al complesso delle Chiese antiche.
Il testo del vangelo mette in evidenza che la continuità e la visibilità di chi opera per il regno di Dio sono ben sottolineate dalle immagini del sale e della lucerna, che non possono mai venir meno alla loro funzione (dare sapore e fare luce). Gesù dunque affida un compito ai discepoli: la terra ha bisogno di sapore e io oggi vi costituisco come sale della terra!

Meditare
v. 13: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Viene usata la forma grammaticale alla seconda persona plurale, quasi a riprendere il discorso di 5,11-12. Gesù definisce i suoi discepoli come il sale per la terra, sale destinato perciò ad esercitare una funzione sulla terra, sugli uomini. Nello stesso tempo da’ un monito a tenere sapore, a non essere scadenti o già scaduti si rischia di essere insignificanti per tutti. L’evangelista Marco ci aiuta a comprendere la funzione che sta qui: “Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri” (9,49-50). Abbiamo in queste parole un contenuto sacrificale che rimanda a Lv 2,13.
La triplice insistenza sul sale, e la precisazione di «salare con sale» mostra che il sacrificio d'offerta, «memoriale sull'altare, sacrificio di aroma soave al Signore» (Lv 2,2b), il santo dei santi tra i sacrifici del Signore (Lv 2,3b), deve essere preparato compiutamente, ben condito e ben cotto, per essere vero sacrificio a cui si partecipa prima spiritualmente, e poi nel convito come segno di comunione.
Ogni discepolo deve prepararsi ad essere, con il Signore, questo sacrificio di aroma soave per il Dio dell'alleanza, redenzione della terra e comunione tra gli uomini. Se il sale non esplica tale funzione sacrificale, non avrà nessuna rivalutazione «da fuori ». Occorre avere questo sale sacrificale dentro il cuore, ed allora il sacrificio spirituale sarà pace sulla terra.
C’è quindi una dimensione di responsabilità e consapevolezza vocazionale nella vita del credente. Egli deve misurare la sua vita, il senso delle cose che fa, non solo in riferimento a sé, ma in riferimento al mondo intero con gli occhi di Dio.
vv. 14-15: Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Oltre l’immagine del sale Gesù si serve anche dell’immagine della luce, un’altra realtà con un servizio ben specifico. Lo sfondo è Is 2,2-5. L'immagine della luce fa parte dell'invito rivolto a Israele: «Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore» (2,5). In Is 42,6; 49,6 Israele è chiamato ad essere una «luce per le nazioni». Paolo riprende questo tema della vocazione di Israele in Rm 2,19 («luce di coloro che sono nelle tenebre»).
Ancora un messaggio per i discepoli: “Voi siete la luce del mondo”. Come? Siamo luce del mondo non perché produciamo una qualche luce ma perché siamo illuminati da Gesù. Quindi ogni discepolo è luce con tutta la sua povertà e debolezza. Egli è colui che deve essere in grado di trasmettere una luce autentica che permetta al mondo di orientarsi e dirigersi. Se la nostra vita è stata illuminata ciò non è solo in vista di noi e del nostro cammino, ma in vista del cammino di tutti: illuminati dalla luce che è Gesù dobbiamo a nostra volta diventare luce per gli altri.
Il senso della missione è questo: non si tratta di un “lavaggio del cervello”, non è lo stile di Gesù; si tratta di lasciare vedere agli altri quella luce che noi stessi abbiamo intravisto perché anche gli altri ne possano godere come noi. L’incontro tra Saulo e Anania ci è di esempio (cfr. At 9,1-19). Tutto questo si fa con le parole, ma accompagnandole con un’esistenza che tragga il suo orientamento dalla luce di Gesù.
Il Salmista ci ricorda che la Parola del Signore è lampada sul nostro cammino (Sal 119,105). Se la nostra vita si lascia illuminare effettivamente dal Vangelo e custodisce la fedeltà al Vangelo anche in mezzo ai condizionamenti del mondo, essa diventa immediatamente testimonianza alla luce.
Per far capire queste parole, Gesù usa il paragone del moggio (recipiente per misurare il grano, usato anche come mensola). La luce è posta in alto affinché risplenda in tutta la casa (cfr. Mc 4,21; Lc 8,16; 11,33).
Questa espressione è facilmente comprensibile se facciamo riferimento alle usanze del tempo di Gesù: la fiamma allora si otteneva dai grassi, e spegnere con un soffio una di quelle lampade voleva dire riempire la stanza d'un puzzo insopportabile.
Per questo si usava mettere un moggio o un altro recipiente che fosse a portata di mano sulla fiamma, ottenendo che si spegnesse per mancanza di ossigeno senza mandare cattivo odore.
Cristo dice semplicemente che la luce non dev'essere spenta, ma deve illuminare sempre. Deve essere come il faro posto nelle vicinanze del porto che illumina la rotta.
v. 16: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. Il versetto finale di questa pericope racchiude le motivazioni che il Signore dà di questa funzione: tale luce deve sfolgorare davanti agli uomini come esempio efficace (cfr. Rm 14,18; Fil 2,15; Fm 6; Ef 5,8-9; 1 Pt 2.12).
I discepoli non vivono per sé, autosufficienti, in un angolo del mondo, bensì in pubblico, visibili e accessibili agli uomini.
Il testo presuppone una trasformazione della vita cristiana che possa essere in grado di convincere la gente. I discepoli come figli portano così altri figli al Padre, ma seguendo sempre il Figlio Unico. Un vangelo vissuto si esplica nella collettività. Tutto ciò che riguarda la terra, riguarda innanzitutto la coerenza con cui i cristiani vivono la loro presenza nel mondo; ogni terra deve poter contare sul sapore dei discepoli, sul sapore della Chiesa. I discepoli, la Chiesa sono visibili, non nascosti.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Come la Parola vuole che siano I cristiani, quali discepoli del Cristo: modellati solo su ciò che vedono in lui o che da lui odono. Come luce del mondo, in modo da non ammettere il male e da illuminare coloro che ad essi si accostano affinché conoscano la verità, e divengano ciò che devono essere o mostrino ciò che sono. Come sale in terra, cosicché quanti hanno comunione con loro siano rinnovati nello spirito per diventare incorruttibili (Basilio il Grande, Morali 80,1.9s).

Risplenda di opere buone la nostra lampada e illumini il cammino che dalla notte di questo mondo porta alla luce dello splendore eterno (Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica).

Risplendano le vostre opere davanti agli uomini, perché vedano le buone azioni vostre e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,16). Non dunque “perché siate visti da loro”, con l’intenzione di convertirli a voi, perché se siete qualcosa non lo siete da voi; ma “perché glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”, convertendosi al quale diventino quello che voi siete (Agostino, La città di Dio, 5,13-16).

Quanto dispiacere provo giustamente quando ricordo che nei giorni festivi le assemblee erano simili alle vaste estensioni del mare e che invece ora non si vede qui riunita neppure una minima parte di quella moltitudine! Dove sono in questo momento coloro che nelle solennità sono causa per noi di tanta tristezza? Ne sento la mancanza e mi affliggo per causa loro al pensiero che moltissimi di quelli che erano sulla via della salvezza vanno in perdizione. Quale grande perdita di fratelli dobbiamo subire,quanto esiguo diventa il numero di coloro che conseguono la salvezza;così che la parte più considerevole della Chiesa assume l'aspetto di un corpo morto e inerte.
E che cosa c'entriamo noi? dirà qualcuno. Vi riguarda invece moltissimo, perché non ve ne curate, non li esortate, non li aiutate con il vostro consiglio, non riuscite ad attirarli e quasi a costringerli a venire, e non li richiamate che con grande negligenza. Cristo infatti,quando ci chiamò sale e lievito e luce, volle dimostrare che non dobbiamo essere utili solo a noi stessi, ma a molti altri. Quegli elementi in realtà servono e recano vantaggio agli altri: la lampada non risplende per se stessa, ma per coloro che sono nelle tenebre;e tu sei lampada non per godere da solo della luce, ma per ricondurre chi è smarrito. A che giova la lampada quando non fa luce a chi è nelle tenebre? E a che serve esser cristiano se non si converte nessuno alla virtù?
Allo stesso modo, il sale non purifica soltanto se stesso, ma arresta la corruzione dei corpi e non permette che si dissolvano e periscano. Così anche tu: dal momento che Dio ti ha reso sale spirituale, raccogli e riunisci le membra corrotte, cioè i fratelli negligenti, come pure coloro che si affaticano continuamente in lavori meccanici, di modo che, liberati dall'accidia dello spirito come da una piaga cancrenosa, possano entrare a far parte del corpo della Chiesa. Per questo ti ha definito lievito: esso, benché piccolo, non fermenta se stesso ma tutta la massa, per quanto ingente e immensa.
Così anche voi, benché pochi di numero, siate molti e potenti per la fede e l'amore verso il culto di Dio.
Come infatti il lievito non è inerte a causa della sua piccolezza, ma per il calore insito nella sua natura e in forza delle sue proprietà ha il sopravvento sulla massa, così anche voi, se volete, potete ricondurre un numero ben più grande allo stesso fervore e allo stesso amore (Giovanni Crisostomo, vescovo, «Omelie su alcuni passi del Nuovo Testamento»).

"Voi siete il sale della terra" (Mt 5,13). Con tali parole egli mostra che era necessario dar loro quei grandi precetti. Dice, in sostanza, che non soltanto per la loro vita personale, ma anche per la salvezza di tutti gli uomini quell`insegnamento verrà affidato a loro. Io non vi mando - sembra dire - come un tempo furono mandati i profeti a due città, o a dieci, o a venti, o a un popolo in particolare, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo che vive nella corruzione. Dicendo: «Voi siete il sale della terra», fa capire che la sostanza degli uomini è stata resa insipida e corrotta dai peccati. Per questo egli esige soprattutto dai suoi apostoli quelle virtù che sono necessarie e utili per convertire molti.
Quando un uomo è mansueto, umile, misericordioso e giusto, non tiene chiuse in sé simili virtù, ma fa sì che queste eccellenti sorgenti, scaturite dalla sua anima, si diffondano a vantaggio degli altri uomini.
Inoltre chi ha il cuore puro, chi è pacifico, chi subisce persecuzioni a causa della verità, pone la sua vita per il bene di tutti. Non crediate, dunque - è come se dicesse Gesù -, che io vi trascini a battaglie occasionali e che sia per ragioni di poco conto che io vi «il sale della terra» . Ma perché allora? Essi hanno forse guarito ciò che era corrotto e putrefatto? No, non è questo che hanno fatto gli apostoli. Il sale non può rimediare alla putrefazione. Gli apostoli, ripeto, non hanno fatto questo. Ma quando la grazia di Dio avrà essi si dimostreranno veramente il «sale della terra», mantenendo e conservando gli uomini in questa nuova vita che hanno ricevuta da Dio. E` opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma tocca agli apostoli, con la loro sollecitudine e con i loro sforzi, impedire ad essi di ricadere in quello stato di corruzione. Osservate come, a poco a poco, Gesù manifesta che gli apostoli sono al di sopra dei profeti. Egli non li chiama soltanto dottori della Palestina, ma maestri di «tutta la terra» e maestri severi e terribili. E ciò che è degno di ammirazione è il fatto che essi, senza adulare e senza compiacere gli uomini, ma, al contrario, comportandosi come fa il sale, si sono fatti amare da tutti. Non stupitevi, quindi, - sembra continuare Gesù, - se, tralasciando gli altri, mi rivolgo in particolare a voi e vi trascino in così grandi rischi. Considerate quante e quali sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò, non voglio che vi limitiate ad essere prudenti e sapienti, ma voglio che facciate anche gli altri simili a voi. Quanto devono essere saggi coloro dai quali dipende la salvezza degli altri! Occorre loro una virtù sovrabbondante, in modo da parteciparne i vantaggi anche agli altri uomini. Ebbene se voi non avrete abbastanza virtù per comunicarla anche agli altri, - sembra concludere Gesù, - non ne avrete neppure abbastanza per voi stessi. Non lamentatevi, quindi, quasi fosse troppo duro e difficile quanto vi chiedo. Agli altri, infatti, che si trovano nell`errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro. Ma se voi perderete il vostro vigore, perderete voi stessi e gli altri con voi. Quanto più sono importanti i compiti che vi vengono affidati, tanto più dovete dedicarvi agli altri con zelo. Per questo Gesù dice le parole seguenti: "Ma se il sale diviene insipido, con che gli si renderà il sapore? A null`altro più è buono che ad essere buttato via perchè sia calpestato dagli uomini" (Mt 5,13).
Quando gli altri uomini ricadranno in mille colpe, essi potranno ottenerne il perdono. Ma se il maestro stesso diventa colpevole, niente potrà scusarlo e la sua colpa sarà punita con estrema giustizia. Nel timore che gli apostoli, sentendo dire che il mondo li avrebbe coperti di ingiurie che li avrebbe perseguitati e che avrebbe detto di loro tutto il male possibile avessero avuto paura di farsi avanti e di mettersi in mezzo a parlare alla gente, Gesù dichiarò apertamente che, se essi non erano pronti ad affrontare questo, invano li aveva scelti. Voi non dovete temere - sembra dire - di essere calunniati; dovete piuttosto temere di apparire adulatori, perché allora diverreste un sale insipido, «a null`altro buono che ad essere buttato via, perché sia calpestato dagli uomini». Ma, se voi conservate tutta la vostra sapidità di fronte alla corruzione, e se allora la gente dirà male di voi, rallegratevi perchè questo è l`effetto che fa il sale, che morde e punge le piaghe. Le maledizioni degli uomini vi seguiranno inevitabilmente; ma, lungi dal procurarvi del male, esse testimonieranno la vostra fermezza. Se, invece, il timore delle calunnie vi farà perdere il vigore che vi è indispensabile, allora patirete conseguenze ben peggiori e sarete coperti dalle ingiurie e dal disprezzo di tutti: questo significano le parole «calpestato dagli uomini».
Subito dopo il Salvatore passa a un paragone ancor più elevato: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14), - egli dice. Non li chiama soltanto luce di una gente o di venti città, ma «luce del mondo», di tutta la terra, e luce intellegibile, più splendente dei raggi del sole, come anche il sale, di cui ha appena parlato, è un sale del tutto spirituale. Parla dapprima del sale, e dopo della luce, per mostrare quale vantaggio proviene da parole aspre come il sale e quale utile effetto deriva da una dottrina severa, che consolida le anime e non permette che si rilassino e si corrompano, ma le eleva e le conduce come per mano sulla strada della virtù. "Non può una città che sia posta sopra un monte restar nascosta; né si accende una lucerna per porla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere e così essa fa lume a quanti sono in casa" (Mt 5,14-15).
Gesù Cristo stimola ancora una volta con queste parole i suoi apostoli a vigilare sulla loro condotta, avvertendoli di stare sempre sul chi vive, poiché sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e combattono in un`arena elevata nel mezzo della terra. Non fermatevi - egli dice - a considerare dove noi ora ci troviamo seduti e che noi, qui, siamo in un piccolo angolo del mondo. Voi sarete al cospetto di tutti gli uomini, così come lo è una città posta in cima a una montagna o una lampada che splenda su un candelabro in una casa... "Risplenda allo stesso modo la vostra luce agli occhi degli uomini, affinché vedendo le vostre buone opere diano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,16). Io, infatti, - sembra dire Gesù, - ho acceso la luce perché essa continui ad ardere; voi dovete essere vigilanti e pieni di zelo non solo per voi, ma anche per quelli che hanno ottenuto questa stessa legge e sono stati condotti alla verità. Le calunnie non potranno oscurare il vostro splendore, se voi vivrete con perfezione e in modo da convertire tutti gli uomini. La vostra vita sia degna della grazia e della verità che avete ricevuto: e, come questa va predicata ovunque, così anche la vostra vita vada di pari passo con essa. Ma, oltre la salvezza degli uomini, Gesù mette in risalto un altro effetto, valido a mantenerli vigilanti nel combattimento e a stimolarne tutto lo zelo. Non solo, infatti, convertirete tutto il mondo -egli aggiunge - vivendo in questo modo nuovo, ma procurerete la gloria di Dio. Se invece voi agirete diversamente, sarete colpevoli della perdizione degli uomini e del fatto che il nome di Dio sarà disonorato dai bestemmiatori. (Giovanni Crisostomo, In Matth. 15, 6 s.)

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Ancora oggi si rinnovano le parole di Gesù: "voi siete il sale della terra, la luce..", quale riflesso di Dio la mia vita fa vedere?
Quale senso delle cose, di Dio Amore faccio assaporare a quanti incontro?
Sono davvero capace di opere di bene?

Pregare
Mettiamoci dinanzi alla Parola lasciandoci illuminare da Essa. Facciamo in modo che la sua Luce entri nel nostro cuore per riscoprire il nostro cammino guidati da Cristo Luce di verità (Dal Salmo 111):

Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.

Contemplare-agire
San Giacomo paragona la Parola di Dio come un guardarsi nello specchio per poi metterla in pratica. Edith Stein invita: "Tu devi essere come un vetro, attraverso il quale la luce dell'amore di Dio discende sul mondo. Il vetro non può essere opaco o sporco, altrimenti ostacoli la luce".

giovedì 27 gennaio 2011

Lectio divina su Mt 5,1-12

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / A

Lectio divina su Mt 5,1-12

Beati i poveri in spirito


Invocare
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non i lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo, segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito. Amen.

Leggere
1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Es 22,25-27; 23,11; Lv 19,9-10; Dt 15,7-11; Is 30,18; 61,1-3; 67,10.12-13; Sal 85,15; 102,8; Gio 4,2; Gl 2,13; 1 Gv 4,8.16; 13,17 Lc 1,48; 6,36-37; 11,28 Sof 3,12 Gc 2,5 Mt 5,20; 11,29; Ef 2,14-17; 1Pt 3,13-15; 4,14.

Capire
Questa Domenica siamo chiamati a riflettere sulle beatitudini, quasi a dire che la prima bella notizia che il Signore Gesù ci dona è la felicità.
Il vangelo delle Beatitudini costituisce la prima parte del “discorso della montagna”. Il monte è il luogo della rivelazione, sia per la trasfigurazione gloriosa di Gesù, sia per la sua parola; il monte ha inoltre un significato più specifico: esso vuol ricordarci il Sinai, il monte della promulgazione della legge e della conclusione dell’alleanza. Matteo propone Gesù come il nuovo Mosè e la sua parola è parola di vita, è legge nuova (“ma io vi dico..”) che non abolisce l’antica ma la porta a compimento. Tutto il grande Discorso della Montagna traccia la via del discepolo sulle orme del Regno. Le Beatitudini ne costituiscono il punto di partenza sorprendente, "scandaloso", ma anche consolante. Mentre noi ci chiediamo cosa dobbiamo fare, Gesù ci mostra in primo luogo ciò che fa Dio, ci invita ad aprire gli occhi, per contemplare il Regno dei cieli in arrivo e lasciarci sorprendere dalla sua venuta.
Possiamo leggere le beatitudini come impegni che ci sono chiesti, ma innanzitutto come elementi del ritratto spirituale di Gesù Cristo, di Gesù di Nazareth. È una lettura antica nella tradizione cristiana, perché risale perlomeno a Origene che dice: “Le beatitudini sono immagine di Gesù, altrettante icone della figura spirituale di Gesù”. Quindi, se uno vuole capire chi è Gesù può leggere tutto il Vangelo, può guardare il suo volto a partire da queste prospettive; quello che Gesù è stato, viene comunicato al credente perché a sua volta lo viva egli stesso. Dio ha preso l'iniziativa di instaurare il suo Regno: prima di agire, siamo chiamati ad accoglierlo.

Meditare
vv. 1-2: Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro. Abbiamo in questi versetti un popolo rappresentato dalla folla e dai discepoli che si fanno ascoltatori. Il luogo è un monte da cui scende la Parola divina. Da quel luogo Gesù si mostra a tutti con il suo parlare e insegnare.
L'accenno alle folle all'inizio (5,1) e al termine (7,28-29) del discorso fa da cornice all'insegnamento impartito da Gesù a Israele. Ciò vuole indicare una moltitudine potenziale dei discepoli, ai quali la chiesa è mandata in missione a portare l'insegnamento di Gesù (cfr Mt 28,19-29). Infatti, l’insegnamento del discorso non è inteso solo per il ristretto gruppo dei discepoli, che in ogni caso non sono necessariamente i «dodici apostoli». Il luogo infatti, ha una valenza più teologica che topografica come fa Luca. Il monte delle beatitudini è l'eco e la pienezza del monte Sinai; è il luogo della rivelazione divina [cfr. vocazione di Mose sull’Oreb (Es 3,1ss); consegna della Legge sul Sinai (Es 19,1ss); il sacrificio del Carmelo (1Re 18,20ss); Elia sull'Oreb (1Re 19,1ss); la trasfigurazione (Mt 17,1-8); l'apparizione del risorto ai discepoli (Mt 28,16).
Su questo monte Gesù si siede (è la posizione del maestro e la sua parola ha un timbro autorevole) e apre la sua bocca per insegnare. Il verbo «insegnare» (edidasken) in Matteo è usato esclusivamente in questo discorso, qui e in 7,29. Il discorso è sapienziale anche nella formula, che rinvia al Sal 77,2 (cfr At 8,35; 10,34); è un insegnamento, termine tecnico per indicare che Gesù è l'interprete autorizzato della Parola di Dio contenuta nelle sacre scritture dell'A.T.
v. 3: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Pensiamo a questa prima beatitudine come atteggiamento fondamentale per accogliere il Regno. C’è in questo versetto un esempio di come rapportarsi con Dio. Ce lo fa comprendere meglio la Bibbia interconfessionale: “Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio” , indicando così coloro che nella vita hanno imparato a contare solo su Dio.
“I poveri in spirito” sono le persone che davanti a Dio si collocano come dei mendicanti, dei bisognosi; che sanno di avere bisogno di Lui, di dipendere interamente da Lui. Possiamo definirlo l’atteggiamento della fede che non è un fare qualche cosa, ma è la disponibilità a ricevere qualche cosa; è un mettere come primato della propria vita l’iniziativa di Dio e non le nostre capacità; non è l’affermazione di noi stessi, nemmeno come affermazione spirituale, ma è invece la disponibilità a ricevere la grazia e il dono di Dio.
v. 4: Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Lo sfondo di questo versetto è Is 61,2-3, dove la missione del profeta è quella di confortare tutti coloro che piangono in Sion. A questi Gesù promette consolazione (cfr. Lc 2,25), anzi Egli stesso asciugherà le loro lacrime (cfr. Ap 7,17, che cita Is 25,8; Ap 21,4). I piangenti, sono anzitutto coloro che soffrono per gli ostacoli posti dal mondo all'adempimento della volontà divina di salvezza (cfr. Lc 4,16-22; Is 61,1-6); quindi un atteggiamento che l’uomo stesso sceglie davanti alla realtà della società e del mondo, dove Cristo, Dio, la giustizia di Dio e l’amore che viene da Cristo fanno la figura dei grandi assenti. Non è possibile per il discepolo gioire quando ci sono ingiustizie, oppressioni, falsità e ipocrisie e quando sembra che Dio sia escluso dalla convivenza umana e dai valori che la costruiscono.
v. 5: Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Vengono riprese qui le parole del Salmista: «I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande prosperità [pace]» (Sal 37,11). Il termine ebraico di “miti” è 'anawìm, un po’ riprende il v. 3. Questi non sono i timorosi, ma gli stessi poveri di spirito che accettano senza amarezza o rancore la loro condizione e trovano la forza nella serenità ed in una coraggiosa sopportazione (cfr. Sal 37,7-9.11.29.40).
Nel linguaggio e nel contesto evangelico, la terra significa la terra promessa. Però la parola "terra" significa ormai il regno dei cieli, ovvero il nuovo modo di vivere, secondo lo spirito di Dio, che Gesù annuncia e inaugura.
“La terra, che è sempre di Dio deve essere vissuta come un dono condiviso e ammini-strato nella giustizia e nella fraternità, dono di Dio ai popoli, da abitare senza violenza, in mitezza, in pace e ospitalità reciproca. Questo è l'unico modo per possederla con sicurezza e frutto, nella pace. Il violento non possiede davvero la terra, perché la sua minaccia ritorna su di lui e gli nega la sicurezza.
I miti non solo possono "ereditare" la terra, starvi sicuri senza far violenza, ma sono i soli in grado di trasmettere a loro volta in eredità la terra ricevuta.
v. 6: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. La fame e la sete, nella Bibbia (Is 55,1-2; Sal 42,2-3), indicano la tendenza a Dio e la nostalgia di lui. I due verbi in senso metaforico possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: «l'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente...» (Sal 42,3); «O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua» (Sal 63,2); «Ecco verranno giorni -dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore» (Am 8,11 ).
Il Salmista descrive (Sal 107,5.8-9) come Dio abbia soddisfatto la fame e la sete degli Israeliti. Matteo ha ampliato la fonte Q (Lc 6,21) aggiungendo la «sete» (in conformità al Salmo 107) e «della giustizia» (per chiarire la natura della fame e della sete). La giustizia si riferisce in primo luogo alla giustizia di Dio, ma anche ai rapporti umani e alla condotta. In un contesto apocalittico la giustizia si riferisce alla rivendicazione dei giusti nel giudizio finale. Nel Discorso della Montagna fare la giustizia - fare la volontà del Padre (Mt 7,21) - fare queste mie parole (Mt 7,24), designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel Regno dei cieli. Tale agire deve seguire le norme giuste (fare la giustizia), che sono determinate da Dio (fare la volontà del Padre) e che vengono autorevolmente comunicate da Gesù (fare queste mie parole). L'ultimo passo del Discorso della Montagna in cui si parla di «giustizia» è Mt 6,33: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»: si oppone alla ricerca ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito, la preoccupazione necessaria ed essenziale: il Regno di Dio! Il Regno di Dio dev’essere il bene più alto, mentre il giusto agire (la giustizia) costituisce la condizione indispensabile per l'ingresso in quel Regno.
v. 7: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Per la Bibbia “misericordioso” è un appellativo tipicamente divino, la “misericordia” è una caratteristica propria di Dio. I misericordiosi in greco fa hoi eleèmones cioè coloro che imitando Dio sanno comprendere e perdonare il prossimo secondo l'impegno evangelico che ripetiamo con la preghiera del Padre nostro (cfr. Mt 6,11-12.14-15). Lo sfondo è Prov 14,21; 17,5 (LXX), dove la «benedizione» è il premio per la gentilezza mostrata ai poveri.
Questa “misericordia” attribuita a Dio comprende il perdono delle mancanze, il perdono dei peccati, che a sua volta desidera – Dio - di vedere la misericordia praticata dagli uomini.
v. 8: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Nella Bibbia il cuore non è solo il “luogo” dei sentimenti, ma indica le decisioni, la vita. Lì ognuno ritrova se stesso e la propria identità, lì ogni persona decide di sé, nel suo rapporto con gli altri, col mondo e con Dio. Il cuore buono rende buono tutto l'uomo, il cuore cattivo lo rende cattivo.
L'espressione «cuore puro» non è né un riferimento alla purità sessuale-rituale né alla sincerità, ma caratterizza le persone oneste la cui integrità morale si estende al loro essere interiore e le cui azioni sono coerenti con le intenzioni.
La purezza di cuore è la purezza interiore con cui la persona prende delle decisioni che sono corrette e non falsate dal suo interesse o dal suo capriccio o dalla sua superficialità.
Ciò che corrompe e rende impuri, non sono le cose materiali, ma il peccato; non è ciò che viene a contatto con l'uomo dal di fuori, ma ciò che dall'interno determina i comportamenti personali di ciascuno. «Tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo», perché gli entra nello stomaco, non nell'anima. «Ciò che esce dall'uomo, questo contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo» (Mc 7,18.20-22).
Dalla dimensione interiore e spirituale dell'uomo, dalla sua anima e dal suo cuore derivano i desideri e le azioni buone o cattive. Se sono cattive corrompono tutto l'uomo: infatti è cattivo all'interno, dove ha pensato e desiderato il male; ed è cattivo all'esterno, dove si comporta male e fa male agli altri. Così il cuore, centro della persona, qualifica in senso positivo o negativo tutta la persona.
v. 9: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna ”essere” (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve “fare”. Il termine in greco significa coloro che lavorano per la pace, che “fanno pace”. Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi. “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (Dupont)
“I portatori di pace” non sono dunque gli amanti del quieto vivere ma gli attivi operatori di pace, che agiscono come Dio stesso, perché Dio è il Dio della pace (Rm 16,20). Il vero «operatore di pace» è Dio stesso. Per questo quelli che si adoperano per la pace sono chiamati «figli di Dio»: perché somigliano a Lui, Lo imitano e fanno quello che fa Lui. Vuol dire che la pace è prima di tutto un dono da accogliere! Di conseguenza la pace è un compito! Non si tratta, tuttavia, di inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di Dio «che sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7), lasciando che custodisca i cuori e i pensieri in Gesù Cristo.
v. 10: Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. “Beati i perseguitati”, cioè coloro che ricevono sofferenze dall’esterno, dagli altri e che contempla la stessa prospettiva del regno.
La beatitudine, si riferisce ai perseguitati per Gesù, per il nome di Gesù, per la causa del Vangelo. Pensiamo alle prime persecuzioni che si sono scatenate nei riguardi degli apostoli. Queste sono persecuzioni per causa del Vangelo. L’evangelista, infatti, riprendendo la quarta beatitudine, dà la motivazione di questa persecuzione «per la giustizia» che il versetto seguente completerà meglio: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
In questa persecuzione possiamo trovarci anche noi tutte quelle volte che dobbiamo sostenere la dignità di essere cristiani nell’ambiente del lavoro, tutte quelle volte che dovremmo sopportare persecuzioni meno gravi, perché annunciamo il nome di Gesù.
In Mt 10,22 leggiamo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”; e in Mt 10,39: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.
vv. 11-12: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. È la nona beatitudine già anticipata nell’ottava e si distacca dalle precedenti per la sua lunghezza e per l’uso della seconda persona plurale («voi»): anch’essa è giunta a Matteo dalla tradizione (cfr. Lc 6,22-23), ma risale non a Gesù, bensì alla comunità, la quale l’ha coniata a partire dalla beatitudine da lui riservata agli afflitti.
La beatitudine è rivolta a coloro che esattamente saranno insultati come Gesù sulla Croce. È rivolta direttamente ai cristiani che soffrono persecuzione a causa della loro fede in Gesù: ad essi è riservata nei cieli una grande ricompensa, che si identifica con la piena comunione con Dio (cfr. 1Pt 4,13-16) e la partecipazione alla Resurrezione di Cristo Gesù, il Figlio di Dio.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Chi può rallegrarsi di gioia adeguata di fronte alla visione della tua onnipotente sovranità? Perciò veramente beati i puri di cuore, perché essi ti vedono con l’occhio dell’anima tu, che in tutto e per tutto sei eminentemente gioia spirituale! - e si rallegrano esultanti, colmi di insostenibili impeti di appassionato amore, spesso anche mentre sono in lotta contro difficoltà corporali e subiscono assalti demoniaci (Callisto Catafyghiota, L’unione divina).

Tutte le beatitudini di cui Gesù ha parlato nel vangelo, sono confermate dal suo esempio, ed egli giustifica il suo insegnamento, attraverso la propria testimonianza. In se stesso, dunque, il Signore manifesta tutte le beatitudini (Origene, Trattato sul Vangelo di Luca).

"Tutti vogliono essere beati. Chi - però - è povero di spirito?" Nella festa di questa vergine
santa, che dette testimonianza a Cristo e la meritò da lui, uccisa pubblicamente e coronata in segreto, ammaestriamo la Carità vostra con quella esortazione che il Signore pronunciava nel suo Vangelo, annunziando molte cause della vita beata, che nessuno dice di non volere. In verità, non esiste chi non voglia essere beato. Ma che gli uomini non ricusino di sottostare alle condizioni richieste, così come desiderano ricevere la pattuita mercede! Chi non correrebbe celermente, quando gli si dice: Sarai beato? Ascolta volentieri, e quando vien detto: Se avrai fatto questo, non si ricusi l`impegno, se si aspira al premio; e si accenda l`animo all`alacrità dell`opera con l`aiuto della ricompensa. Ciò che vogliamo ciò che desideriamo, ciò che chiediamo, sarà dopo: ciò che, al contrario, ci viene ordinato di fare, in vista di ciò che verrà dopo, sia ora. Ecco, comincia a rimeditare i detti divini, ivi compresi i precetti e i pesi evangelici: "Beati i poveri di spirito poiché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3). Dopo, sarà tuo il regno dei cieli; ora, sii povero di spirito . Vuoi
che dopo sia tuo il regno dei cieli? Guarda di chi sei tu ora. Sii povero di spirito. Chiedi forse di sapere che significa essere povero di spirito? Chi è superbo non è povero di spirito: quindi l`umile è povero di spirito. Alto è il regno dei cieli: "ma, chi si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11).
"Chi è il mite?" Stà attento a qual che segue: "Beati", egli aggiunge, "i miti, perché possederanno la terra" (Mt 5,5). Ora tu vuoi possedere la terra: bada, però, di non essere posseduto dalla terra. Possederà il mite, sarà posseduto il non-mite. E, quando ascolti del premio promesso e cioè che possederai la terra, non dilatare il grembo dell`avarizia, con la quale vuoi possedere ora la terra, con esclusione persino del tuo vicino: non ti inganni una tale opinione. Possederai la terra solo quando aderirai a colui che ha fatto il cielo e la terra. Questo infatti significa essere mite: non resistere al tuo Dio, affinché in ciò che fai di bene, ti piaccia egli e non te stesso; mentre in ciò che giustamente soffri di male, non sia egli a dispiacerti, bensí te stesso. Infatti, non è piccola cosa se cercherai di piacere a lui dispiacendoti; dispiaceresti a lui, per contro, piacendo a te stesso.
"Coloro che piangono". Fa` attenzione al terzo: "Beati coloro che piangono, perché saranno consolati" (Mt 5,4). Nel lutto è l`impegno, nella consolazione la ricompensa. Infatti, coloro che piangono carnalmente, quali consolazioni hanno? Temibili molestie. Sarà consolato chi piange, se teme di non piangere ancora. Ad esempio, il figlio morto contrista mentre dà gioia il nato: quello è tolto via, questo è accolto, in quello è tristezza in questo timore: in nessuno quindi è consolazione.
Dunque, vera consolazione sarà quella che vien data e non può essere tolta; cosicché quelli che amano essere consolati dopo, ora piangono da pellegrini.
"Gli affamati". Ed ecco il quarto, opera e servizio: "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati" (Mt 5,6). Tu vuoi essere saziato. Donde? Se brami la sazietà di carne - una digerita sazietà -, tornerai ad aver fame. "E chi beve di quest`acqua, tornerà ad avere sete" (Gv 4,13), egli dice. La medicina che si applica ad una ferita, non fa piú male, se è riuscita a risanarla; per contro, ciò che si applica alla fame, quasi esca, si risolve a poco. Infatti, passata la sazietà, ritorna la fame. Arriva perciò quotidianamente il rimedio di sazietà, ma non è risanata la ferita dell`infermità. Abbiamo fame quindi, e saziamoci di giustizia, affinché dalla medesima giustizia possiamo essere saziati, della quale ora abbiamo fame e sete. Saremo in effetti saziati di quello di cui abbiamo fame e sete. Il nostro uomo interiore abbia fame e sete: egli ha in effetti il suo cibo e la sua bevanda. "Io sono", spiega egli, "il pane che è disceso dal cielo" (Gv 6,41). Ora che hai il pane dell`affamato, desidera anche la bevanda dell`assetato: "Poiché presso di te è la fonte della vita" (Sal 35,10).
"I misericordiosi". Ora, attento al seguito che dice: "Beati i misericordiosi, poiché di loro Dio avrà misericordia" (Mt 5,7). Fa` e sarà fatto: fa` con l`altro, perché sia fatto a te. Infatti, tu abbondi e difetti: abbondi di cose temporali, difetti delle eterne. Ascolti il mendicante e sei tu stesso mendico di Dio. Ti si chiede, e chiedi a tua volta. E come avrai agito con il tuo richiedente, cosí Dio agirà con il suo. Sei pieno e vuoto ad un tempo: riempi il vuoto della tua pienezza, affinché la tua vuotaggine sia riempita della pienezza di Dio.
"I puri di cuore". Ascolta quel che segue: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Questo è il fine del nostro amore, il fine per cui ci perfezioniamo, per cui ci consumiamo. Si finisce il cibo, si finisce il vestito: il cibo, perché si consuma mangiando; il vestito, perché si finisce [si porta a termine] tessendo. E di questo e di quello si dice del pari che finisce: ma questa fine tende alla consumazione, quella alla perfezione. Qualunque cosa facciamo, o facciamo bene, sosteniamo, lodevolmente ci scaldiamo, incolpevolmente desideriamo, quando sarà pervenuto alla visione di Dio, non lo ricercheremo piú. Cosa cerca in effetti colui al quale si fa presente Dio? O cosa potrà bastare a colui al quale non basta Dio? Noi vogliamo vedere Dio, chiediamo di vedere Dio, ardiamo dal desiderio di vedere Dio. Chi mai non è d`accordo? Ma, osserva quel che è detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Questo prepara, affinché tu veda. In effetti, per parlare secondo la carne, a che pro desideri il sorgere del sole con occhi cisposi? Siano sani gli occhi, e quella luce sarà una gioia: non sono sani gli occhi, quella luce risulterà un tormento. Non ti sarà permesso infatti di vedere con cuore non-puro, poiché non si vede che con cuore puro. Sarai respinto, sarai allontanato, non vedrai. "Beati", infatti, "i puri di cuore, perché vedranno Dio".
Quanti beati ho già enumerato? Quali cause di beatitudine, quali opere, quali doveri, quali meriti, quali premi? Non è detto in alcun luogo. "Essi vedranno Dio. Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i miti: possederanno la terra. Beati quelli che piangono: saranno consolati. Beati coloro che hanno fame e sete dclla giustizia: saranno saziati. Beati i misericordiosi: troveranno misericordia". Da nessuna parte è detto: Essi vedranno Dio. Arrivati però ai puri di cuore, ecco che qui si promette la visione di Dio.
"In che senso la visione di Dio è promessa specificamente ai puri di cuore". Quindi, non che tu debba intendere quei precetti e quei premi nel senso che ascoltando: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio", tu ritenga che i poveri di spirito non vedranno, o non vedranno i miti, o coloro che piangono, o quelli che hanno fame e sete della giustizia, oppure i misericordiosi. Non argomenterai che, visto che questi vedranno in quanto puri di cuore, quelli siano separati dalla visione. Tutte queste cose sono infatti comuni a tutti loro. Essi vedranno, però non vedranno specificamente per questo e cioè perché poveri di spirito, perché miti, o perché piangono, hanno fame e sete della giustizia, o perché sono misericordiosi: ma anche perché sono puri di cuore. Di modo che, se determinate opere corporali si addicono a determinate membra del corpo, sì che si può dire, ad esempio: Beati coloro che hanno i piedi, perché cammineranno; beati coloro che hanno le mani, perché opereranno, beati coloro che hanno la voce, perché grideranno; beati coloro che hanno bocca e lingua, perché parleranno; beati coloro che hanno gli occhi, perché cosí potranno vedere? In tal modo, quasi componendo delle membra spirituali, egli [Gesú] insegnò ciò che è pertinente ad uno in rapporto con l`altro. Adatta è l`umiltà per avere il regno dei cieli; atta la mansuetudine per possedere la terra; adatte fame e sete di giustizia per essere saziati; atta la misericordia per implorare misericordia; adatto un cuore puro per vedere Dio. (Agostino, Sermo 53, 1-6.9)

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
A quale di queste nove beatitudini somiglio di più?
Qual è che mi viene facile? E qual è quella invece che mi invita a crescere, che mi chiede di provarci, che mi sfida a cambiare?

Pregare
Signore Gesù Cristo, nostro impareggiabile Maestro, tu che ci hai insegnato le Beatitudini, fa’ che esse rimangano impresse nel nostro cuore.

Dacci un cuore di povero,
che non cerchi i beni terreni
e aspiri soltanto a possedere te.
Un cuore pieno di nostalgia per i beni celesti,
insoddisfatto delle gioie di questo mondo.
Un cuore mite e dolce, che rinunci alla violenza,
e sappia testimoniare a tutti un’umile accoglienza.
Un cuore affamato e assetato di giustizia e di santità,
che non abbia altro desiderio che di fare ciò che tu vuoi.
Dacci un cuore misericordioso,
pronto a sollevare gli altri e a soccorrerli nelle loro difficoltà.
Un cuore puro, distaccato dalle passioni e dai vizi,
sincero e limpido nell’amore che ti porta.
Un cuore innamorato della pace,
sollecito nel colmare le contese e nel diffondere la pace.
Un cuore coraggioso nella prova,
lieto di offrirti il suo dolore.
Un cuore fermo, pronto ad affrontare la persecuzione,
per rimanere unito a te, fedele fino alla morte.
Fa’ del nostro cuore il tuo regno,
regno di bontà, di santità, di vera felicità.

Contemplare-agire
Lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio e cerchiamo di scoprire nella nostra vita le beatitudini elencate da Matteo. Cerchiamo di scoprire se la nostra vita è un dono per amore secondo l’ideale delle Beatitudini.