giovedì 14 ottobre 2010

Lectio divina su Lc 18,1-8

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / C

Lectio divina su Lc 18,1-8

Il mio aiuto viene dal Signore



Invocare
O Dio, che per le mani alzate del tuo servo Mosè hai dato la vittoria al tuo popolo, guarda la tua Chiesa raccolta in preghiera: fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene e vinca il male che minaccia il mondo, nell’attesa dell’ora in cui farai giustizia ai tuoi eletti che gridano giorno e notte verso di te. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario". 4Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fasti­dio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi"». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Is 1,17; 10,1-2; Sir 35,17-19; Lev 16,19-20; 19,15; Gc 1,27; Sal 82,3s; Lc 11,9-10; Sap 12,9-10; 15,1; Rm 2,4; 12,12; 2Pt 3,8; Sal 90,4; 1 Ts 5,17; Ef 6,18; Sal 71,14; 37,7; 69,4; Lam 3,26.

Capire
Nel capitolo 18 del vangelo di Luca, l’autore conclude il lungo insegnamento sulla fede, che aveva iniziato nel capitolo precedente con la richiesta dei discepoli a Gesù “Accresci la nostra fede”. Ma la fede non dipende da Dio, darla, accrescerla o meno, la fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio dà a tutti.
Nel brano di questa domenica, si conclude questo lungo insegnamento sulla fede. Rischiando di essere fuorviati dal primo versetto che leggiamo, a comprendere che questo sia un insegnamento sulla preghiera. In realtà non è un insegnamento sulla preghiera, ma è l’assicurazione della giustizia in questa società. Il fine di questo brano è la giustizia e il mezzo è la preghiera.

Meditare
v. 1: Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Quest’introduzione ha lo scopo di collegare la parabola con la «piccola apocalisse» precedente, suggerendo un comportamento adatto al tempo dell’attesa.
La raccomandazione di "pregare senza stancarsi" appare molte volte nel Nuovo Testamento. Era una caratteristica della spiritualità delle prime comunità cristiane. Ed anche uno dei punti in cui Luca insiste maggiormente, sia nel Vangelo come negli Atti.
È importante capire le sfumature di questo versetto. Luca sottolinea le parole “sulla necessità”. In greco per indicare questa necessità, viene utilizzata la parola dein espressione che in Luca ricorre molte volte e indica abitualmente la passione come passaggio obbligato verso la resurrezione. E infine “senza stancarsi”, cioè quasi a riprendere le braccia alzate di Mosè in preghiera Luca riporta una espressione tipicamente paolina: mē enkakéin che significa “non lasciar cadere le braccia, non scoraggiarsi”. Il «pregare senza stancarsi» evoca allora ben più della stanchezza, rimanda all'abbandono delle armi da parte di un soldato durante il combattimento; dice: pregate senza deporre mai le armi, senza disertare. In realtà la parabola non punta sulla necessità della preghiera, ma sulla fiducia in Dio che, nonostante il ritardo, farà giustizia ai suoi fedeli.
vv. 2-3: In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario". Qui vengono delineate le caratteristiche dei due protagonisti della parabola: un giudice e una vedova.
Il giudice è descritto in modo breve e incisivo come la figura tipica dell’empio, che non teme Dio e non si cura del suo prossimo. Anche la vedova viene descritta in modo conciso. Il lettore sa che le vedove, insieme agli orfani, rappresentano una categoria indifesa e esposta all’oppressione, perché prive di protezione contro gli sfruttatori e i prepotenti (cfr. Es 22,21-23; Is 1,17.23; 9,16; Ger 7,6; 22,3). La protagonista del racconto appartiene a questa categoria, ma non è disposta ad accettare il sopruso di cui è vittima, perciò si rivolge al giudice per avere giustizia.
In questo atteggiamento insistente abbiamo un esercizio a vivere un’esistenza contrassegnata da quella che i Padri chiamavano «memoria di Dio», di ricordare cioè che Dio è costantemente all’opera nella nostra esistenza e nella storia: questo ci condurrà a familiarizzarci con lui fino a discernere come vivere in modo conforme alla sua volontà.
vv. 4-5: Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fasti­dio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi". Il giudice non vorrebbe interessarsi di un caso per lui totalmente insignificante e rimanda a tempo indeterminato il suo intervento. Ma la donna non si rassegna alla situazione e fa ricorso all’unica arma in suo possesso, l’insistenza.
Il giudice è una persona cinica alla quale interessa soltanto il proprio interesse e non i bisogni delle persone. Ma all’insistenza della donna cambia pensiero. L’evangelista usa il termine “importunarmi”. È curioso il termine che adopera l’evangelista, che letteralmente è “a farmi un occhio nero”. Fare un occhio nero non significa tanto che questa vedova al giudice lo colpisca con un pugno, ma fare un occhio nero era un’espressione che significava “danneggiare la reputazione”.
Alla fine il giudice, se non altro per liberarsi di tale molestia, cede e fa giustizia (ekdikeô) alla donna: ciò che prevale in lui non è il senso del dovere, ma il desiderio di non essere più importunato.
vv. 6-7: E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Qui Gesù propone la sua interpretazione della parabola. Egli richiama l’attenzione dei discepoli non tanto sull’insistenza della donna, a cui sembrava rimandare l’introduzione, ma piuttosto sul giudice.
Nelle sue parole Gesù esprime il pensiero fondamentale della parabola. Se un giudice disonesto per motivi egoistici acconsente alle richieste insistenti di una vedova, quanto più Dio, che è padre buono, ascolterà le grida di implorazione dei suoi eletti. È l’atteggiamento del giudice il punto sul quale Gesù fa leva per illustrare il comportamento di Dio. Egli esprime il suo punto di vista con una domanda: «Ma Dio non farà giustizia per i suoi eletti che gridano a lui giorno e notte?»
In base al metodo rabbinico chiamato qal wahomer (ragionamento a fortiori), egli afferma che, se un giudice, per di più empio, alla fine si decide a fare giustizia alla vedova, maggior ragione Dio farà farà giustizia per i suoi eletti, dal momento che è un Padre premuroso e giusto.
L’espressione «fare giustizia (ekdikêsin)», usata sia per il giudice che per Dio, significa difendere i diritti di una persona, darle ragione, garantirle quello che le spetta. Per gli eletti, anche quando non sono oggetto di persecuzione, ciò significa proclamare pubblicamente, mediante l’attuazione piena del regno, che le loro scelte erano giuste e conformi alla volontà di Dio. Proprio la certezza che ciò avverrà rappresenta il punto saliente della parabola.
C’è ancora una domanda di Gesù: «E tarderà nei loro riguardi?». Egli dice che il tempo dell’attesa sarà breve: Dio farà presto giustizia agli eletti che gridano a lui. Questa idea però non è in sintonia con quanto l’evangelista intende dire nel suo vangelo, e cioè che la venuta finale del regno di Dio non è imminente. Perciò è più conveniente leggere queste parole non come una domanda, ma come una frase concessiva: «Anche se egli ha pazienza (makrothymei) con loro». Questa interpretazione è più verosimile: Gesù esorta gli eletti a non spaventarsi per il fatto che Dio tarda a intervenire. Dio ha pazienza, prende tempo, ma al momento opportuno interverrà.
v. 8: Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?. Avremo il coraggio di aspettare, di avere pazienza, anche se Dio tarda a risponderci? Gesù conclude rassicurando i suoi discepoli: «Dio farà giustizia con celerità (en tachei)». L’espressione en tachei non significa «con celerità», ma «improvvisamente». In altre parole il ritardo della parusia è una realtà con cui bisogna fare i conti, nella certezza che Dio, dopo aver lungamente pazientato, interverrà quando meno gli uomini se lo aspettano e farà giustizia ai suoi eletti.
La parte finale del v. 8 che chiude con una domanda è una aggiunta posteriore, che ha lo scopo di inculcare la perseveranza nella fede. Il ritardo della parusia, l’ostilità e le persecuzioni crescenti avevano provocato un raffreddamento nella fede dei credenti. La comunità deve quindi ritornare a un genuino atteggiamento di vigilanza, perché Gesù al suo ritorno non la trovi impreparata. È necessario avere molta fede per continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di non vedere il risultato. Chi aspetta risultati immediati, si lascerà prendere dallo sgomento.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Credete, o fratelli, che Dio non sappia di che abbiamo bisogno? Conosce e prevede i nostri desideri, lui che conosce bene la nostra povertà. Perciò, quando insegnò a pregare, disse anche ai discepoli di non essere verbosi nelle loro preghiere: "Non dite molte parole; il Padre vostro sa già di che avete bisogno, prima che glielo chiediate" (Mt 6,7). Ma se il Padre nostro sa di che abbiamo bisogno già prima che glielo chiediamo, che bisogno c’è di chiederglielo, sia pur brevemente? Che motivo c’è per la stessa preghiera, se il Padre sa di che abbiamo bisogno? Par che dica: Non chiedere a lungo; so già che cosa ti serve. Ma, Signore mio, se lo sai, perché dovrei chiederlo? Tu non vuoi ch’io faccia una lunga preghiera. Ma, mentre in un luogo si dice: "Quando pregate, non usate molte parole", in un altro si dice: "Chiedete e vi sarà dato", e perché non si pensi che sia una frase detta casualmente, viene anche aggiunto: "Cercate e troverete". E poi ancora, perché si capisca che la cosa è detta di proposito, dice a modo di conclusione: "Bussate e vi sarà aperto". Vuole, dunque, che tu chieda, perché possa ricevere; che cerchi, per trovare; che bussi, per entrare. Ma se il Padre sa già di che abbiamo bisogno, perché chiedere perché cercare, perché bussare? Perché affaticarci a chiedere, a cercare, a bussare? Per istruire colui che sa tutto? In altro luogo troviamo le parole del Signore: "Bisogna pregare sempre, senza venir mai meno" (Lc 18,1). Ma se bisogna pregare sempre, perché dice di non usar molte parole nella preghiera? Come faccio a pregar sempre, se devo finir presto? Da una parte mi si dice di pregar sempre, senza venir mai meno, e dall’altra di essere breve. Che cosa è questo? E per capire questo, chiedi, cerca, bussa. È astruso, ma per allenarti. Dunque, fratelli, dobbiamo esortare alla preghiera noi e voi. In questo mondo, infatti, non abbiamo altra speranza che nel bussare con la preghiera tenendo per certo che, se il Padre non dà qualche cosa, è perché sa che non è bene. Tu sai che cosa desideri, ma lui sa che cosa ti giova. Pensa di essere malato - e siamo malati, perché la nostra vita è tutta una malattia e una lunga vita non è che una lunga malattia. Immagina, allora, che vai dal medico. Ti vien di chiedere che ti faccia bere del vino. Non t’è proibito di chiederlo, purché non ti faccia male. Non esitare a chiedere, non indugiare; ma se te lo nega, non ti scomporre. Se è così col medico della tua carne, quanto più con Dio, Medico, Creatore e Redentore della carne e anima tua? (Agostino, Sermo 80, 2).

"Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Sono in relazione con quel passo ove ha detto: "Venite, ascoltate, e vi racconterò, tutti voi che temete Dio, quante cose egli ha fatte all’anima mia" (Sal 65). Dette le cose che avete ascoltate e giunto alla fine, così ha concluso: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né le mie preghiere né la sua misericordia". In questo modo colui che parla giunge alla risurrezione, dove per la speranza siamo anche noi; o, meglio, chi pronunzia questa invocazione siamo anche noi, e tale voce è anche la nostra voce. Finché dunque siamo qui in terra, preghiamo Dio affinché non rimuova da noi la nostra preghiera né la sua misericordia: cioè, affinché con perseveranza noi preghiamo e con perseveranza egli abbia misericordia di noi. Molti infatti stentano a pregare; e, mentre all’inizio della loro conversione pregano con fervore, dopo pregano svogliatamente, poi con freddezza, e quindi con frequenti omissioni: quasi fossero divenuti sicuri! È sveglio il nemico, e tu dormi? Il Signore stesso ci ha ordinato nel Vangelo: "È necessario pregare sempre e non venir meno" (Lc 18,1). E propone la parabola di quel giudice ingiusto che non temeva Dio né aveva rispetto per gli uomini e al quale ogni giorno si rivolgeva, per essere udita, quella vedova. Fu vinto dalla importunità il giudice cattivo che non era stato piegato dalla compassione; e dentro di sé cominciò a dire: "Io, veramente, non temo Dio né ho rispetto per gli uomini; tuttavia, per la noia che ogni giorno mi arreca questa vedova, ascolterò la sua causa e le renderò giustizia". E aggiunge il Signore: "Se un giudice iniquo ha agito così, il Padre vostro non vendicherà i suoi eletti, che a lui gridano giorno e notte? Anzi, vi dico: Renderà loro giustizia al più presto" (Lc 18,4-8). Non cessiamo dunque mai di pregare. Quanto ha promesso di darci, anche se ci viene rinviato, non ci viene tolto. Sicuri della sua promessa, non cessiamo di pregare, sapendo che anche questo è suo dono. Ecco perché dice il salmo: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Quando vedrai che la tua preghiera non è allontanata da te, sta’ tranquillo!, non è rimossa da te neppure la sua misericordia. (Agostino, Enarr. in Ps., 65, 24).

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Pregare sempre: come attuo questo comandamento nella mia vita?
Avverto Dio come un Padre che si prede cura anche di me? Con quanta convinzione e pazienza lo invoco?
Pregare senza stancarsi mai: facile a dirlo… e a farlo? Come vivo la mia preghiera? Quali fatiche provo e quali attenzioni metto in campo per superarle?
Quando il Figlio di Dio verrà, ci troverà addormentati, avviliti, riuniti in seduta permanente, oppure svegli, attivi e vigilanti?

Pregare
Facciamo nostre le parole di salvezza che il Signore Gesù ci mette davanti agli occhi del cuore e lodiamolo con le parole suggerite dal Salmista ( Sal 120):

Alzo gli occhi verso i monti:da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.

Contemplare-agire
Accogliamo dentro il nostro cuore il sano rimprovero di Gesù, il suo sano realismo, la sua sconcertante provocazione. Conserviamo la fede nelle avversità, non demordiamo, non molliamo; ma continuiamo con costanza la disarmata e disarmante battaglia del Regno. Amen.