martedì 30 aprile 2024

LECTIO: VI DOMENICA DI PASQUA (Anno B)

Lectio divina su Gv 15,9-17
 
 
Invocare
O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa' che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni agli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Siamo sempre nel contesto del “discorso di addio” di Gesù ai suoi; la pericope segue immediatamente quella proposta domenica scorsa, i due testi hanno un legame molto stretto. Ritroviamo qui il tema del “portare frutto” e del “rimanere in Gesù”, come pure un rimando ai temi dei capitoli 13 e 14.
Il brano si apre mettendo in luce come tutta la vita dei discepoli dipenda dal rapporto d’amore che hanno con il Maestro. Nella misura in cui riusciranno a mantenere questo rapporto con Gesù, ogni discepolo riceverà il testamento spirituale di Gesù!
Amore e amicizia, andare e portare frutto con gioia è la modalità del vivere il comandamento dell’amore in riferimento al Padre. Questo è l’unico comandamento che Gesù ci ha lasciato. Gesù ci chiede di amarci come Lui ci ha amato fino a dare la vita per noi. In un altro passo del Vangelo ci ricorda: «Se amate coloro che vi amano quale merito avrete? Non fanno così anche i pagani? Amate i vostri nemici» (Lc 6,32-35). Egli sa che amare quando dall’altra parte c’è qualcuno che ci corrisponde e riconosce il nostro affetto è facile e naturale, ma l’amore di Dio va più in profondità e diventa amore per tutti, in particolare verso coloro che ci odiano e ci respingono. Questo tipo di amore è squisitamente divino ma Egli lo vuole insegnare anche a noi, amandoci Lui per primo e accettando tutte le nostre infedeltà e i nostri tradimenti.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 9: Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Cristo disse queste parole agli Apostoli nel cenacolo il giorno prima della sua morte in croce. Esse manifestarono poi la loro piena potenza nella risurrezione, che divenne l’inizio della nuova missione.
Il versetto riprende il desiderio di Dio descritto nei precedenti versetti, e cita il Padre. Perché cita il Padre? Perché Egli è il protagonista dell’amore e questo è l’origine e il fondamento di tutta la vita cristiana e il verbo all’indicativo sta a significare che questa è una realtà già attuata: l’amore del Padre non è da conquistare ma già donato gratuitamente e quindi solo da accogliere.
Il Padre ha un grande amore per il Figlio e, lo stesso Figlio, per i suoi discepoli. Gesù rivela l'amore del Padre, che è da sempre, e il suo amore, che giunge a dare la vita (cfr. v. 13). L’azione del Padre è quella di un Dio a servizio degli uomini. Quanti lo accolgono e lo prolungano in servizio verso gli altri dimorano in questa sfera d’amore.
Gesù esorta a rimanere nel suo amore, come i tralci sono uniti alla vite: «rimanete nel mio amore». Quest’appello si fa più specifico e profondo in confronto a quel rimanete in me del v. 4, perché in quel rimanere si specchia la vocazione cristiana.
In altre parole, il versetto cela un grande desiderio: essere discepoli di Gesù e che impariamo da Lui ad amare e questo è possibile dall’osservanza dei comandamenti.
v. 10: Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Questo tipo di amore è comandato per rimanere nel suo amore. Nell’Antico Testamento c’è una legge esterna da osservare per essere fedeli a Dio: fare agli altri ciò vorresti sia fatto a te (cfr. Lc 6,31; Mt 7,12), una regola aurea dell’etica della reciprocità. Ma l’amore di cui parla Gesù non si riferisce a questa legge esterna che ritroviamo in qualsiasi tradizione culturale, etica e religiosa, pur se formulata diversamente, ma a quella della natura di Figlio di Dio che ama in modo incondizionato.
Gesù, quasi a riprendere il versetto precedente, incita a restare uniti obbedendo ai suoi comandamenti: «vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Con questo comandamento Gesù supera il contrasto tra la legge esterna e l’amore che lui è venuto a portare, perché quello che lui propone non è una norma fredda posta come un peso da osservare, lui è venuto a proporre un amore che è impegno totale di vita di cui san Paolo dice: «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1Cor 13,7-8) e sarà un amore pieno di atteggiamenti di misericordia, condivisione, perdono, aiuto perché questa è la novità del Vangelo che conduce alla comunione (dimorare) con Gesù e con il Padre.
v. 11: Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Quanto Gesù ha detto e ha fatto nella sua vita, è stato esattamente mostrare come il Padre ama il Figlio, come il Padre ama tutti i figli, e come il Figlio ama i fratelli con lo stesso amore. Rivelandoci questo motivo di amore è perché lo stesso amore, la stessa gioia sia in noi. Noi siamo chiamati ad avere la gioia di Dio.
La parola “gioia” è l’espressione più alta dell’amore. Nella Bibbia appare 72 volte nel Nuovo Testamento e 225 volte nell’Antico Testamento e costituisce, quindi, un particolare richiamo per noi.
Nel linguaggio giovanneo è presente più volte (cfr. 3,29 per il Precursore; 14,28; 16.24; 17,13; 1Gv 1,4): è la gioia che viene dal compimento della salvezza. Gesù, che per la prima volta parla di gioia, la sperimenta perché ha compiuto l'opera che il Padre gli ha affidato, ed è questa gioia che egli dona a chi accoglie il suo amore. E noi, ricevendo l’amore di Dio, rispondendo al suo amore, amando gli altri, entriamo nella gioia perfetta di Dio.
v. 12: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
Dalla gioia scaturisce un grande insegnamento: l’amore per gli altri. La gioia di sentirsi tanto amati da Gesù conduce il discepolo a mettersi a servizio degli altri per trasmettere la gioia che ha sperimentato.
Amatevi gli uni gli altri sottolinea Gesù e non genericamente ma secondo una ben precisa misura: “come io ho amato voi”. Vale a dire, non a parole ma nei fatti, addirittura dando la mia vita per voi.
Giovanni nella sua Lettera scrive: “amare non a parole né con la lingua, ma nei fatti e in verità” (1Gv 3,18).
L’unico comando di Dio è l’amore reciproco tra di noi. Non si parla neanche dell’amore di Dio, perché l’amore di Dio e dell’uomo è un unico amore, è lo stesso amore che il Padre ha per il Figlio, il Figlio ha per noi, è lo stesso che noi abbiamo per Gesù, per il Padre e per i fratelli.
v. 13: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
L’espressione “dare la vita” non si riferisce soltanto al momento estremo in cui questa vita si perde a favore degli altri, ma a tutta una esistenza volta al bene degli altri.
Il testo suggerisce che solo l'amore ha spinto Gesù a morire sulla croce; guardando all'amore dimostrato da Lui, sembra dire Giovanni, i credenti troveranno il coraggio per essere fedeli alla pratica dell'amore fraterno (cfr. 1Gv 3,16).
Gesù è Colui che conferma il suo dare la vita nell’essere pastore. Sottolinea l’evangelista: “se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano” (Gv 18,8) confermandosi il pastore che offre la vita per le pecore (10,11). Lo stesso atteggiamento viene chiesto ai suoi discepoli: “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16).
v. 14: Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.
Qui Gesù definisce i suoi con “philoi”, “amici”, che nell'AT era riservato ad Abramo e a Mosé (cfr. Is 41,8; 2Cr 20,7; Es 33,11); la tradizione sapienziale ne aveva però esteso il senso (cfr. Sap 7,27s e Sal 25,14).
In questo termine abbiamo qualcosa di pregnante. Perché si parla di amici dove c’è amore reciproco. Gli amici sono “pari”. Quindi Gesù chiama suoi amici, suoi pari, quelli che lo tradiscono, rinnegano e fuggono, perché? Perché sa che in fondo in fondo, risponderanno al suo amore. Avranno bisogno di tempo, magari il tempo della crocifissione dove abbiamo l’icona suprema dell’amore di Dio, per poi rispondere al comando dell’Amore, divenire amico di Gesù.
La relazione di amicizia è condizionata dalla pratica del messaggio di Gesù riformulato e condensato nell’unico comandamento dell’amore.
v. 15: Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Anche se la parola “servo” per sé è un titolo onorifico riservato ai grandi personaggi sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Infatti, sono i servi del re, dell’imperatore, sono i primi ministri. Quindi è il massimo dopo di lui. Il massimo, dopo Dio, sono i servi di Dio, i profeti, i santi. Voi non siete “servi”, neanche i più grandi. Siete qualcosa di più: amici. Gesù non ha bisogno di servi, ma di amici perché vuole condividere pienamente la sua azione, la sua comunione col Padre.
Fin dal momento in cui Gesù ha invitato i primi discepoli a seguirlo (venite e vedrete – 1,39) ha eliminato ogni distanza tra lui e i suoi discepoli e tra il Padre e i suoi seguaci (Lazzaro è amico di Gesù – 11,11).
Qui nasce un nuovo rapporto, un nuovo titolo onorifico: “amico” che non è pari a un subalterno ma una persona alla pari. La reciprocità di cui parla Gesù l’ha posta nell’amicizia un’avventura da vivere non da soli ma con un grande Amico che ti cammina di fianco, che ti accompagna nel viaggio, che ti ascolta, che ti incoraggia, che condivide, che soffre con te e gioisce allo stesso modo con te anche se questo non è compreso, così come accadde a Giuda Iscariota quando consegnò il Maestro con un bacio, questi gli disse: «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26, 50).
Questa allora è la nostra vita spirituale: far crescere il nostro rapporto di amicizia con Lui, restando innestati a Lui.
v. 16: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga;
Fin dall’inizio Dio sceglie. L’amore sceglie. Ci ha scelti e ci ha amati, perché andiamo e portiamo frutti di amore. Dio sceglie in maniera gratuita Israele (cfr. Dt 7,7-8). Anche Gesù sceglie un nuovo popolo attraverso i dodici e li chiama amici e desidera che essi siano uno con lui.
Ma ci sta un particolare. Come Dio nell’AT sceglie Israele offrendo la sua salvezza a tutte le genti (cfr. Is 2,2s; 43,9-12; 55,4s; Sal 87), così Gesù sceglie i suoi (tutti i discepoli non solo gli apostoli) perché portino il frutto dell’amore (ripresa del v. 2 di questo capitolo 15).
La sottolineatura che il frutto è condizionato dall’andare. È un’attività dinamica, sottolineata dal verbo “andare”, perché i discepoli producano un frutto d’amore (“non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi… noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” – 1Gv 4,10.19).
Essere discepoli non è un rimanere statici, rimanere fermi ad attendere che gli altri vengano da noi, ma è “andare”. E dove bisogna andare? Per le vie dell’amore. Seguire Gesù che si dirige verso gli esclusi, verso gli ultimi. Questa è la missione costante della Chiesa e la missione è amare, mentre il frutto è quello di cui san Paolo scrive: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). E questi frutti dello sono “cristologici”, perché indicano lo stretto rapporto a Cristo. Gesù aveva detto: «Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto» (Gv 15,5). E ancora: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto» (Gv 15,8). Gesù è la “vite”, lo Spirito Santo è la “linfa”. «Infatti siamo stati rigenerati da lui e in lui nello Spirito per portare frutti di vita, ma di vita nuova che consiste essenzialmente nell’amore operoso verso di lui» (san Cirillo d’Alessandria).
perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Chiedere nel nome di qualcuno sta a significare una somiglianza. Ciò significa che il comandamento dell’amore va vissuto in rappresentanza, somiglianza di Gesù. Si può essere discepoli del Figlio, dimorare nel Figlio se viviamo l’amore. È una preghiera da farsi questa: dimorare nel suo amore.
L’amore per tutti si fa garanzia che quanto viene richiesto verrà concesso, perché il Padre mette a disposizione del Figlio e dei figli la sua forza d’amare e si rimane innestati alla vite. Ora questa forza viene dallo Spirito Santo, per questo in un altro passo Gesù dice, parlando di preghiera, che il Padre concede il dono dello Spirito Santo (cfr. Lc 11,13) che è il “di più di Dio”, è Dio stesso. Questo concede il Padre: Dio stesso perché anche noi possiamo dare di più nell’amore.
v. 17: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
In altre occasioni Gesù dette questo comando in nome e nel modello del suo amore (cfr. Gv 13,34). Riprende il tema dell’amore legandolo a quel chiedere. Ecco che cosa chiedere al Padre nel nome del Figlio: il suo stesso amore per ogni fratello e sorella. Oltre questo amore non c’è più nulla, se non Dio stesso perché Dio è amore (1Gv 4,8.16) e «chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui» (1Gv 4,16b). Allora si capirà che Dio è Padre dalla misura in cui ci si ama. Ed è questa la bellezza che va annunciata iniziando dalle relazioni in famiglia, tra amici, nell’ambiente ecclesiale fino ad ampliare l’orizzonte verso i nostri fratelli più lontani e dispersi. È la bellezza dell’amore fraterno che salverà il mondo.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Al centro della mia vita ho messo l’amore, oppure ho messo la tensione ad avere, a possedere, a consumare beni, la carriera, il mio stesso modo di pensare?
Ho avuto occasione di sperimentare personalmente la gioia di Gesù?
Quali sono, per me, le condizioni per essere abitato/a dalla gioia di Gesù? Sono disposto/a a giocarmi la vita su questa gioia?
Mi sento amico/a di Gesù? Oppure il mio atteggiamento si ferma ad osservare vivendo nell’individualismo?
Vivo il mio amore per gli altri somigliando a Gesù? Oppure vivo l’amore basato su un sentimento che oggi ci sta e domani non più?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
 
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
 
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! (Sal 97).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Questa è la Via, questo è il cammino da percorrere indicatoci dal Signore: amarci tra di noi come Lui ci ha amato. Via le liti, gli interessi personali; via le bramosie, via le tenebre. Spogliamoci da tutto ciò che ci impedisce di percorrere questa via” (da Imitazione di Cristo).