giovedì 18 marzo 2010

Lectio divina su Gv 8,1-11

V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Grandi cose ha fatto il Signore per noi

Lectio divina su Gv 8,1-11


Invocare
Vieni, o Spirito Santo, vieni come turbine e spazza via dalla Chiesa le scorie del male. Vieni come fuoco e infiamma i cuori dei cristiani tiepidi e distratti e rendili ardenti nel bene come gli apostoli. Vieni, come luce per i ciechi, sostegno per i deboli, fonte viva per gli aridi, guida per gli erranti.
Vieni, vieni. Ascolta le nostre preghiere, opera nuovamente le meraviglie della Pentecoste e nascerà una umanità rinnovata. Amen.

Leggere
1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

- Fermiamoci in silenzio, lasciamo che la Parola entri in noi ed illumini la nostra vita.

Capire
Il brano del vangelo è la proclamazione della misericordia di Dio, che è capace di aprire una strada in mezzo al peccato. La misericordia di Dio è la capacità che Dio ha di creare amore dal peccato e dall’egoismo. Il vangelo di oggi pone l’accento su un aspetto decisivo della realtà della chiesa e della nostra vita: Gesù sceglie, per rivelare la misericordia del Padre, una donna adultera.
L'infedeltà e l’adulterio sono tradizionalmente il peccato fondamentale dell’abbandono di Dio. Il rapporto tra Dio e il suo popolo, è un rapporto di matrimonio, un rapporto di alleanza, quindi di fedeltà; e rompere questo rapporto significa un peccato di adulterio. Siamo a conclusione della quaresima e oggi si conclude il cammino che la parola di Dio ha cercato di farci fare. Nella terza domenica di quaresima, il padrone severo che vuole tagliare il fico è l’uomo: l’uomo vuole ‘tagliare’ i peccatori. L’uomo vuole tagliare; Dio ha pazienza e vuole la vita dell’uomo. Nella quarta domenica il personaggio chiave è il figlio maggiore; con quanta delicatezza il Padre lo prega: questo tuo fratello!
Dio vuole la vita del peccatore; noi ‘tagliamo’. Nel testo odierno ci sono gli uomini che vogliono ‘tagliare’ la peccatrice. La società deve essere pura e il male deve essere tagliato. S. Paolo era fariseo, rispettava la legge, eppure era diventato violento e omicida. Anche la religione può diventare fonte di violenza se si presume di essere giusti. Bisogna recuperare il senso della nostra debolezza.
Messi di fronte a se stessi gli uomini lasciano cadere le pietre e se ne vanno. Il fatto che Gesù ci inviti a riflettere sul nostro peccato è importante. Lo spirito comunitario nasce quando gettiamo giù le pietre e ci riconosciamo peccatori. Non possiamo vivere la Pasqua se non ci rendiamo conto del bisogno che abbiamo della misericordia di Dio.

Passi biblici utili alla meditazione
Os 2,7-8.9-13-14.16-17.20-22.25; 14,5-9; Mi 7,18-19; Lc 23,34.39-43; 1Gv 1,9-2,1-2; 1Tm 1,13-16; Lv 20,10.13; Dt 17,7;22,22-24; Mt 7,1-5; Ez 18,32; 33,11; Sal 103,8-14; Lc 7,36-50.

Meditare
vv. 1-2: “Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi”. Dopo la discussione, descritta alla fine del capitolo 7 (Gv 7,37-52), tutti tornano a casa (Gv 7,53). Gesù, però, non ha una casa a Gerusalemme e si reca sul Monte degli Ulivi. Lì è solito trascorrere la notte in preghiera (Gv 18,1). Il giorno dopo, prima che spunti il sole, Gesù “si recò di nuovo nel tempio”. Le giornate per gli Ebrei iniziavano presto; Gesù si reca prestissimo al tempio per insegnare.
“ed egli sedette”. L'atto di stare seduto indica, nel linguaggio rabbinico, l'autorità dell'insegnamento. La folla si avvicina per poterlo ascoltare. Solitamente la gente si sedeva in circolo, attorno a Gesù e lui insegnava. Cosa mai avrà insegnato Gesù? Sicuramente sarà stato bello, poiché giungono prima dell'aurora per poterlo ascoltare! Gesù si siede lì e parla con la gente, li ascolta, risponde alle loro domande, si relaziona con tutti. Il Tempio infatti era anche un luogo di ritrovo e di vita sociale, per alcuni il cuore della comunità ebraica.
Al popolo che si raduna intorno a Cristo, riconoscendolo Maestro, si contrappone un altro gruppo, quello degli scribi e dei farisei, che gli si rivolgono con l'appellativo di "Maestro" ma in realtà gli sono ostili e attendono solo che Egli faccia un passo falso, che dica una parola di troppo, per poterlo colpire.
Quale ostilità nel nostro cuore ogni volta che pensiamo di radunarci attorno a Gesà Maestro e che in realtà siamo radunati attorno ai nostri interessi?
vv. 3-4: “gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio...”. La scena in cui Gesù si trova ad essere coinvolto è imbarazzante. Gli scribi e i farisei nel loro cuore hanno già condannato la povera donna colta in fallo. La conducono da Gesù solo per tendergli un tranello. Quante volte anche noi ci ritroviamo al posto degli scribi e dei farisei tendendo tranelli? La legge giudaica è molto esplicita su questa materia: l'adultera deve morire.
È da notare che solo lei viene condotta in giudizio mentre la Legge prevede che sia l’adultera che l’uomo che pecca con lei devono essere lapidati. Solo la donna, dunque, viene posta nel mezzo per essere studiata e scrutata, quasi fosse una cavia e tale deve essere, visto che il suo peccato è solo un pretesto per porre in fallo Gesù. Nessun rispetto per lei, per la sua dignità, per la sua storia personale, come non ve ne era nella Legge che prevedeva la condanna a morte solo per la donna che tradiva e non per l’uomo infedele.
C'è una storia e una dignità da vivere e rispettare. Gesù che poco prima era stato considerato un bestemmiatore meritevole di essere arrestato ora è riconosciuto come “maestro” dalla stessa ipocrisia di scribi e farisei. Quante volte anche noi “cambiamo faccia” ma solo per un nostro tornaconto?
v. 5: “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?...”.
Rifugiarsi nella Legge presentando la donna adultera è solo un pretesto; quello che interessa è mettere alla prova Gesù, avere dei motivi per accusare Gesù. E questo fa impressione, perché scribi e farisei sono i custodi della legge, dovrebbero amare la legge, e dovrebbero cercare la legge. In realtà, in questo caso, si servono della legge per condannare e accusare Gesù; e si servono della donna, la donna è diventata ormai uno strumento nelle loro mani, così come la legge. Il cristiano invece è colui che scava per trovare cuore della Legge, ma non per condannare ma per amare.
v. 6: “...Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. C’è una tradizione antica che suppone che Gesù abbia scritto sulla polvere i peccati di quegli uomini che stavano accanto, o se volete addirittura i peccati di tutti gli uomini. Qui possiamo leggere anche un segno simbolico, profetico. Nel libro di Geremia c’è un versetto che dice: «quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore» (Ger 17,13). Gesù che si mette a scrivere nella polvere per terra, compie un gesto che è un invito a riconoscersi peccatori, perché il peccato è la condizione non semplicemente della donna che è stata buttata là in mezzo, ma è la condizione di tutto Israele, di tutto il popolo: è la nostra condizione. Basterebbe andare a riprendere i profeti: Israele è presentato in Os 2 come una sposa adultera. In Ez 16 riprende questo tema con una durezza incredibile. Quello è Israele; ma quello siamo noi, il popolo del Signore. Quelle persone, dunque, non sono innocenti di fronte a una persona colpevole, ma sono partecipi della medesima colpa, del peccato e della lontananza da Dio.
In questo versetto abbiamo un insegnamento importante, perché ci obbliga a riflettere sulle motivazioni dei nostri comportamenti. Può infatti accadere che noi usiamo realtà grandi come la giustizia o la solidarietà o la verità…, non per il gusto della giustizia, della verità o della solidarietà, ma semplicemente come strumenti nella lotta contro quelli che stanno dall’altra parte, contro i nostri avversari.
v. 7: “...Chi di voi è senza peccato...”. Davanti all’insistenza degli accusatori, Gesù li pone di fronte alla loro coscienza, li invita a scandagliarla perché si rendano conto Chi è il solo giudice del cuore dell’uomo. Li invita a guardare se stessi, ma a guardarsi di fronte a Dio. Se sono veri cercatori di Dio, non possono non ammettere di aver peccato e quindi di aver tradito anch’essi. Adulterare la Legge è farla apparire con un’essenza diversa da quella dell’amore. “Il primo e il più importante dei comandamenti è amerai il Signore Dio tuo […] e il prossimo tuo come te stesso” (cfr. Mt 22,36-39). E viene fuori una affermazione fondamentale per la Scrittura e per il Nuovo Testamento; l’affermazione della colpevolezza di tutti gli uomini davanti a Dio (cfr. Rm 3, 9), che vuole dire: davanti agli altri possiamo anche sentirci innocenti – questi scribi e farisei possono sentirsi innocenti; loro, di fronte ad una donna adultera, non hanno commesso nessun adulterio; ma se invece di guardare la donna si collocano davanti a Dio, si renderanno conto che anche loro sono in fondo in una condizione simile.
“getti per primo la pietra contro di lei”: Lui solo era quello che poteva scagliare la pietra perché possedeva quel requisito enunciato; ma non lo fa, anzi Lui, il solo innocente, riesce a disarmare le mani degli accusatori.
vv. 8-9: “E chinatosi di nuovo, scriveva per terra”. È un continuare a saggiare i nostri cuori, a scrutarli fino in fondo. Nel libro del profeta Isaia troviamo scritto: Come mai è divenuta una prostituta la città fedele? (Is 1,21). Non era stato tradito anche il Signore e aveva mostrato attraverso la vita e gli oracoli dei profeti il suo cuore di marito tradito ma disposto a perdonare la sposa infedele? Adulterio vuol dire “andare da un altro”; che sia un idolo o il nostro io, quando poniamo al centro della nostra vita un altro che non sia Dio commettiamo tutti un adulterio verso di Lui. Gesù continua a scrivere per terra. Se il suolo su cui scrive è fatto di terra, sabbia o polvere, e se Gesù, come pensavano i Padri della Chiesa, stava scrivendo i loro peccati, un po’ di vento avrà cancellato quello scritto, proprio come Dio cancella le nostre colpe dalla sua memoria.
“Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno... Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo”. Ci sono solo due posti: Gesù è il giudice e l’adultera è l’imputata; ma Gesù è la misericordia, e l’adultera è la misera, la persona bisognosa di misericordia. Il mondo è così: non c’è posto per l’accusatore del fratello; c’è solo posto per chi è misero e ha bisogno di un giudizio di misericordia; quel giudizio di misericordia che Gesù è venuto a portare. C’è un gesto di perdono di Dio per tutti gli uomini: lasciatevi perdonare!
La nostra collocazione vera non è quella dell’accusatore, non possiamo accusare nessuno, perché siamo nella posizione di quella donna peccatrice, adultera, e quindi bisognosa solo di riconciliazione e di perdono. Chi era peccatore è costretto ad andarsene, è rimasta sola quella donna bisognosa di misericordia. Purtroppo il processo per Gesù non finirà qui; anche questo episodio attirerà su di lui odio e inimicizia dei suoi avversari. Liberando quella donna dalla condanna in realtà Gesù la rivolge su di Sé: Egli è Colui che ha preso su di Sé le nostre colpe. Il pericolo è scongiurato. Gesù e la donna restano soli; i curiosi, i maligni, i violenti si sono allontanati.
vv. 10-11: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Gesù era chino a terra, probabilmente come lo era lei, gettata per terra e umiliata. Ora si “rialza” e questo verbo evoca il suo rialzarsi dal sepolcro nel giorno della sua Risurrezione. La donna lo chiama “Kyrios”, Signore, e in quanto Signore vittorioso sul peccato e sulla morte a ragione le può dare il perdono e restituirla alla vita, libera da quanti attentavano ad essa. Unica è l’esperienza di questa donna che si è sentita guardata dall’Amore, da un amore puro, fedele, di totale dedizione, che non ha mai tradito, che non tradirà mai perché è l’amore di Dio.
Ma c’è un ammonimento che Gesù le fa: “non peccare più”. Il peccato vuole dire: fare soffrire l’uomo, umiliare e schiacciare le persone, cancellare la rivelazione di Dio in mezzo al mondo. Non si può diminuire la gravità del peccato. Ma proprio lì appare la forza dell’amore di Dio e del perdono che Cristo è venuto a portare. Dio è infinitamente più grande del nostro peccato ed esso viene ingoiato dal suo immenso amore. Ma all’uomo resta pur sempre la libertà di allontanarsi da Lui. È questa la lotta che abbiamo intrapreso all’inizio di questa Quaresima: “scegli dunque il bene e la vita” (cfr. Dt 30,19).
“Neanch’io ti condanno”. È un vero atto di perdono, è un gesto di misericordia di Gesù nei confronti di questa donna. Però fa riflettere, perché chi è in grado di perdonare se non colui che è stato offeso; solo chi ha ricevuto l’offesa è in grado effettivamente di perdonare; non posso perdonare il male che tu hai fatto a qualcun altro, questo è comodo, è facile, non inquieta nessuno. Il perdono vero è il male che tu hai fatto a me, che io ho pagato, che ho sofferto; questo può diventare perdono autentico. Appunto, Gesù perdona proprio per questo, perché è venuto a prendere sopra di sé il peccato degli uomini; perché questo peccato lo ha portato nella paura, nell’angoscia e nella sofferenza, e lo porterà fino nella morte È scritto: “Ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1Pt 2,20). Solo per questo Gesù è in grado di perdonare e può esprimere l’amore di Dio che vince sul peccato dell’uomo. Non è il Dio indifferente, ma è il Dio che ha sperimentato e preso sopra di sé la miseria umana.
“va’ e d’ora in poi non peccare più”. Questa espressione imperativa va intesa come un comando, ma prima di tutto come un dono di una guarigione interiore. Infatti, con il per-dono Gesù dà la forza di ricominciare una vita nuova, un cammino nuovo: non ci sei più dentro nella realtà del peccato, sei fuori; e non per una tua capacità, non per una tua buona volontà, ma per grazia. Questa espressione la ritroviamo quando Gesù vede quel paralitico ammalato da 38 anni e gli dice: “alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua” (Mt 9,6); gli dà un comando, ma gli fa anche il dono della guarigione, perché possa alzarsi e cominciare a rivivere come sano; nel momento in cui gli comanda qualche cosa gli dona la forza di vivere. Sono parole che vogliono liberare, creare un cuore nuovo, uno spirito e una libertà nuova. Questa donna è andata vicino alla lapidazione, è arrivata fin sull’orlo della condanna a morte e all’ultimo istante è stata graziata. Finché si ricorderà di essere una graziata, quell’amore le darà la forza di amare e la forza della fedeltà, perché è una graziata, perché quella vita le è stata data liberamente e gratuitamente. E così: “va’ e d’ora in poi non peccare più”, è un comando ma anche il dono di una guarigione. La grazia di Dio ha fatto di te «una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).

Per la riflessione personale e il confronto:
Quando vivo il perdono sono ancora ripiegato su me stesso o mi lascio aprire dal dono di Dio e riprendo a godere della sua presenza di salvezza?
Imito lo stile di Dio usando misericordia verso gli altri per rendere vere le parole del Padre nostro: "come noi li rimettiamo ai nostri debitori"?
So gioire per il perdono, anche degli altri?
Riesco a donare perdono gratuitamente, ovvero anche quando lo giudico non pienamente meritato? Non deve essere difficile il confrontarmi con questo incontro tra Gesù e l’adultera.
Anche noi alle nostre domande rispondiamo guardandoci attorno per dare loro un senso, nel desiderio di trovare un qualche cosa o qualcuno che le soddisfi.
Spesso queste risposte le ho cercate solo nell’umano: nei miei sentimenti, nella mia intelligenza, nella cultura, nell’evasione, in qualche gruppo, in qualche persona, nel mio successo.
Quante volte ho trovato delusioni cocenti? Nessuna di queste risposte mi ha riconsegnato veramente a me stesso nella pienezza della vita e di un cammino.
Forse mi sono reso conto qualche volta di essermi consegnato a qualcuno o qualcosa e di essere stato usato come strumento.
Sorge in me la necessità di ancorare sempre più me stesso ai valori in cui credo e che devono sorreggere la mia vita: quali sono (affettivamente e idealmente e liberamente)?
Gli occhi di Gesù mi incontreranno per rimettermi continuamente in cammino solo quando mi coglieranno libero, autonomo, consapevole. Nei suoi occhi posso trovare la mia libertà, la mia autonomia, la mia capacità di accettarmi così come sono, senza trovarmi costretto a vendermi per trovare me stesso.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
A coloro che sono in pericolo per disperazione il Signore offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa speranza e si illudono coi rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu non sai quale sarà l’ultimo giorno; sei un ingrato: perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? È in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso (Agostino, Commento a Giovanni 38.8).

Che cosa ha voluto mostrarvi quando scriveva con il dito in terra? Ha voluto mostrarvi che la legge è stata scritta col dito di Dio ma che, a causa della durezza dei vostri cuori, essa è stata scritta sulla pietra (Es 31,18). E ora il Signore scriveva sulla terra perché cercava il frutto della legge. Ciascuno di voi consideri se stesso, entri in se medesimo, si ponga dinnanzi al tribunale della sua anima, si costituisca alla sua coscienza, e obblighi se stesso a confessarsi. Ciascuno, guardando se stesso, si scopre peccatore. Quindi, lasciate andare questa donna, oppure accettate con lei le pene previste dalla legge. Ma il Signore disse poi alla donna: “Va’ e d’ora innanzi non peccare più”. Intendano bene coloro che amano nel Signore la mansuetudine e temono la verità. Perché contro due ostacoli gli uomini rischiano di naufragare: la speranza presuntuosa e la disperazione: due ostacoli del tutto opposti e che derivano da sentimenti diametralmente contrari. Uno dice: Dio è buono e misericordioso, io posso perciò fare ciò che mi pare e piace. Costoro corrono rischi proprio per la loro speranza, perché non si inducono mai a correggersi. Sono invece vittime della disperazione quanti, dopo gravi peccati, considerandosi destinati alla dannazione, dicono: Saremo certamente dannati: perché non possiamo fare ciò che ci pare? A coloro dunque che sono in pericolo per la disperazione, il Signore indica il porto dell’indulgenza; per coloro che corrono rischi per l’eccessiva speranza e si illudono di avere sempre tempo, fa incerto il giorno della morte (Agostino, Commento al vang. di Giovanni).

Nel chinarsi a scrivere per terra prima e dopo la sentenza Gesù ci fa capire che sia prima di punire uno che incorre nel peccato, sia dopo averlo meritatamente punito, dobbiamo esaminare umilmente noi stessi, se per sventura non fossimo incorsi nelle stesse malefatte che riprendiamo in quello o in altri (…). Ma allora, che ci resta da fare, se non, al vedere un altro che pecca, volgere lo sguardo in basso, cioè considerare umilmente quanto in basso siamo gettati dalla condizione della nostra fragilità, se non ci sorregge la divina pietà? Scriviamo perciò a terra col dito, cioè consideriamo attentamente se possiamo dire con Giobbe che il nostro cuore non ci riprende in nessun atto di tutta la nostra vita, e ricordiamo con cura che se ci avrà ripreso il nostro cuore, Dio è più grande del nostro cuore e conosce tutto (1Gv 3.20) (Beda, Omelie sul vangelo per la Quaresima 1.25).

Pregare
Fermiamoci dinanzi alla ricchezza della Parola stessa. Scrutiamo, interroghiamo il nostro cuore e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (dal Sal 36 [35]):

Nel cuore dell'empio parla il peccato,
davanti ai suoi occhi non c'è timor di Dio.
Poiché egli si illude con se stesso
nel ricercare la sua colpa e detestarla.
Inique e fallaci sono le sue parole,
rifiuta di capire, di compiere il bene.
Iniquità trama sul suo giaciglio,
si ostina su vie non buone,
via da sé non respinge il male.
Signore, la tua grazia è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi;
la tua giustizia è come i monti più alti,
il tuo giudizio come il grande abisso:
uomini e bestie tu salvi, Signore.
Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali,
si saziano dell'abbondanza della tua casa
e li disseti al torrente delle tue delizie.
E' in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Concedi la tua grazia a chi ti conosce,
la tua giustizia ai retti di cuore.
Non mi raggiunga il piede dei superbi,
non mi disperda la mano degli empi.
Ecco, sono caduti i malfattori,
abbattuti, non possono rialzarsi.

Contemplare-agire
Ripeti spesso e vivi oggi la Parola: “Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10).